Pordenonelegge #10. Da dee a streghe. Un saggio ridà voce alle donne che curavano.

immagine per Erika MadernaLa cura. Tradizionalmente, un compito femminile. Dai molti volti, perchè non significa solo accudimento e oblatività. Significa potere sulla via e, talvolta, la morte. Da dee a dannate, da guaritrici a streghe. Dalla notte dei tempi a parabola del femminile può essere letta attaverso questa lente.
Così ha fatto Erika Maderna, nel suo Per virtù d’erbe e d’incanti edito da Aboca.

Formazione da archeologa, ha scelto di seguire un percorso che chiama di ritorno a sè, occupandosi della storia delle donne. «Mi affascina – spiega – il mondo degli archetipi», che dal mito sono tramandati alla storia e da essa ritonano nella fiaba, nel fantastico, ad esempio sotto forma di streghe. Una trama che avviene attraverso la narrazione, la parola, che è il primo strumento magico nel potere nel potere delle donne.

Herba et verba, questa significava curare. Dalle leggende alle convinzioni dei tribunali seicenteschi era la parola, infatti, la formula e l’incantamento, il solo mezzo per attivare la forza magica della guarigione e quindi di un potere femminile capace di far perdere il controllo, prerogativa, lungo la storia, specificatamente maschile.

È per questo che dal Duecento in poi le guaritrici sono mutate in streghe, e hanno cominciato a fare paura. Ed è a loro che Maderna ridà voce, in un documentatissimo saggio con la intensità emotiva della narrazione romanzesca.

Figure ambivalenti, portatrici di bene e male, nbelle streghe l’archetipo femminile di natura e madre, si integra con quello della donna sapiente, in una condizione di liminarietà tra inferno e paradiso definita determinata in un senso o nell’altro solo dalla condizione sociale, incalza Lella Costa.

Le ricette riporate dai verbali dell’Inquisizione e dagli erbari delle monache erano le stesse, ma l’abito permetteva ciò che significava morte per le guaritrici, donne sole chiamate a guadagnarsi da vivere. E mentre l’autorità delle religiose era garantita nei secoli dalla scrittura dei manuali, a condannare le guaritrici era qualità esclusivamente orale della trasmissione del loro sapere. Così la parola è potere e condanna, è magia e ciò che uccide.

Quello che sappiamo sulle streghe, infatti, viene esclusivamente dai processi, dal punto di vista dei carnefici. Il compito che Maderna si dà è cancellare questa riduzione al silenzio. Restituire a queste donne i loro nomi, ritrovare le figure del mito. Come Aneodice, si finge uomo per imparare la medicina.

Nell’antica Atene tutti usufruivano dei suoi servigi, in particolare le donne, messe a parte del suo segreto. Perseguitata da mariti gelosi era stata condannata a morte, e si era vista costretta a svelarsi, palesando l’inconcepibilità della sua posizione ma, racconta la leggenda, inducendo tutte le donne di Atene ad essere disposte ad immolarsi per lei.

Anche il percorso che porta ai tribunali religiosi ha però radici antiche, racconta la storica. La persecuzione delle donne farmachides è già nelle pagine di Tito Livio, che ripercorre il primo processo di massa a un gruppo di matrone accusate di essere untrici di un’epidemia e condannate a morte.

Non solo il potere (maschile) attacca le guaritrici, lo fa anche il sapere, che pure ingloba parte di questa farmacopea fin dai tempi antichi.

Uno dei grandi nemici delle medichesse, spiega la studiosa, è la medicina ufficiale, incarnata da quei medici ai quali la genre del popolo preferiva la guaritrice, perchè capace di porsi in empatia, di instaurate un rapporto tangibile, laddove il medico non toccava mai il paziente.

Il lavoro certosino di Erika Maderna recupera un patrimonio simbolico immenso, che trova le sue radici e le sue spiegazioni nella storia, strettamente connessa col potere. Non a caso, la peggior colpa delle streghe era insegnare. «una donna sapiente non è pericolosa – sintetizza Lella Costa – tante donne che sanno, sì». In assenza di una legislazione specifica sulla stregoneria, ad esempio, si ricorreva a quella per eresia.

Non a caso molte eresie, come quella catara, riconoscevano alle donne un grande potere. La caccia alle streghe, ne consegue, non è che un pretesto, che tuttavia non si è fermato fino al Settecento. È l’illuminismo ad arginare, progressivamente, il fenomeno: «le streghe hanno smesso di esistere quando abbiamo smesso di bruciarle» sintetizza un aforisma di Voltaire.

In questa «storia raccontata a voce sola da uomini» Erika Maderna ridà esistenza a voci tenere e straziate, quasi tutte italiane, cui bastava cantilenare nel proprio dialetto perchè ciò che non era compreso diventasse demoniaco agli occhi del potere, che con la tortura induceva donne disarmate a dire ciò che voleva.

Dopo una prima fase in cui raccontavano le proprie reali occupazioni, le vite salvate, le presunte streghe vedevano il proprio processo volgere al peggio, e tentavano spesso di salvarsi ricorrendo a un immaginario stereotipico della strega di cui anch’esse erano a conoscienza, suggerito da un potere che costruisce un’elaborata architettura concettuale, inventando persino una insulsa etimologia di ‘femmina’ come minus fides, per screditare la percepita influenza del femminile sulla vita e la morte.

È così che si semina «L’abdicazione a ogni forma di pensiero» commenta Lella Costa, che spinge a non ascoltare la più naturale delle obiezioni: «se io fossi stata strega vi farei del male». Eppure, le presunte streghe ben sanno di non avere alcuna speranza, stritolate in un meccanismo tanto perverso. I verbali riportano frasi potenti, poetiche, inequivocabili: «Stringo i denti e diranno che rido».

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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