Pordenonelegge #12. Scrivere di cinema. Il premio per i giovani critici cinematografici e l’esperienza di Lucia Mascino

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Lucia Mascino

Un mestiere difficile, ancor più in un tempo in cui le occasioni professionali si restringono. Eppure sempre più cercato, da ragazzi che vedono soprattutto nella rete l’occasione di sperimentare il racconto del loro sguardo su ciò che amano.

Quella del critico cinematografico è una professione che affascina anche le generazioni che ormai stanno cambiando il loro modo di fruire i film, ma non l’amore con cui lo fanno, acquisendo – sempre di più – competenza e consapevolezza. Quella che dimostrano anche sul palco di Cinemazero, dove Pordenonelegge premia i vincitori del concorso pensato proprio per loro: il premio Scrivere di cinema, dedicato al critico Alberto Farassino.

Un’occasione sempre più colta dai giovani, che ogni anno, dopo essersi cimentati come recensori, hanno l’occasione di incontrare, nel corso della premiazione, l’esperienza di un testimonial di grande valore, pronto a svelare i retroscena del mondo del cinema e ripercorrere la propria esperienza.

Madrina dell’edizione 2018 è Lucia Mascino, attrice di teatro, cinema e tv, reduce da un anno intensissimo che al cinema l’ha vista protagonista in diverse occasioni, da Amori che non sanno stare al mondo diretto da Francesca Comencini, fino a Favola con la regia di Sebastiano Mauri, affiancata dal sodale di sempre Filippo Timi – compagno di scena anche nella serie I delitti del Barlume su Sky

Incalzata da Enrico Magrelli di Holliwood Party, i ricordi dell’attrice marchigiana tornano a quando la sua età e quella dei ragazzi in platea coincidevano: i vent’anni che l’hanno spinta a lasciare la facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali dopo aver scoperto il mondo del teatro.

È una traversata all’insegna di una composta eppure limpida empatia, senza pose d’artista, quella in cui racconta a una platea attenta che è stato un insegnante del corso ad Ancona, la sua città, a invitarla a sostenere un primo colloquoi al Centro di ricerca e sperimentazione teatrale di Pontedera, cui la giovane inesperta si presenta all’insaputa della famiglia. Ripescata dalla selezione, si trova costretta a partire da un giorno all’altro, per una strada mai più lasciata.

Mesi intensi, nei quali, sintetizza, più che la tecnica ho imparato «che si poteva guardare in un altro modo, sentire in un altro modo, soffermarsi a parlare per ore di una emozione» la scoperta, insomma, di un mondo impensabile.

Una ricerca, un continuo interrogarsi su ciò che sottende strumenti e significati del proprio Mascino applica replica dopo replica, ciack dopo ciack. Che ha però preso le mosse dalla prima, radicale domanda, pure spesso inevasa. Qual è il compito dell’attore? L’esperienza induce l’attrice anconetana a una risposta fortemente emotiva, istintuale, «recitando non cerchi di convincere il pubblico, ma di entrare pienamente dentro quello che fai. Se lo vivi, lo spettatore lo percepisce e la credibilità è giocata su un piano diverso: il pubblico ti vede precipitare dentro qualcosa, giocare con te stesso».

Attraverso lo strumento principe dell’attore, il corpo, che una lunga consuetudine sia con la macchina da presa che con il palcoscenico ha insegnato all’attrice ad adattare a entrambi, muovendosi su diversi piani e valorizzandone le differenze.

«In teatro sei al servizio del testo, c’è la necessità di una pulizia assoluta del gesto. Al cinema invece si chiede di essere naturale, ma si è inevitabilmente dentro un artificio» Teatrale è infatti sinonimo di posticcio, ma è sicuro, si domanda l’attrice, che il naturalismo ossessivamente ricercato dal cinema sia un pregio? Che «sporcare tutto sia necessario?». Favola è, secondo lei, la risposta alla domanda. In un film che è programmaticamente del tutto artificioso, è proprio in questo aspetto che si riscontra il suo fascino, senza che la finzione ricercata intacchi la verità dei sentimenti. Chi l’ha detto, suggerisce, che il tempo di un silenzio non possa essere efficace se dura anche cinque secondi?

A mettere a rischio l’efficacia di una ripresa sono, piuttosto, le necessità tecniche: i tempi dilatati, le ripetizioni ossessive moltipicano il rischio dell’irrigidimento, e sono pochissimi i registi che applicano l’espediente dei Dardenne, nascondere il momento nel quale si gira. Nel mestiere dell’attore di cinema, sintetizza, «c’è una grande differenza tra teoria e pratica, è un allenamento a gestire il caos, a essere isolato e insieme a buttarsi in quello che vivi».

Eppure il cinema conserva la sua magia, che Mascino rintraccia in particolare nello spirito di condivisione, nel «sogno reale» di un numero enorme di persone che lavorano nella stessa direzione. Una esperienza che nella sua esperienza ha raggiunto il culmine sul set di Francesca Comencini, in cui la commozione soverchiava tutta la troupe, creando unità tra persone e permettendo alla scena, spiega, di dilagare. Un evento non comune, che però è una efficace merafora del modo in cui una scena è da intendersi. «La scena va giocata nel momento, e sei come sei per quel momento e dipendi dagli altri».

Una misura, quella della centralità dell’elemento umano, che Lucia Mascino applica anche nel suo rapporto con la critica. Le legge sempre, ammette, e fatica a non farsene toccare. «Giudico belle quelle che si lasciano inondare. Mi accorgo subito se c’è un’intenzione punitiva, un mero esercizio di intelligenza. Soffro dell’assenza di com-passione»

E non sono recensioni punitive, spiega Alessandro Venier, quelle dei vincitori del Premio Farassino, selezionati dalla giuria composta da Viola Farassino, Giorgio Viaro, Adriano De Grandis e lo stesso Magrelli. Sul podio della sezione Young Adult, il terzo classificato Giuseppe Fadda e il vincitore Alessandro Castellino condividono la pellicola analizzata, Loro 2, mentre il secondo, Matteo Arfini, si è soffermato su I segreti di Wind River.

Nella sezione Under 25, invece, c’è maggior varietà: la terza classificata Tea Pescatore ha scelto LovelessChiamami col tuo nome è valso a Giovanni Chessari il secondo posto mentre Tommaso Drudi, il vincitore, ha scelto di analizzare Dunkirk.

Il premio Mediateche FVG, riservato agli studenti delle scuole superiori del territiorio, è invece andato a Giulia Vietti del Liceo scientifico Marinelli di Pordenone per Blade Runner 2049. Un riconoscimento che consentirà all’intera classe la partecipazione al festival Le voci dell’Inchiesta.

Mentre spiegano le loro scelte, che gli sono valse la composizione per un anno di una redazione all’interno della rivista Mymovies, che li accrediterà come propri inviati all’edizione di quest’anno del Far Eas Film Festival, stupisce la competenza, la consapevolezza e la lucidità di tutti I giovani aspiranti critici.

Senza dubbio una buona notizia per la critica del prossimo futuro.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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