La Supercoscienza di essere nel mondo e in sé, alla ricerca delle esperienze di picco

immagine per Colin Wilson

Se ci si sofferma a pensare, capiterà ad ognuno di richiamare alla memoria attimi di improvvisa e travolgente felicità, dalla quale si è stati sorpresi in un momento apparentemente casuale. In questi momenti, inconsapevolmente, si è vissuta un’esperienza di picco.

Se è sperimentalmente nota a tutti come fenomeno estemporaneo, non così è per la sua consapevole induzione. Di questo si è occupato Colin Wilson, che nel suo Supercoscienza: isola la questione e ne fa materia filosofica.

La figura di Colin Wilson è interessante e multiforme. Una figura inedita per l’Italia, non così per la Gran Bretagna, dove non sorprendeva la sua abilità di conciliare competenze di romanziere fantascientifico, saggista ed esperto in psicologia transpersonale (ovvero quella branca degli studi della psiche che ci trascende) e persino esperto degli stati non ordinari di coscienza.

Un ingegno multiforme su cui Edizioni Tlon offre un nuovo sguardo al pubblico di Book Pride, presentando proprio lo studio sulle esperienze di picco.

Un saggio, spiega l’editrice Maura Gancitano, che contiene una molteplicità di piani e di letture, in cui la bulimia culturale di Wilson si esprime in una coesistenza di aneddoti colti, letteratura e teatro.

Wilson non si pone l’obiettivo, in questo agile e profondo saggio, di offrire un prontuario dei molti già in commercio che svelano presunti segreti reconditi, bensì di analizzare un fenomeno attraverso le vite che vi si sono misurate. Vite come quelle di Beckett, Van Gogh, che gli permettono, per converso, anche di soffermarsi su «una questione filosoficamente rilevante come la natura della coscienza, definita per differenza come un basso potenziale di quello che potremmo essere», chiosa il traduttore Nicola Bonimelli.

Una analisi, quella di Wilson, che si iscrive perfettamente nell’obbiettivo di  indagare i viventi che Book Pride si è dato, non solo perché permette di indagare ciò che riguarda il vivente attraverso ciò che lo supera, ma anche perché, senza fornire ricette miracolose, segnala invece che la possibilità di eccedere l’ordinarietà non ha nulla di miracoloso, bensì è in nuce nella coscienza stessa.

Nella grande quantità di ambienti in cui il saggio di Wilson si addentra, c’è spazio anche per una lettura storica sia della filosofia che della letteratura, attraverso una lettura critica dei movimenti su cui si è incardinata.

Per esempio, secondo Wilson «il romanticismo è quel momento in cui l’essere umano scopre la libertà interiore. Scopre che può chiamarlo così», spiegano gli editori. Il Werther di Goethe ad esempio, ha una natura diversa da prima «perché la risonanza tra il vissuto interiore e il mondo davanti a sé non sarebbe stata vissuta nella stessa maniera». Eppure, a frenare l’intuizione dei romantici sovveniva quello che Wilson chiama «l’effetto Ecclesiaste» ovvero la certezza che tutto è vano, fino a giungere a porre come premessa l’assenza di significato dell’esistenza.

Ne consegue che l’onere che Wilson si assume è quello di fondare un terzo romanticismo, che segua quello storicvo e quello esistenzialista, facendo una sintesi di illuminismo e romanticismo.

Supercoscienza dunque non regala tecniche, ma propugna la necessità di superare l’antitesi fra necessità di rinuncia al controllo di sé e l’eccesso di razionalità, altrimenti, sostiene, la coscienza sarebbe costretta a una costante e irrisolvibile oscillazione tra due poli.

Rievoca quella che Castaneda definiva “follia controllata” senza sradicarsi da sé, e che per prende il nome di  «bi coscienza», cioè un uso di facoltà intellettive accantonate per essere contemporaneamente nel tempo e in sé.

In una trattazione accessibile e densa, Wilson tematizza uno stato che l’attore conosce bene, quando si sottopone a lunghe sessioni di sforzo per poter rendere al meglio accedendo a un livello superiore di coscienza liberato dalla razionalità. Eppure non serve sperimentare questi estremi di sforzo e di dolore, per giungere a esperienze di picco che in questo caso sarebbero del tutto casuale.

Lungi dall’iscriversi all’ormai sterminata lista di guru e santoni che offrono ricette della felicità, Wilson vuole invece «liberare dalla convinzione che la felicità coincida con la costante perdita di controllo», e che felicità e profondità non possano convivere. «Senza negare la profondità del mondo si può non negare un concetto di beatitudine».

Eppure, ed è il maggior pregio del saggio, Wilson si incardina su una regola fondante. Non esistono mezzi rapidi per giungervi. Il mezzo è invece, spiega Gancitano, l’«esercizio quotidiano dell’attenzione. L’azione ha a che fare con l’esigenza di fare meno. Evitare la dispersione di energia costante e continua».

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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