Perfetto indefinito. Il teatro è quello che io decido che sia

Teatro Contemporaneo. Un contenitore dentro al quale è possibile racchiudere le più diverse, complesse, contraddittorie suggestioni. Una possibilità che è stata ampiamente sfruttata soprattutto negli ultimi anni, e di cui ha fatto la propria cifra, in ossequio al proprio intento di ospitare «collisioni di teatro contemporaneo».
Il secondo dei lavori in concorso sfrutta tutto lo spazio lasciato da questa, di per sé, magmatica, intenzione. La compagnia romana Dehors/Audela porta sul palco valdagnese un’immagine degli Alieni che si avvicina forse di più alla percezione del senso comune: figure provenienti da un altrove, di cui è difficile tratteggiare con nettezza i contorni.

Elisa Turco Livari, infatti, dovrebbe essere sola in scena e di fatto non lo è. Ad accompagnare i suoi movimenti, spezzati prima e disarticolati poi, vi sono molti compagni di scena: le musiche dissonanti di Achn, Osvaldo Ciblis e Sebastian Bach Pires, protagonisti attivi anziché contrappunti. La luce, presente e assente con una logica che tale non vuole essere, e soprattutto i video di Salvatore Insana.
Sul tulle che filtra lo sguardo dello spettatore sulla donna in scena prendono corpo immagini eteree, aliene, che interagendo con la persona che mette sul palcoscenico la sua concretezza, ne restituiscono uno specchio privo di consistenza, disincarnato, in cui il corpo si fa e si disfa.

Così l’identità, spiega a margine la compagnia, da cui questo lavoro prende le mosse. Perfetto indefinito è infatti un omaggio a Claude Cahun, pseudonimo di un’artista che di motivi per essere aliena ne aveva molti. Surrealista, donna, misconosciuta, ebrea ed omosessuale, faceva del suo essere altro da numerose maggioranze uno strumento artistico. Giocando con il travestimento, gli orpelli, l’androginia, sfuggiva a qualsiasi definizione, anche sul piano artistico, rifiutando di farsi limitare scegliendo di limitare in modo netto i propri ambiti di interesse.
Una lezione che Dehors/Audela ha fatto completamente propria, dando vita a un progetto il cui titolo non potrebbe essere più calzante. Ne emerge una giustapposizione di frammenti, nei quali tutto ciò che per un istante può essere apparso concreto sfuma in nebbia, in macchie di Roschach alle quali ciascuno è chiamato a dare il proprio, personale, significato. Opinabile, individuale, impossibile da fissare in una interpretazione, perchè, «i sogni si prendono gioco delle ragioni, [..] il solo incontro fondamentale si è prodotto prima della realtà».

Perfetto Indefinito è una sfida allo spettatore, una provocazione che associa frammenti senza soluzione di continuità, senza una linea da seguire, in una mancanza di coerenza eletta a obiettivo necessario.
Una scelta che può affascinare e urtare nella stessa misura, e che ripropone una controversia che ha abitato e abita ancora le – spesso accese – discussioni di chi si occupa di teatro.
Non cerca di farsi capire, e anzi appare rifiutare ogni certezza, in un contesto di «crisi e fluidità dell’identità» che tuttavia necessita di essere glossato per essere compreso.
A chi non possieda questi strumenti resta un’atmosfera sospesa a cui sembra mancare un punto di arrivo e dove la logia che fa da collante è l’assenza di qualsiasi senso definito, tra citazioni pittoriche destinate solo allo spettatore accorto, che spaziano dalla Venere con gli stracci di Pistoletto e il San Giovanni Battista di Leonardo, l’«invertito per eccellenza»

CrashTest fornisce questa possibilità garantendo agli spettatori l’incontro con la compagnia, ma l’interrogativo resta ineludibile. Dove finisce il diritto dell’artista di suggestionare senza offrire niente di meno nebuloso di questo, e dove inizia il diritto dello spettatore di comprendere anche ciò che si trova al di fuori del proprio personale orizzonte di conoscenze?

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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