Michela Fregona. Dentro la classe degli altri, il mondo reale

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Il mondo per ciò che realmente è.
E si potrebbe finire qui. Cercando l’esattezza con cui Michela Fregona ha tessuto le sue pagine, basterebbe forse questo a raccontare La classe degli altri Apogeo editore.

O meglio. È un motivo necessario e forse sufficiente a farsi avvincere da questo romanzo che di romanzo ha solo il nome (un gesto di garbato pudore) ma non basta. Perché dentro ci sono vite, molte vite. E appunto, il mondo.

Cos’altro è, in fondo, una scuola, una classe, se non un frammento preciso del mondo? Lo sa chiunque ogni mattina entra nelle aule delle nostre scuole, magari da decenni, e lo conoscendo l’importanza, l’urgenza e la capacità trasformativa del tempo trascorso tra quelle mura.

C’è, però chi lo sa ancora meglio. È chi in quei luoghi ci entra la sera. Ci entra senza orari. O con gli orari necessari a chi c’è. Sono quei docenti che davanti a un provveditore hanno scelto di svolgere la loro missione (mi si passi il termine ampolloso) in un Centro Territoriale Permanente.

Un luogo, si è scritto, di “seconde chance e primi approdi”; laddove vengono lasciate scivolare le zattere alla deriva di chi qualcun altro ha già dichiarato perduto a un futuro, dove vengono sospinto chi sbarca salvo dalle navi che cercano un futuro migliore.
Sono queste le vite, scolpite ai bordi, a cui Michela Fregona e i suoi colleghi sono chiamati a offrire gli strumenti di un domani possibile.

Possibile ma incerto. Possibile e sofferto. Possibile e felice. Nei dieci mesi – che anche gli anni scolastici, in un CTP o in un carcere, prendono il tempo che occorre, quello che si può – in cui la professoressa Fregona entra in classe ci sono tutti. Hanno nomi declinati in modi sempre diversi, ma forse qualche storia si può accostare. Ci sono le madri, che tornano a scuola mascherando la vergogna nel banco accanto alle figlie, dopo aver lasciato decenni fa quello di una classe moldava o siciliana che sia.

Ci sono gli uomini con le mani vissute dal lavoro che adesso le posano sulle spalle di un adolescente che la scuola del mattino ha battezzato senza speranza, ci sono le ragazze o i giovanissimi che entrano in classe cercando nelle parole il passaporto per un mondo nuovo, fatto di occasioni, anche soltanto quella di regalarsi un gelato, o invece quella di sparigliare le carte di un destino già deciso o di pescare le proprie.

Volti, nomi declinati in ogni lingua, che lo spazio condiviso fa simili e amici. Sono gli altri. L’alterità è dichiarata fin dal titolo, eppure lascia un senso di disagio, scomodità, e colpa. Non quella che ci si potrebbe aspettare, però. Nella densità di varietà, lingue, storie e mondi che descrive la prosa asciutta ed elegante insieme di Fregona non cede mai alla retorica.

Lontano, anche dalle mura del carcere, il gusto peloso della narrazione della marginalità, delle parabole esistenziali messe lì a insegnare qualcosa, a segnare un solco tra i pretesi ultimi e tutti gli altri, del monito cattedratico.
Altro, anche nella diversità, non è mai davvero diverso. Ed è questo a rendere potente la narrazione di Fregona: la vita che ci accomodiamo a considerare altra ci cammina accanto. Eppure ci spiazza, e ci chiama a chiederci perché. Il punto di osservazione del romanzo, in questo senso, è eloquente.

Le valli del bellunese, monti duri, freddo pungente e strade lunghe e buie presto. Eppure la città, il ventre caldo della provincia veneta opulenta e orgogliosa. Il luogo perfetto per aprire un vivido ed emozionante sguardo su un mondo che noi, quelli che hanno avuto un’adolescenza comune, un percorso scolastico comune, quelli della scuola del mattino, scopriamo improvvisamente occupare le nostre stesse aule.

E noi non ce n’eravamo accorti. Li abbiamo incontrati per strada, eppure quanto spesso non li abbiamo voluti, saputi, vedere? Li abbiamo chiamati altri, e lasciati soli. A conquistare le loro vittorie, o a scontare le proprie sconfitte. Perché non sempre ci si riesce. Anzi. Ogni storia, ogni vita portata a un diploma cucendogli intorno il proprio modo personale vale un anno di lavoro di tutti, ogni sconfitta, ogni resa, di una ragazza o di una donna che non ce la fa, non se la sente, rinuncia, è un lutto con cui si scende a patti solo perché altro non si può fare.

Perché la vita, fuori dai romanzi, a volte è poetica, a volte è spietata. O entrambe le cose insieme, quando scorrendo le pagine incontri un Nico, che paga con la vita il coraggio di aver voluto guardare in faccia qualcosa di più grade di noi. Ed è proprio dentro questo senso di grandezza che le parole di La classe degli altri accompagna chi a quel mondo si sta soltanto affacciando. Ma ha la forza di spingere – con grazia e decisione – a non voltare la testa dall’altra parte. Perché la classe è di altri, sì. Ma simili a noi al punto della mimesi.

Cosa ha deciso davvero a che ora entriamo a scuola? Ne abbiamo davvero un qualche merito, o forse sarebbe giusto ascriverli a chi, anche dopo dodici ore di fabbrica, o centinaia di tornanti di corriera all’alba, vuole o riesce a mettersi sulle pagine dell’Orlando Furioso?

Eppure, anche questa idea Fregona la lascia formulare a chi legge. Non c’è una presa di posizione, chiarice in esergo. C’è la possibilità di prendere una posizione. Il mondo, appunto, com’è. Le storture del sistema scuola, le ipocrisie delle persone che compongono la società, le parole – spesso vuote – delle istituzioni. Una radiografia impietosa e vitalissima della realtà. Rabbia e commozione, frustrazione e arricchimento.

Dentro questo romanzo c’è – sintetizzato in trecento pagine che scorrono e scuotono – la scuola e il suo senso, che nelle aule del mattino, forse, qualche volta si perdono –  offrire a ognuno gli strumenti per prendere in mano la propria vita.

Accogliere – in qualsiasi giorno dell’anno, da qualsiasi percorso, idea di sé, universo arrivi – uno studente e consegnare al mondo un essere umano.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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