Breve storia dell’Alchimia di Stefano Valente. Alla scoperta di un mondo simbolico.

Le tre fasi principali della Grande Opera, raffigurate come tre ampolle contenenti ingredienti di colore diverso, nel manoscritto attribuito a Georges Aurach

La passione per la storia e per quanto di magico può esservi celato e la capacità di ricercare fino nel più profondo, fanno di Stefano Valente un autore che va letto. Sempre. Perché sempre sarà un piacere e una meraviglia.

Con Breve storia dell’Alchimia (Ed. Graphofeel), l’autore si cimenta con un percorso difficile, carico di tranelli e contraddizioni, quello dell’Alchimia, una parola che contiene tutto e il suo contrario, un concetto che risente di fede e inquisizioni; un’arte che si fa imbroglio o ascesa al cielo della conoscenza a seconda delle pagine lette, a seconda delle interpretazioni intuite.

Una cosa è certa: l’Alchimia si rifà ai grandi archetipi capaci di mutare forma nei secoli e nei ocntesti; a quegli archetipi “carsici”, rivoli che scompaiono nelle rocce per poi riapparire, dopo un percorso sotterraneo, con la potenza di un fiume in piena.

Stefano Valente approccia questo argomento liquido e affascinante con la pazienza del ricercatore, anche se a volte, fra le sue parole sembra aleggiare qualcosa di pragmatico che poco si concilia con il prodigioso mondo dell’Alchimia.

immagine per Stefano Valente
Stefano Valente, Breve Soria dell’Alchimia.

Nel libro, breve, ma denso di spunti e principi, l’autore, parla delle origini dell’Alchimia, anche di quelle più nascoste: egiziane e arabe, addirittura cinesi; racconta di come furono proprio gli arabi ad introdurla in Europa attraverso i loro regni di Spagna; illustra le traduzioni in latino dei testi antichi e di come nel Medioevo, la scienza alchemica mutò in qualcosa che aveva in sé  i semi della filosofia, della magia, dell’astrologia, etc.

Spiega come fiorì nel Rinascimento nonostante le condanne per magia e stregoneria e prosegì, soprattutto a Roma, nel Seicento e nel Settecento secolo dell’innovazione scientifica che pure aveva un’attrazione speciale per i fenomeni occulti.

Ed infine svela come nel Novecento l’Alchimia ritrovò vigore e divenne in parte la base di un nuovo pensiero, di una nuova scienza: la psicanalisi. Almeno dal punto di vista junghiano.

A vent’anni, complici le trasmissioni notturne di Gabriele La Porta e le conferenze nelle cantine romane, che storicamente avevano un rapporto molto stretto con l’occultismo, conobbi Luciano Pirrotta, uno dei primi divulgatori dei significati della Porta Magica di Piazza Vittorio (La Porta Ermetica – Ed. Athanor), che all’epoca era difficilmente intuibile fra degrado e vegetazione spontanea.

Da quegli incontri e da quelle letture iniziarono studi e ricerche compiute assieme alla mia amica storica, che ci portarono a Parigi, sulle orme di Nicolas Flamel  e della Tavola Smeraldina (o Smaragdina come da dizione latina).

Le tre fasi principali della Grande Opera, raffigurate come tre ampolle contenenti ingredienti di colore diverso, nel manoscritto attribuito a Georges Aurach

Mi guidava la necessità di indagare il mistero, di sapere, di confrontare quello che avevo ascoltato e letto, a partire dal pensiero di Carl Gustav Jung che era fonte di conoscenza, stupore e apertura mentale. In ogni cattedrale gotica visitata andavo alla ricerca di conferme alle interpretazioni di Fulcanelli e quasi sempre le trovavo.
Sembrava molto chiaro e semplice e non comprendevo, riserve, sberleffi ed accuse di non essere, l’Alchimia, una scienza comprovabile.

Del resto ogni scienza ed ogni arte ha i suoi parametri di lettura ed interpretazione, cosa questa che, attualmente, sembra essere un po’ dimenticata a favore di un pensiero unico dominante, di un appiattimento generale della consocenza.

Leggendo Breve storia dell’Alchimia, dove ho ritrovato quasi tutti i miei personaggi ispiratori e altri ancora, ho avuto, a tratti, la sensazione di un ironico, garbato dissenso.
Certamente, con il passare del tempo, studi e ricerche hanno acclarato inganni e presunzioni, ma al di là dei personaggi che ne hanno fatto un teatrino di imposture, l’Alchimia mantiene in sé il fulcro della trasformazione ed il suo significato profondo.

E questo è il senso più vero dell’arte alchemica. È ciò che si può e si deve tramandare.

Probabilmente l’Alchimia non sarà trasformaazione della materia (anche se ancora in molti sono pronti a giurare che sia cosa possibile), ma sicuramente raccoglie la sapienza del modificare anima, spirito e destino, attraverso la conoscenza della correlazione degli eventi e dei simboli.

I simboli, grandi invisi alla società attuale, nell’Alchimia raprpesentano il dialogo portante e, nonostante il racconto a volte critico che Stefano Valente fa di quest’arte, di fronte ai simboli si pone in maniera attenta e rispettosa, con gli occhi e con la mente aperti, perché non finisce mai la possibilità di imparare.

E non potrebbe essere diverso per un autore che, nel suo libro La serpe e il mirto ha creato un percorso simbolico e che, ne ho quasi la certezza, abbia scoperto qual è l’alchimia fra la storia e la magia.

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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