Pordenonelegge #2. Al-Aswani, ode alla rivoluzione

«La rivoluzione non è solo un fatto politico, è una straordinaria attitudine umana». Ala Al-Aswani lo sa bene, perchè una rivoluzione, quella egiziana di Piazza Tahir, nota alle cronache come parte della Primavera araba, lui l’ha vissuta personalmente. C’era, tra quei giovani che, spiega, chiedevano senza averla mai vissuta una democrazia non solo apparente, laica, unfrao stato finalmente non governato nè dai militari, nè dai Fratelli Musulmani, come invece accade, nella storia dell’Egitto, da ormai molti decenni.

Ed è proprio ciò che è avvenuto in quei giorni che lo ha spinto a farsi scrivere, abbandonando un altro progetto e imponendo alla sua urgenza la «storia umana della rivoluzione» che intesse Sono corso verso il Nilo, pubblicato da Feltrinelli e presentato nelle prime ore di Pordenonelegge 2018. quelle di cui Al-Aswani, rimarca, si fa strumento narrativo, sono le vicende umane, le relazioni, gli scontri e gli amori nati in quella piazza, che stanno sotto la storia ufficiale ma la costruiscono.

La lezione, spiega Gigi Riva presentandolo al pubblico friulano, è quella di Truffaut: «non bisogna fare film politici, ma farli politicamente». Di questo avverbio è intessuta ogni parola dell’autore egiziano, sia essa impressa su carta o tra quelle che consegna alla stampa prima che la platea si allarghi.

Politica è la sua consapevolzza di poter essere strumento culturale e narrativo di una opposizione che incarna da sempre, tanto al regime di Mubarak, quanto a quello degli islamisti, fino alla dittatura di Al-Sisi, che definisce «la peggiore che si sia mai vista in Egitto» protagonista di una violenza repressiva di cui la comunità internazionale pare non accorgersi pienamente.

Una violenza che lo scrittore ha potuto sperimentare direttamente, perchè è proprio il regime, chiarisce, da molti anni, a riconoscergli un ruolo di influenza sui giovani che lo inorgoglisce, a considerarlo leader culturale dell’opposizione. Uno status che lo conduce non al pericolo di essere censurato ma come gli è stato chiaramente detto, annientato, distrutto.

Aswani in Egitto non può scrivere sui giornali su cui ha da sempre scritto, non può essere ospitato in tv, le proposte di film sui suoi libri sono state bloccate quando ormai tutto il budget era stato speso, le pubblicazioni interrotte sotto minaccia dell’arresto, la figlia esposta a un caso mediatico montato ad arte.

Tutto ciò che è caratteristico di ogni dittatura, chiarisce. Come per ogni regime, non essere con loro significa essere contro di loro, ed essere contro può significare la morte. Come è capitato a tanti egiziani e a Giulio Regeni, su cui lo scrittore è più volte invitato, nella terra di Giulio, a spiegare se può esistere speranza di una verità.

Al-Aswani, che conobbe il giovane ricercatore e lo ricorda come persona di intelligenza brillante, si limita a poche parole molto chiare «Non ho prove, ma so che il regime non fa differenza di nazionalità fra chi prende di mira. E nessun governo deve abbassarsi a compromessi per dare giustizia al barbaro assassino di una vittima innocente».

La vicenda di Regeni è evocata nel libro, attraverso una scena simile, descritta con la crudezza su cui il libro non indulge, come non lo fa su tutti i contrasti che una rivoluzione porta con sé. In particolare quelli fra generazioni, che – tra i suoi personaggi accuratamente delineati – si trova incarnata nello scontro fra il generale dei servizi segreti e sua figlia.

È questa, spiega, la situazione dell’Egitto. Una spaccatura profonda tra i padri cresciuti nel paternalismo spietato della dittatura, arresi e incapaci di comprendere cosa muova quei giovani che invece la loro realtà vogliono iniziare a cambiarla adesso.

Non si può capire, sintetizza, la rivoluzione egiziana, senza questo scontro, che non coinvolge soltanto genitori e figli, ma viene affrontata in primo luogo a partire da sé stessi, liberandosi dai condizionamenti imposti da decenni avvitati su se stessi, in una continua ciclicità in cui due poteri, quello militare e quello religioso, fingono una contrapposizione che in realtà è piuttosto un balletto per il potere che vede succedersi, tra militari e fratelli musulmani, l’alleanza, lo scontro, la riconciliazione, senza soluzione di continuità apparente, perché la certezza che nulla cambi, spinge a farsi bastare quel che c’è, malgrado la violenza.

Per questo è prima di tutto con sé che, spiega, ha a che fare la rivoluzione: «avere a cuore la propria dignità senza preoccuparsi delle conseguenze».

E, anche se i suoi personaggi – che, spiega, una volta nati dalla sua fantasia, agiscono da soli – a volte sembrano avere dei dubbi, lo scrittore non ne ha: «Questi giovani sono un miracolo. In Egitto, il quaranta per cento della popolazione è giovane, quindi anche se adesso il potere è dei controrivoluzionari, io non posso che essere ottimista. Sono certo che la rivoluzione vincerà. Il futuro è nostro».

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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