Il meraviglioso spietato e reale di Alice. Intervista con Dehors/Audela

immagine dello spettacolo della compagnia Dehors/AudelaIl tema su quale debba essere, oggi, la funzione del teatro, è quanto mai aperto.

Si può andare incontro ai gusti del pubblico, oppure spingerlo alla scoperta, suggerire suggestioni lasciando che sia chi osserva a creare connessioni, spingendolo in territori e forme che non si aspetta.

La compagnia Dehors/Audela ha scelto questa strada. Anche a Teatri di Vetro continua la propria ricerca colta fatta di commistioni di linguaggi, regalando una nuova luce a un volto che siamo spesso convinti di conoscere: quello di Alice di Lewis Carrol.

Il 4 novembre alle 21, al teatro del Lido di Ostia, meglio non presentarsi con un bagaglio di certezze, perché il corpo-voce Elisa Turco Liveri, i video di Salvatore Insana e – per la prima volta – le sculture sonore di Simone Pappalardo, le metteranno in crisi. Più nel bosco non andremo? sfida a scoprire cosa ne risulterà.

Li abbiamo incontrati, per provare a tracciare una mappa dell’inaspettato.

Il mondo di Alice e delle sue meraviglie è stato ampiamente esplorato. Cosa significa per voi?

Le meraviglie di Alice sono quelle del linguaggio che deraglia, se ne va per regole proprie e delira con piena consapevolezza. Innanzitutto, Alice è essere molte cose e nessuna al contempo.

Da qualche anno ci interessiamo al concetto di “neutro”, come ciò che scardina il paradigma, la regola, come possibilità di espressione artistica che sta in mezzo, come via per dare risalto a ciò che viene considerato marginale, interstiziale, indefinito. Alle infinite, inafferrabili sfumature delle forme e degli animi degli esseri.

Insieme a Simone abbiamo pensato al neutro come una delle caratteristiche del bambino e dell’infanzia, a quel tempo che viene prima di prendere o di vedersi assegnati una forma, una dimensione, un genere. Non a caso in alcune lingue (inglese, tedesco, francese) il termine bambino è neutro.

Questo tema, declinato attraverso i nostri diversi linguaggi ci ha condotto a mettere mano su Alice ad altri autori/mondi contigui, quello dei quadri di Balthus, quello di un testo poco conosciuto di Picasso, Le quattro bambine.

Il vostro approccio multidisciplinare questa volta si concentra sulla musica. Come mai questa scelta?

Il progetto nasce da un’idea di Simone Pappalardo, che è un compositore di musica elettronica, e creatore di installazioni sonore. Abbiamo trovato molta affinità tra la sua ricerca e la nostra, una volontà comune di sfuggire alle definizioni e alle etichette, agendo per via laterale, sottile, ma anche radicale, asistematica e selvaggia.

Così Più nel bosco non andremo? resta felicemente in bilico tra forma concerto e qualcosa di diverso e non identificato, fatto di tappe e di interruzioni, di accensioni e di buchi neri.

Le immagini di Salvatore Insana vogliono evocare un senso di indefinito. Lo trovate nel testo o è conseguenza del vostro approccio?

Entrambe le cose: Alice cade in un mondo “meraviglioso” fortemente allucinato, onirico, misterioso ed enigmatico, ma a tratti molto spietato e realistico. Sogna o vive una realtà parallela?

Il nostro lavoro da qualche anno si concentra sul fuori fuoco, come scelta radicale che si oppone all’alta definizione, ancora una scelta carrolliana di non allineamento con l’ufficialità estetica dominante. Le due cose vanno in qualche modo di pari passo.

Cosa vi ha guidato nella scelta dei tre luoghi-quadri? Il bosco, la tavola del tè e il mondo oltre lo specchio, così diversi fra loro?

I luoghi sono in realtà quattro: il fungo, la foresta, la tavola del tè e l’oltre lo specchio. Sicuramente gli strumenti di Simone, per forma e caratteristiche sonore hanno in qualche modo influenzato la prima riscrittura del testo, che ha evidenziato l’interesse per questi luoghi rispetto ad altri.

Restando fedeli allo spirito di Carroll, quello della trasformazione e dell’attraversamento delle dimensioni, quindi di tappa in tappa, di postazione in postazione, Elisa è sempre diversa, come presenza e come atteggiamento, insieme tenera e perturbante, fragile e determinata, a seconda dei materiali-strumenti con cui si relaziona.

Il movimento è quello di un corpo-strumento mosso dal suono e dalla condizione che quell’habitat sonoro e visivo produce.

Evocate Alice Liddell, la “vera” Alice a cui è dedicata quella del romanzo. Questo passaggio fra verità e finzione è anche nel vostro lavoro?

Si, molto sottile, ma c’è. Ci sono due testi in particolare in cui avviene questo scivolamento tra luogo immaginario e realtà, ad esempio la foresta invasa dai soldati, che si confonde con i luoghi urbani assediati dai militari e le foreste di confine, dove viene data la caccia ai migranti, ma il tutto è solo accennato, non amiamo essere moralisti.

L’immagine reale di Alice Liddell non corrisponde a quella più conosciuta e massificata diffusa dalla Disney, nelle foto di Lewis Carroll questo si vede a colpo d’occhio…

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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