Parlare di amore e teatro. Con le tue labbra, senza dirlo di Paolo Faroni

Con l’arrivo dell’estate, le città tendono spesso a diventare sonnolente, soprattutto sul piano culturale. I cinema chiudono, i teatri hanno finito le stagioni ormai da tempo. Sono spesso i luoghi durante l’anno meno toccati dai riflettori, a restare pronti a continuare a raccontare.
È il caso del Teatro Studio Frigia 5, che ha attrezzato appositamente la sua terrazza milanese a palcoscenico per una rassegna, Frigiadì, che si snoda lungo tutto il mese di luglio. In uno spazio dove la distanza tra palco e platea smette di esistere, l’incontro si può svolgere senza barriere di sorta. E gli interpreti hanno la possibilità di raccontare una parte di sé.

È il caso di Paolo Faroni, che riporta in scena in una calda serata di luglio il monologo scritto alcuni anni fa, per il suo diploma alla scuola Paolo Grassi di Milano, e con il quale sta sperimentando originali messe in scena in luoghi meno istituzionali, incluse le librerie, facilitato da una messa in scena agile che riesce a essere ugualmente evocativa. In Con le tue labbra senza dirlo Faroni porta in scena un sé che ripercorre le proprie ossessioni: su tutte l’immagine di una donna, la donna per eccellenza, rincorsa per decenni in una ricerca di felicità che si fa tramite e schermo delle parole dei poeti. Una immagine che viene da lontano, dalla tragicomica rievocazione di un professore di liceo esperto in psicologia spicciola e di un nonno dal drammatico passato che ha scelto il mutismo, a cui però non mancano mai le parole giuste, anche se chiedono tutta la solerzia del nipote per essere comprese.

Quella che l’attore tratteggia con un accorto uso della mimica e di della propria fervida vena ironica, è solo apparentemente una corsa – o piuttosto una caduta – nella vita di un uomo solitario che combatte con la vita come può, e che nel suo tentativo di prenderci le misure fa rispecchiare ciascuno degli spettatori, strappando un sorriso e una risata come di se stessi, dei propri incubi, dei propri desideri. Sullo sfondo della quotidianità di un paesano trapiantato in provincia, il protagonista non si lamenta. Tutt’altro. Rivendica il proprio stare con orgoglio.

Quasi con arroganza, perché «la saggezza è dei pochi, e io volevo essere uno di quei pochi». È in questa che soprattutto si apre una seconda, più sorprendente ed indubbiamente riuscita linea di lettura del monologo. Oltre alla vicenda di un uomo, Con le tue labbra senza dirlo è la dichiarazione di poetica di un attore.

Paolo Faroni disegna una galleria di maschere che gioca intelligentemente con i cliché e con le figure che chiunque abbia calcato le tavole di un palcoscenico o le sale di un’accademia ha incontrato, dall’insegnante disinteressato pronto a sottoporre all’ignaro studente domande delle quali ignora la risposta, all’amico attore sperimentale purchessia, che tuttavia vive raccontando favole ai bambini. La carrellata di maschere spinge al riso evitando le facili cadute nel volgare o nel triviale, portando alla portata di un pubblico coinvolto per l’intera durata della messa in scena, una riflessione tutt’altro che fatua. La donna vagheggiata fin dall’inizio, con la speranza di poterla raggiungere frustrata fin dal suo nascere, non è soltanto un desiderio d’amore.

È piuttosto la ricerca di un fine che non c’è, del modo col quale evitare di fare del teatro un «giardino di pietra», meraviglioso eppure sclerotizzato. Una tensione destinata a rimanere utopia, a meno che non si scelga una strada che opera per sottrazione. Che è sì arroganza, ma conosce un necessario silenzio, una misurata delicatezza. Quella che Paolo Faroni riesce a usare evitando tanto la risata crassa quanto l’eccesso di cerebralità. Un tocco, capace di rendere intenso l’insieme, che richiede la giusta presunzione di essere convinti di poterlo fare.

La stessa capace di rispondere a una voce che invita: «se tu vuoi, possiamo amarci, con le tue labbra, senza dirlo».

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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