Gita al Faro. Gli autori e l’isola. Fabio Geda.

Anche quest’anno art a part of cult(ure) segue Gita al Faro intervistandogli autori confinati del 2017, ovvero Mauro Covacich (La nave di Teseo), Fabio Geda (Einaudi), Carmen Pellegrino (Giunti), Tiziano Scarpa (Einaudi), Paola Soriga (Laterza).
Assieme a loro scopriamo, via via che l’eremitaggio s’avvia verso la conclusione, con quale immaginario e con che spirito sono partiti per Ventotene pronti a scrivere una storia nuova per un’Isola antica.
Il terzo autore è Fabio Geda.

È sempre più difficile riuscire ad ascoltare una narrazione diversa da quella che ci viene suggerita dai media e dal timore diffuso. Qual è il tuo suggerimento per creare e fare ascoltare storie che possano cambiare anche solo in piccola parte la percezione della nostra vita?

Posta così credo che la domanda sia monca. Nel senso che si tira in ballo solo l’atto creativo dello scrittore (creare e fare ascoltare) tenendo fuori l’intervento consapevole del lettore. Lo scrittore è – ovviamente – chiamato a scrivere la storia più onesta e vera che trova dentro e fuori di sé – onesta e verità credo siano le due qualità imprescindibile di una buona narrazione – ma poi c’è il lettore che deve ritagliarsi il tempo di abitarla, quella verità, di lasciarla permeare dentro di sé. Deve trovare il luogo adatto. Deve creare le condizioni. Narrare è un gesto che presuppone una relazione – a distanza, spesso, ma pur sempre una relazione.

Da dove nascono le tue storie?

Dal mistero. Non solo nel senso che spesso affiorano in modo misterioso, senza preavviso, con strappi improvvisi, ma che sono modi per indagare certe periferie sconosciute – delle emozioni, dell’esistere, della società. Sono tentativi di formulare meglio, in modo sempre più esatto, domande che si ripresentano in modo ossessivo.

Di cosa preferisci parlare quando vuoi raccontare la vita reale? Famiglia, amore, crescita personale, oppure hai un tuo percorso meraviglioso?

Io scrivo soprattutto di relazioni e in questi anni mi sono occupato in modo particolare delle relazioni tra adolescenti e adulti, di dialogo tra le generazioni, di crescere e di educare. Ma anche di dialogo tra le culture (Enaiat di Nel mare ci sono i coccodrilli che attraversa sei Paesi per passare dall’Afghanistan all’Italia, Andrea Luna di Se la vita che salvi è la tua che dall’Italia raggiunge gli Stati Uniti e il Messico) e della relazione che lega le persone ai luoghi (Zeno e suo nonno Simone che si rifugiano a Colle Ferro, luogo che parla e che racconta).

Che faccia hanno i tuoi lettori? Come li immagini? Cosa credi li affascini della tua scrittura?

Non è che li immagino, li conosco proprio. O per lo meno conosco una parte importante di loro, una fetta di pubblico in cui vedo rispecchiarsi la quasi totalità. Anzitutto, parlando spesso di ragazzi, i miei romanzi arrivano ai ragazzi, che io poi incontro nelle scuole (quanti ne avrò incontrati in questi dieci anni? migliaia). E poi arrivano agli insegnanti, ai genitori, agli zii, ai nonni – e in generale a chi ha orecchie per ascoltare un ragazzo che sta crescendo, lottando per definire la propria identità.

Perché hai deciso di partecipare a Gita al Faro? Cosa ti ha convinto a dire sì? Ti era già stato chiesto?

Mi piacciono le situazioni che mi permettono di passare del tempo, fermo, in un luogo che non conosco; e di chiacchierare senza fretta (e senza ansia di prestazione) con altri scrittori.

È la prima volta che sei “costretto” a un eremitaggio letterario?

Mi capitò un eremitaggio urbano vicino Torino, alcuni anni fa. Il mandato era risiedere tre giorni in un paese della provincia e raccontarlo.

Cosa troverai nell’Isola?

Natura e umanità – di certo. Il resto ve lo dico alla fine.

Da quest’anno Gita al Faro è promosso dall’Associazione per Santo Stefano in Ventotene onlus, nata per il recupero e la valorizzazione del Carcere Borbonico di Santo Stefano, all’interno del quale i confinati, durante il fascismo, hanno gettato le basi per la fondazione dell’Europa unita. Conosci Santo Stefano? Credi che la letteratura possa aiutare la sua trasformazione?

Conosco Santo Stefano solo di nome. Bello avere l’occasione di saperne di più. E sì, credo che le storie – che siano letteratura, cinema, fumetto, fotografia – possono sempre contribuire alla trasformazione dei luoghi, al loro ripensamento.

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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