Tamburi nella notte. Ai Filodrammatici un saggio brechtiano mostra il teatro che sarà

Germania, fine della Grande Guerra. Anna aspetta da quattro anni l’uomo che amava, disperso e dato per morto al fronte. La sua famiglia ha ormai deciso per un matrimonio di interesse con il giovane Murk, al quale la ragazza è costretta ad accondiscendere suo malgrado. Ma il suo antico amore perduto sta tornando, e il presunto fantasma si scopre vivissimo e intenzionato a ricominciare dove la relazione si era interrotta.

Anna è così chiamata alla scelta tra ciò che la famiglia le chiede: il matrimonio col meschino borghese Murk, e ciò che vorrebbe: l’amore mai finito per Andrea, eroe di guerra in Africa, tornato senza un soldo. Nel frattempo, fuori dalle mura protette in cui si dipanano le relazioni, la rivolta degli spartachisti mette a ferro e fuoco le strade di Berlino.

Sotto le sembianze del più classico dei melò si cela la prima opera rappresentata di Bertold Brecht, Tamburi nella notte, portata in scena dai diplomati dell’ultimo biennio della prestigiosa Accademia dei Filodrammatici di Milano.
Quello che si svolge sulla scena è uno scontro fra mondi. Il lavoratore e l’eroe da romanzo bellico si specchiano nello scontro fra i ricchi borghesi che orde di socialisti armati di ideali e bandiere rosse vogliono rovesciare, mentre «fanno esplodere bombe e sono convinti di creare un mondo nuovo».

Brecht tuttavia non mette in scena soltanto un conflitto di classe, inframmezzato dai discorsi appassionati di Rosa La Rossa, Rosa Luxemburg; a spingere Murk contro Andrea è un odio fatto di aspettative tradite, di sensi di colpa frustrati, di una vita che vorrebbe ricominciare come se nulla fosse accaduto, perché: «non siamo noi a dover pagare il conto delle vostre gesta eroiche».
Un’esigenza condivisa con chi è rimasto: ai berlinesi rimasti in città, ammettono i Berlincke, genitori di Anna, «manca il senso della realtà». Sembra suggerire questo la loro trasformazione in immagini grottesche ed esasperate, i lineamenti deformati in maschere che paiono essere tratte direttamente dalle opere di Otto Dix.

Francesco Frongia, a cui è affidata la regia, offre a Brecht la sua visionarietà al servizio di un compendio di ciò che ci si aspetta in una messa in scena brechtiana. Ci sono i cartelli, le canzoni suonate in scena, personaggi composti di gesti esasperati porti al pubblico con una recitazione che ad alcuni può apparire enfatica e sopra le righe ma risponde a quella che sembra essere una precisa scelta registica di aderenza al dettato dell’autore.

I numerosi rimandi storici e realistici fanno però di questa pièce un Brecht atipico che offre occasione di mettersi in evidenza soprattutto agli attori cui è chiesta una interpretazione più misurata, realistica e credibile, su tutti Edoardo Barbone, il giovane soldato.

Tutti gli allievi dell’Accademia, però, dimostrano di maneggiare bene gli strumenti del mestiere che si accingono a svolgere, aiutati da una messa in scena che riesce nel compito, oggi più unico che raro, di portare sul palco spesso contemporaneamente ben undici attori: oltre a Barbone Luigi Aquilino, Denise Brambillasca, Gaia Carmagnani, Eugenio Fea, Ilaria Longo, Simone Previdi, Alessandro Savarese, Valentina Sichetti, Irene Urciuoli, Daniele Vagnozzi.

Tamburi nella notte si pregia poi di un allestimento di assoluta qualità tecnica, in cui l’aspetto visivo, le scene e i costumi di Erika Carretta, è affascinante, ricchissimo senza mai risultare ridondante, e curato fin nei minimi dettagli: altra caratteristica oggi sempre meno presente sulle scene del teatro di prosa. La ben riposta fiducia nella qualità in prospettiva degli interpreti del teatro italiano è dimostrata anche dalla scelta di affidare la versione scenica ad Emanuele Aldrovandi, giovane drammaturgo di ormai comprovato valore.

Anche se – pur nella sua efficacia evidente – il godimento della resa chiama in causa ampiamente il gusto personale dello spettatore come individuo, un gruppo di lavoro che lascia buone sensazioni sulla vitalità delle accademie teatrali nostrane è al servizio di un Brecht che sceglie l’individualismo. Questa pièce frequenta infatti una strada apparentemente lontana da quella che lo renderà pietra miliare del teatro novecentesco – e regalando alla storia del teatro passaggi rimasti celeberrimi: «perchè i poeti hanno taciuto?»
E altri capaci ancora di indicare la strada: «la rivoluzione? Serve bellezza adesso»

+ ARTICOLI

Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.