Più Libri Più Liberi #4. A lezione di Costituzione per essere persone a partire dalla scuola

Christian Raimo © foto Musacchio, Ianniello & Pasqualini - NB la presente foto puo' essere utilizzata esclusivamente per l'avvenimento in oggetto o per pubblicazioni riguardanti Più libri più liberi

La Treccani definisce persona: «individuo della specie umana, senza distinzione di sesso, età, condizione sociale e simili», ed è a partire da questa definizione che, proprio l’Istituto Treccani ha convocato davanti a una platea di studenti attenti e appassionati, come alcuni adulti si rifiutano di considerarli, Christian Raimo, che per l’occasione ha smesso i panni dello scrittore per ritrovare quello dell’insegnante, di quelli che ne portano la vocazione.

Dentro la suggestiva Nuvola di Fuksas che ospita anche l’edizione 2018 di Più Libri Più Liberi, Raimo parla a giovanissimi come Laura, una delle protagoniste del suo più recente romanzo, La parte migliore (Einaudi) la cui suggestione si rivela di fatto un pretesto per indagare anche la relazione tra adulti e ragazzi. Laura e sua madre Leda, psicologa quarantacinquenne, ma che nel corso dell’evento romano si declina, e declina la parola persona, nel contesto e nel linguaggio che più di tutti è chiamato a far si che essa fiorisca: la scuola.

Il luogo dove, più di tutti si applica uno degli articoli più densi della Costituzione, il terzo, che nelle parole dello scrittore, in un’agile e pregnante esegesi, smette di essere strumento polveroso e inerte per recuperare tutta la sua attualità e capacità di parlare con limpida chiarezza anche e forse soprattutto ai ragazzi. Alle persone di domani.

Usando anche parole che loro conoscono bene, e svelandone il senso profondo. L’articolo 3 infatti è quello che spiega che «tutti i cittadini hanno pari dignità e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni sociali ed economiche», ma soprattutto chiarisce che è «compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’ugualianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».

Si tratta, spiega il professore, dell’unico articolo in cui la carta usa la parola «compito». Non obiettivo, non impegno. Un lemma immediatamente decifrabile a tutti gli studenti, che porta con sè una chiamata di inevitabilità. Un compito, spiega il docente, non lascia spazio all’intenzione o alla responsabilità di ognuno. Si tratta invece di un onere dai contorni ben precisi, che deve essere portato a termine in una data scadenza e non può in alcun modo essere eluso.

Compito che si concretizza nel rimuovere degli ostacoli. Non spostarli o ridimensionarli, spiega. Eliminarli completamente. Ostacoli che impediscono – prosegue il legislatore, preferendo a un congiuntivo possibilista un indicativo forse dissonante ma pregnante, una lucida presa di consapevolezza: quegli ostacoli esistono, sono una realtà concreta e costante: non si valuta la possibilità che essi esistono, si sancisce l’esistenza di un problema che deve, di necessità, essere eliminato.

Come quello della dispersione scolastica, che tocca il 13,8% dei giovani, stando al rapporto OCSE 2017. Un dato concreto, come gli ostacoli che si annidano dove spesso non li si vede.

Nel sistema delle ripetizioni e dei compiti a casa, che marcano una differenza di possibilità economiche che scava dei solchi in relazione alle possibilità di essere sostenute o ai mezzi con cui vengono svolte, nei consigli orientativi per la scelta della scuola superiore, che «riproducono le classi sociali» se non nel modo in cui vengono formulati nella consapevolezza in cui vengono recepiti.

È di fronte a queste problematiche prettamente tangibili che la Costituzione vuole essere «strumento dinamico» e formare persone. Che definiscano il loro essere tali – così come la loro cittadinanza – in ossequio a questo principio: «essere italiani, non significa possedere delle caratteristiche etniche, ma farsi carico di quel compito».

Sullo stesso solco la scuola deve essere, auspica Raimo, «laboratorio di uguaglianza», non fucina di una pretesa meritocrazia, termine che lo stesso inventore del termine, Michael Young, aveva coniato in un romanzo di fantascienza del 1958, The rise of meritocracy, per definire la distopia di un mondo indotto a implodere da due interrogativi ugualmente impellenti oggi: chi decide qual è il merito? e soprattutto: che ne è di chi non ce la fa? della fila degli invisibili di quel 14%, ma anche dei NEET, di chi semplicemente fa più fatica?

Per rispondere a questi interrogativi la scuola deve tornare a essere il luogo dove si forma la persona e quindi, chiosa Raimo, «laboratorio politico: l’obbiettivo della politica deve essere l’adempimento di quel compito, di quell’articolo».
Con l’ausilio della letteratura, che secondo Raimo è da intendersi come «strumentario morale», il mezzo che «ci aiuta a capire la complessità del mondo anche nelle pieghe più oscure della condizione umana».ì

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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