I molti uomini che non vedono le donne che scrivono

Cosa accade se un uomo, un uomo di potere nel mondo letterario, prende coscienza dell’apporto delle donne? Si accorge, per esempio, che le donne non sono solo la netta maggioranza delle lettrici, ma sono soprattutto le voci di incasso maggiore di tutte le case editrici? Se quell’uomo è Luigi Spagnol, può accadere che si stupisca, perchè nelle librerie i nomi delle scrittrici aumentano, ma qualcosa non torna.

Può succedere dunque che gli venga voglia di concedersi un semplice, innocente, divertimento: contare quante donne hanno vinto un Nobel per la letteratura negli ultimi trent’anni. E scoprire che sono otto. Potrebbe fare lo stesso tentativo col Premio Campiello: sono dieci. Ma potrebbe incupirsi molto, se – consultando l’albo d’oro del Premio Strega ne scoprisse solo quattro.

A questo punto, non resta che prendere atto di un dato di fatto: la considerazione critica delle scrittrici è miserrima. Da ciò la pubblicazione, su Il Libraio, di un’approfondimento su questo, che poneva una semplice domanda: Perché? Semplice quanto la risposta che Spagnol si è dato «perché il potere critico è saldamente maschile e gli uomini si rifiutano di riconoscere le donne».

Una risposta che ha dovuto sostanzialmente darsi da solo, se è vero che, del molto scalpore suscitato da quest’inchiesta, quasi nessuna veniva da uomini, che non hanno ritenuto di sentirsi chiamati in causa.

Paradossale, in un momento storico che – anche sul piano editoriale – sembra andare in un altra direzione: i libri più venduti al mondo degli ultimi anni sono scritti da donne, annota, e anche il femminismo sta riacquisendo una nuova centralità, passando anche attraverso – pur goffe, per molti versi  – esperienze come il Mee too, che sembrano pronte a intendere in modo nuovo i rapporti di potere, e in cui «il femminismo sembra prendere le dimensioni anche di un filone letterario».

Per sciogliere questo paradosso, Tempo di Libri ha scelto di muovere dal gesto di Spagnol per convocare un ricco parterre di autrici, per aprire un discorso che, in realtà, le trascende, lo nota Helena Janecek, autrice di La ragazza con la Leica, (Guanda), mentre sottolinea l’importanza che questo discorso lo facciano gli uomini,  «per confrontarsi con un problema più loro che nostro».

Le donne scrivono e vendono più degli uomini, lo sanno e continuano a farlo. Sono questi ultimi piuttosto che, sino a non molto tempo fa dichiaravano di non leggere mai una scrittrice. Una consuetudine, secondo la Janecek, rivelatrice, dato che in essa: «sento la sintomatologia di una crisi del maschile, perché nell’epoca d’oro del romanzo borghese gli uomini scrivevano di donne e le donne scrivevano personaggi estramamente maschili». Che in questo rigido arroccamento di genere nasconda una crisi di quei maschi  «che fanno quelli che  per mestiere hanno scelto di interpretare il mondo»?.

Loredana Lipperini (L’arrivo di Saturno, Bompiani) da par suo, ben conosce le risposte alle osservazioni femminili su questo tema, derubricate a vittimismo di autrici quantomai lontane dal «pozzo nero del sentimentalismo» che si attribuisce loro.

Eppure, chiosa Bianca Pizorno, avremmo dovuto essercene accorti tra il Cinque e l’Ottocento, quando le donne hanno trovato parola, anche se spesso celate dietro a pseudonimi maschili. E invece così non è se Grazia Deledda, ha dovuto, ancora all’inizio del ventesimo secolo, lasciare Nuoro e la Sardegna perchè le sue sorelle potessero sposarsi, libere dello stigma della parentela con una poco di buono come una scrittrice, che pubblicava libri dimentica della propria onorabilità.

Tutte o quasi, nota amara Giusy Marchetta hanno gioito, giovani debuttanti, al sincero complimento: «scrivi come un uomo». È ancora spesso quella, ammettono, la certificazione di essere «parte di una comunità di prestigio».

Allora il tema non è se davvero possano esistere davvero tematiche “femminili”, quanto piuttosto cosa spinge a scegliere quelle parole come un complimento?

È a questo punto che la critica assume importanza, e l’esclusione delle donne dal canone letterario si fa dirimente: «se ci vedono come alternative siamo trascurabili».
Ma anche l’esclusione dal canone deve avere una spiegazione:  un problema di temi?  Lipperini lo nega e con lei la letteratura: romanzi come Revolutionary Road parla di un tema preteso femminile, per bocca di un uomo, e ha avuto una eco enorme.

Il problema allora non può che essere lo sguardo, che ha spinto gli estensori di un canone a valutare come universali storie che descrivevano un tempo, un’etnia, spesso una condizione sociale. Ed un genere, quello maschile. E allora, davanti alla donna, che resta fuori, sintetizza Spagnol, «sembra non si possa parlare di altro che di sensibilità femminile» come se esistesse, e a tutto il resto non resta che rintanarsi nel cantuccio del politicamente corretto. Come uscirne? «La parola definitiva non c’è ma importa aver iniziato a pronunciarla».

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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