Pordenonelegge #6. Chi l’ha vissuta racconta la rivoluzione dei piccoli passi di Franco Basaglia

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Gorizia è un luogo di confine, nel 1961 lo era anche metaforiacamente. Quando Franco Basaglia ci arriva, scacciato da colleghi che lo chiamavano filosofo, perchè appassionato di cose lontane dalla psichiatria di allora, come la critica al positivismo quella della follia è un’esperienza lontana, al di là di un limite, separata da un confine per lui intollerabile. Per di più Basaglia non è mai stato in un manicomio, e non può che chiedersi cosa potrà fare.

Nella risposta sta quella che sarà la sua rivoluzione fatta di piccoli passi, che il suo giovane collega Antonio Slavich racconta in All’ombra dei ciliegi giapponesi, pubblicato nella collana 180 di Alphabeta Verlag, con cui Pordenonelegge ricorda il quarantennale della legge Basaglia. L’impatto però è violento, vorrebbe andarsene, ha paura di non avere altra strada che essere complice.

Non lo fa, racconta Peppe Dell’Acqua, «perchè può vedere ciò che gli altri non vedono, proprio perchè filosofo, proprio perchè si interroga rispetto agli individui». Su come la follia diventa malattia sempre attraverso un’operazione ideologica. Da inizio così a un cambiamento che accade senza roboanza.

Quello che per Basaglia è insopportabile, spiega Dell’Acqua, è l’assenza, più della contenzione. Nel manicomio di Gorizia ci sono seicento internati e non c’è più nessuno. L’individuo è scomparso. Così, sceglie la sospensione. Sceglie di non giudicare più. Di non accettare i dati fino ad allora inamovibili, cominciando dal rifiutare di firmare le contenzioni. E scopre che, messa da parte la patologia compaiono le esigenze, i bisogni, e diventa urgente aprire le porte, metaforicamente e fisicamente.

La lezione di Basaglia, sintetizza il collega Dell’Acqua, è che «non si può curare l’altro stando dietro a una porta, avendo il potere, costringendolo ai tuoi modi». Messo da parte l’internato, c’è il cittadino
Secondo Giorgio Zanchini, la caratteristica di Basaglia è che restituisce la cittadinanza: fa applicare la Costituzione, dove non ea mai arrivata.

Un procedimento difficile e necessariamente graduale, perché deve partore dal convincimento, anche di infermieri cresciuti considerando normalità ciò che lui rifiutava.

Eppure, dal 1961 a Gorizia inizia un percorso che finisce nel 1978, con la chiusura de manicomi.

Per Dell’Acqua c’è un momento che fissa il cambiamento in atto: quello in cui si sceglie di essere ripresi dalla tv, perché si esce dal buio melmoso. È il 1967.

Basaglia, chiosa il collega, non usava il termine rivoluzione. Parlava semmai di rivoluzione delle coscienze, di esigenza di interrogarsi, di confrontarsi con le contraddizioni. Il suo modo per farlo è andare giorno per giorno a parlare con tutti i detenuti, interrogarsi sull’esserci. Un termine che inizia a diventare centrale ma che non cancella la costrizione delle mura del manicomio.

Così un giorno si compra una Cinquecento usata, e la nuova mobilità garantita poco alla volta muove le persone, anche solo raccogliere sassi al fiume cambia tutto. A sbloccare lo stallo con cui, malgrado le conquiste, ci si confronta, arriva il Sessantotto, perchè i ragazzi che lo vivono scoprono Gorizia come un luogo dove le cose cambiano davvero. Quella di Basaglia è, spiega Zanchini, «L’unica riforma compiuta nel nostro Paese».

Che, oggi, ha però delle criticità. Solo alcuni degli ospedali psichiatrici di oggi non chiudono le porte o hanno abolito la contenzione. Ancora si muore, spesso ancora si usano gli elettroshock e, dati i pochi posti disponibili, si deporta o pazienti lontano da casa. Ancora oggi, agli operatori non si insegna ad ascoltare.

Eppure, ci sono criticità, ma non poteva essere così, chiosa Dell’Acqua. In quel momento si è chiesto a centinaia di operatori di fare un ragionamento sul proprio lavoro. Lo psichiatra è indulgente: «tanti di loro si sono trovati da soli». Quella cultura è cambiata poco. Tanti ci provano, ad applicare la lezione basagliana, ma c’è ancora un potere che rifiuta.

L’Accademia psichiatrica poi è reazionaria e lontana. Come nel Galileo di Brecht, evoca l’allievo di Basaglia, i domenicani hanno rifiutato di guardare il cannocchiale diabolico. Eppure oggi anche l’istituzione ha dovuto riconoscere che i risultati sono quelli che vengono da esperienze come quella di Pordenone, dove ci si preoccupa che le persone con disagio possano studiare, lavorare, essere autonomi.

Fare quello che si è fatto a Gorizia ci vuole poco, conclude Dell’Acqua. Eppure ancora in alcuni posti le persone muoiono come cinquant’anni fa, e le risorse vengono assorbite da privati. Esattamente quaranta anni fa «però è successa una cosa straordinaria: abbiamo riconosciuto un diritto. Si muore ancora legati al letto. Però oggi lo possiamo dire»

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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