inQuiete Festival di scrittrici #7. Educare alla complessità: la consapevolezza di genere inizia da piccoli

Complessità: un termine che forse più di tutti definisce l’approccio necessario alla molteplicità di realtà che sempre più si mostrano su molti fronti, gli stessi di cui le inQuiete si occupano. E su cui non si può soffermarsi se non partendo dall’inizio, dai bambini.

Per questo, Educare alla complessità è un obbiettivo dirimente per il festival romano. A farlo, davanti a una platea numerosa nonostante la pioggia, sono state chiamate relatrici di primo piano: Irene Biemmi: ricercatrice in pedagogia all’Università di Firenze, esperta in pedagogia di genere ed autrice di titoli come Educazione sessista, Gabbie di genere, di libri per ragazzi e responsabile della collana Sottosopra dell’editrice Giralangolo, che si occupa esclusivamente di parità negli albi illustrati.

E poi Serena Ballista, autrice di Cattiva madre per Giraldi e di Una stanza tutta per me, un catalogo dei migliori decento titoli per ragazzi edito da Settenove. Presidente dell’Unione delle donne di Modena è femminista e scrittrice.

Anche Sara Marini è femminista, oltre che cofondatrice di Scosse e di Rete Educare alle Differenze, formatrice di educazione al genere, dottoranda di ricerca sull’educazione al genere alla Sapienza.

A loro Daniela Tumminello, bibliotecaria, chiede cosa significhi questo titolo impegnativo, e le risposte sono lineari e limpide, e si completano.

Esordisce Biemmi: «Complessità vuol dire educare al pensiero critico, a contrastare lo stereotipo, a evitare le gabbie del pensiero» . Anche se, commenta, le forme semplificate di risposte a domande complesse come i motivi della differenza, che i bambini sono soliti fare, sono indubbiamente più popolari.

Più facile ridurla, ad esempio, alle differenze cromosomiche, naturali anziché indagare quelle culturali. Quello che la domanda dei bambini chiama a fare, invece, è «rintracciare non la causa, ma la molteplicità di fattori che determinano i contesti socio-culturali che segnano la differenza tra i generi».

Per farlo, spiega Ballista, è necessario «immettere nella narrazione ufficiale e diffusa nuove narrazioni, per affiancare il simbolico esistente e non sostituirlo, offrire ai bambini una gamma di possibilità che scardini la monorappresentazione» con la quale i bambini sono tradizionalmente cresciute.

La libertà, infatti «non si eredita, passa dall’attivazione di sé nel proprio quotidiano». Serve, quindi, un costante «approccio femminista e partigiano alla vita».

Secondo Marini, però, non subire le norme è «educazione al piacere»: è, spiega, un lavoro faticoso, ma educativamente e personalmente la liberazione e decostruzione di norme e modelli è prima di tutto una ricerca di piacere.

Tra quelle che possono essere definire se non cause ma indice di differenza di genere, Biemmi individua la «segregazione formativa di genere: La spaccatura per cui certe professioni e certi ambiti sono connotati rispetto al genere e hanno caratteristiche di prestigio per gli uomini, mentre le donne sono riservate agli ambidiyi della cura ritenuti bassamente qualificati».

Ciò che succede negli anni della formazione che può essere predittivo dei problemi futuri delle ragazze, spiega. L’ambiente scolastico infatti è comune, per tutta la preadolescenza.

Nel momento della scelta però si verifica la scissione. In terza media si crea la spaccatura tra umanismo da un lato e tecnologie dall’altro; una cesura che all’università si fa ancora più rigida e sancisce un doppio binario che sta a testimoniare quanto, «pur nel lunghissimo di formazione comune agisce sotterraneamente una serie di aspettative e di stereotipi che fanno determinare le scelte non ai singoli ma alle correnti. Fare scelte diverse è molto difficile».

E chiede, una educazione, in primo luogo all’empatia, la competenza sociale richiesta per contrastare le discriminazioni, chiosa Ballista. Ed esige presa di parte attiva, come quella di Scosse, portata avanti da «persone che hanno sentito il bisogno di portare le questioni di genere fuori dall’Accademia. Anche per loro l’educazione è diventata un perno, perché, chiarisce Marini, «la risposta non è mai data, mai una e si co-costruisce le contaminazioni hanno fatto crescere, e capire che il lavoro di rete è l’unica cosa che permette di provare a incidere».

Realisticamente, però, come si potrà tradurre questa consapevolezza tra dieci anni? Tutte sono concordi nel puntare l’attenzione sugli uomini. È necessario, dice Biemmi, «che tanti uomini pensino che queste non sono questioni di donne. Perchè pensarlo arriva a limitare prima di tutto le progettualità degli uomini. Sono loro a faticare di più col loro genere, perché hanno bisogno di superare il concetto di virilità, ma non hanno modelli né nella realtà né nell’immaginario per costruire un maschile altro».

L’auspicio di Ballista è che la complessità già raggiunta non si confronti con il biasimo sociale, il giudizio, la sanzione sociale, che oggi porta a percepirsi devirilizzati uomini che hanno già rifondato la loro maschilità.
L’ottimismo indotto dai bambini induce Marini a guardare più lontano, a immaginare il superamento delle dicotomie di genere, e di un cambiamento di sistema che viene da un agire collettivo, «perché la liberazione dalle norme semina e si può seminare con facilità nei bambini, ma anche negli insegnanti, che si sentono legittimati e capaci nel farlo».

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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