Bookcity #3. Come scrivere un giallo? Marco Malvaldi in cattedra tra arte e umorismo

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Marco Malvaldi

Come si scrive un giallo? Una domanda che chiunque abbia avuto velleità letterarie si è visto costretto a porsi, per cui ogni corso di scrittura ha le sue pretese ricette infallibili. Anche Bookcity ha offerto la sua. Nessuna pretesa di esaustività, però, bensì la penna di uno dei più apprezzati giallisti italiani: Marco Malvaldi.

Un affetto testimoniato dalla Sala Viscontea del Castello Sforzesco gremita e pronta a carpire i segreti dei romanzi di un autore amato anche perché non si limita ad essere giallista.

Nell’ora di «corso di scrittura gratuito» c’è infatti spazio per tutte le competenze di Malvaldi, dalla chimica all’arte a quell’ironia visceralmente toscana che lo ha reso immediatamente riconoscibile, passando per la matematica. I lettori lo identificano soprattutto con la saga dei Delitti del Barlume, in cui a improvvisarsi detective sono quattro vispi vecchietti di un paesino immaginario del lungomare livornese.

La scrittura di Malvaldi esplora però anche altrove, non solo in ambito saggistico.

Il nuovo romanzo da cui muove la sua lezione è infatti ambientato altrove, nel paesino di Poggio alle ghiande.

Ed è da questo punto che si snoda l’agile prontuario dello scrittore di Vecchiano (paese anche di Antonio Tabucchi) per scrivere un giallo.

Punto primo: la scusa.

In un paesino dove tutti si conoscono, occorre fare arrivare qualcuno da fuori, e far morire qualcuno. Se il motivo per il quale ciò accade non è sufficientemente solido, l’intero romanzo crolla.
Nell’ultimo romanzo Negli occhi di chi guarda, ad esempio, il paesino situato fantasiosamente nei pressi di Donoratico, non conosce gli infarti. È quindi necessario che le istituzioni spediscano un gruppo di genetisti a scoprirne i motivi e un filologo per ricostruire gli alberi genealogici. Ecco che l’arrivo degli sconosciuti è spiegato con coerenza.

Da qui il secondo punto: gli spunti migliori li offre la realtà.

Poggio alle Ghiande non è fantasia: vi si nasconde Campo di Mele, nel frusinate, dove questa particolare circostanza è reale, per motivi sia genetici che notevole incidenza di figli illegittimi. Una storia scovata in un assurdo giorno di neve a Frosinone, su un giornale locale.
Così i personaggi.

Non devono mai essere del tutto fittizi. Alla realtà basta cambiare qualche particolare. Del resto, come non inserire il rilegatore Sellerio che ha – nella casa scavata nel monte – una stanza con un tavolo chirurgico e una sega spezza ossa dietro una porta di acciaio smaltato. È per la selvaggina, ma l’immagine è più evocativa di qualsiasi Hannibal Lecter. Lo scrittore, ospite atterrito, non ha che da archiviare un simile soggetto nel proprio «atelier di personaggi» mentale a cui attingere all’occorrenza.

Ma l’aspetto più importante è un altro. I trucchi.

Malvaldi paragona il suo mestiere a chi si riprenda mentre risolve un cubo di Rubick in pochi secondi senza averne mai maneggiato uno o conoscere gli algoritmi. Affascinante, ma furbo. È sufficiente prendere un cubo nuovo, scomporlo, e montare il video alla rovescia.

L’architettura dei suoi gialli è tutta qui: procedere dalla fine. Se, spiega, si conoscono le conseguenze che una data azione deve produrre, ogni causa è possibile, purché conduca a un punto di arrivo dato, a un effetto predeterminato.

Il giallo muove dall’inganno. Tanto più ciò avviene se si scrivono gialli umoristici.

Non è difficile disseminare di indizi un romanzo, se immediatamente dopo si tratteggia una scena ironica. Il lettore è istintivamente spinto a identificare la situazione come divertente, piuttosto che utile allo scioglimento.

Malvaldi, con il suo consueto stile fresco e divertito, fa sembrare tutto quanto di più semplice. In poche frasi sembra convincere tutti di poter essere giallisti. Anche se rimane il sospetto che la sua mente pronta non stia facendo altro che ingannare tutti una volta di più. Da chimico infatti, ben conosce dosi e ingredienti di un composto che funziona: uno sguardo preciso dato, secondo lui, proprio dalla formazione scientifica, che occorre mano abile per padroneggiare.

In una lectio sempre sul filo tra divertita modestia e tributo ai maestri, anche l’ironia viene specificata come non sua.

Sarebbe, spiega, l’imitazione di Ettore Borzacchini alias di Giorgio Marchetti (che fa capolino anche dal romanzo) autore di un Dizionario della lingua livornese ad uso delle persone colte e dei pisani dove note apparentemente serissime che riportano grandi poeti italiani, si chiudono in apocrifi e divertentissimi lampi di spirito.

È questa commistione di aulico e volgare a rendere unica l’ironia anche di Malvaldi, che dell’ironia toscana assorbe la soglia di spudoratezza «più alta del normale». Un gusto, quello dell’autore pisano, nato ai tempi del dottorato in chimica, quando riscriveva i verbali delle riunioni nei modi più provocatori e strampalati.

Anche l’ironia, spiega, altro non è che l’uso consapevole del potere del simbolo e dell’astrazione. Lo stesso dell’arte. È in questo, dice, che secondo lui si situa l’arte, inclusa quella contemporanea.

Essa ha, secondo Malvaldi, tanto maggior valore quanto più è capace di lasciar cogliere spontaneamente il rimando tra la propria astrazione e ciò che concretamente essa vuole evocare. L’efficacia dell’arte chiama in causa lo stesso tipo di abilità necessaria se si vuole avere senso dell’umorismo.

La fruizione di un’opera d’arte o letteratura, infatti, non può essere se non attiva. La commedia, poi, chiama in causa direttamente. Essa, chiosa lo scrittore, «non è altro che tragedia che non ci riguarda». Se invece ci coinvolge direttamente, è strumento di comprensione: «se ridiamo di noi è perché riconosciamo un errore». E anche questi, quando compiuti da un autore, finiscono con l’entrare a far parte di un romanzo.

Una lezione esilarante e densa, che non resta che tentare di mettere in pratica.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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