Pordenonelegge #11. Le donne e il potere. Michela Murgia rilegge Le nebbie di Avalon

immagine per Michela MurgiaChi è il tuo eroe? Una domanda che ci si sente fare spesso fin da bambini, quando l’immaginario è nutrito di narrazioni. E che raramente prevede una delclinazione al femminile, dato che mel fantastico, spesso, «la donna al massimo è la motivazione dell’eroismo». Alcuni anni fa, la domanda è stata posta anche a Michela Murgia.

È da lì che nasce quello che sarà L’inferno è una buona memoria, pubblicato da Marsilio, che da questa domanda ha preso spunto per dare vita a una collana in cui gli scrittori raccontano il proprio eroe letterario, il libro che ha cambiato loro la vita.

Michela Murgia, che Pordenonelegge accoglie con un’espolosione di affetto quasi da rockstar, ha scelto un’eroina inopportuna: Morgana di Avalon. Una scelta controcorrente in un panorama spesso snobistico come quello letterario, che vuole lo scrittore come figura algida e profonda, la cui vita non può che essere stata indirizzata da Proust, da Tolstoj, non certo da un feuilletton.

Eppure, è da lì che Michela Murgia trae molto della sua consapevolezza, del suo sguardo sulla realtà e – – ammette – la traccia dei suoi romanzi, che sono ampiamente debitori del bestseller di Marion Zimmer Bradley Le nebbie di Avalon.

La incalza, come nell’occasione che – a Mantova – ha generato l’idea, Chiara Valerio. Un sodalizio consolidato e fecondissimo, e Pordenone se ne accorge presto. Quello che apre davanti al pubblico friulano è il confronto tra due persone di rara intelligenza quanto di assoluta ironia, cui la confidenza consente di confrontarsi atraverso riflessioni mai banali anche quando sono nel registro dello scherzo, soprattutto con una freschezza assoluta che fa della giocosa schermaglia tra le due autrici con ogni probabilità l’incontro più divertente dell’intero festival, che si regge su una rete di suggestioni condivise. Dracula, ad esempio, evocato da Chiara Valerio, che non si muoveva mai senza le proprie casse di terra, senza cioè, completa la scrittrice sarda, il luogo in andare a riposare, ritrovare sè e coltivare ‘l’inestinto’. «Quel che in me è in estinto – conclude – certamente sta in Morgana»

Da qui nasce l’amore per questo racconto del ciclo arturiano dal punto di vista femminile, che l’autrice di Cabras fa scoprire che «entro una trama che già conosco c’è una donna che non conosco affatto». Un rovesciamento di prospettiva che eccede di molto l’espediente narrativo, il vezzo tecnico. Porta invece con sè uno sguardo del tutto inedito, prima, poichè «dal punto di vista femmuinile la gloria non è gloria, l’eroe non è eroe e l’impresa non è impresa». Il vasto corpus noto come materia di Britannia si scopre così per molti versi inerte, e Morgana rimane portatrice di una memoria e la sua incarnazione, «dimenticata da tutti per tutti ricordare».

In Zimmer Bradley le donne hanno, innanzitutto, il potere della parola, che rovescia il modo in cui le donne percepiscono la propria immagine letteraria. Sono agenti di potere, non solo più oggetti d’amore, che in Zimmer Bradley diventa accidentale, o comunque di certo n«on l’elemento che determina le scelte.

Un cambiamento che rende evidente, agli occhi di Murgia, la profondità del solco che negli anni della sua crescita aveva separato i generi, specchiandosi nelle narrazioni. Ai bambini si dà un perchè, alle ragazzine un per chi. È la relazione che le definisce, crescono senza vocazione a essere se stesse». Un’architettura concettuale che ha una realizzazione concreta nelle molte donne che si sentono definite da una relazione, intendendone il fallimento come quello del sogno che è stato messo loro in mano con la prima bambola.

Morgana invece, che pure è innamorata di Lancillotto e non è immune dalle illusioni del sentimento, agisce come deve, dimenticando il suo amore in più occasioni: specchio di un genere di donna che Murgia rintraccia in un altro tempo, e con il quale è cresciuta, quello delle nonne pronte a mangiare i propri animali d’affezione,. Perchè «sapevano la differenza tra quelllo che può essere amato e usato, sapevano che a volte le cose coincidono», e decidevano, chi e quando poteva piangere.

È il feuilletton di Zimmer Bradley, secondo Murgia, a restituire alle donne la tragicità e respiro epico che il fantastico ha per secoli negato loro.

Una restituzione che esige un passo in più, in cui Murgia compie il percorso di Zimmer Bradley, intessendo alcuine pagine del saggio della sua consueta prosa a suo modo lirica. L’emersione della voce di Morgana, laddove l’autrice de Le nebbie di Avalon sceglie invece una terza persona neutrale. È con questo romanzo che Michela Murgia inizia a maturare la propria idea del potere in relazione al femminile, riconoscendo che «l’idea che non possiamo fidarci l’una dell’altra serve solo per evitare che diventiamo potenti insieme, el’amore è qualcosa che si sono inventati gli uomini per dare alle donne qualcosa con cui giocare che non fosse il potere».

Invitata da Valerio a dire qualcosa di più politico – «e quando dico più politico intendo più letterario» Murgia individua proprio nel concetto di potere la pars destruens del suo saggio rispetto alla materia di Britannia.

«Tutto il ciclo è un racconto di relazioni di potere. Dentro questo il genere non conta niente». La storia è debordante di dimostrazioni di quanto può essere feroce una donna quando prende in mano il modello maschile,nnota, basti pensare a Margaret Tatcher. Un modello di potere belluino e sottrattivo, spiega, in cui i bisogni crescono in relazione all’uso della violenza, che secondo la scrittrice è la fotiografia dell’oggi.

Zimmer Bradley invece insegna che ne esiste anche un altro; non uno contro l’altro ma insieme. È una prospettiva femminile, che però non viene da una pretesa disposizione naturale, bensì dall’esperienza lingo la storia: «le donne non sono mai state tanto potenti da essere sole», e per questo hanno fatto rete. Compreso che, da una posizione di minoranza non è possibile rivendicare il potere da chi lo detiene, ma occorre darselo da sé, sono le donne ad aver sperimentato l’empowerment.

La strada altra rivendicata da Zimmer Bradley affronta il tema del potere perché non può essere eluso, ma, commenta Murgia (e commenterebbe l’autrice inglese) «io voglio essere potente al plurale, il maschile nella storia ha sviluppato un potere individuale» che ha bisogno, come l’amore, di essere nominato per esistere.
L’eccentricità della scelta di Murgia sta anche nell’elezione a capitale di un libro fantasy, genere abitualmente poco frequentato dai lettori italiani, come ha notato anche il premio Nobel Ishiguro, che a sua volta si è occupato del ciclo arturiano, affermando: «mi servo di oggetti pensati petr fare altro, ma è il modo in cui sono assemblati che li fa volare, come le macchine di Leonardo. Non mi importa da dove prendo, se poi la storia vola».

Allo stesso modo, chiosa Murgia, la distribuzione nelle edicole non può essere condizionante per valutare la qualità del lavoro di Zimmer Bradley. «non esiste letteratura alta o bassa, solo modi bassi o alti di pensare la letteratura». Tutto può essere strumento di grande letteratura.

Significativo sul piano del simbolico è anche il rapporto con l’acqua, a sua volta rintracciabile nella biografia della scrittrice sarda. Nel romanzo «il rapporto con l’acqua è un rapporto col tempo e con la memoria, ed è tramite il simbolo della coltre di nebbia che il mondo delle donne potenti si rivela suicida, perché, a fronte della minaccia che viene da fuori sceglie un isolamento che è una chiara metafora di morte.

Qui si riscontra anche, secondo Murgia, il motivo per il quale, benchè abbia contribuito fortemente alla sua formazione femminista, quello di Zimmer Bradley non è un libro compiutamente femminista: indulge infatti alla rappresentazione del mondo femminile come statico, mentre è quello maschile ad essere dinamico. Inoltre, quello a cui cu si riferisce in gran parte è un potere magico che non è mai stato negato al femminile, una rappresentazione che passa attraverso la natura, mentre è all’uomo che è demandata la dimensione della cultura.

Alla narrazione del femminile, infatti, secondo Murgia, lungo la storia non mancano le maghe, ma le regine, le donne che hanno deciso i destini. Questo simboleggia l’acqua, la stessa dello stagno sulle cui rive sorge il paese dell’autrice, Cabras. Uno specchio d’acqua salmastro che, come Avalon, le ha insegnato che «l’acqua stagnante non può essere il tuo confine, perché altrimenti è la tua tomba»

Eppure è da lì, come da Avalon, che nasce la scrittrice Michela Murgia, da una letteratura che non è bassa, perché essa non deve essere misurata su quello che è, ma «su quello che siamo»

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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