Iniziazione alla magia: Sara Gamberini e Matteo Trevisani insegnano a perdersi nel reale

immagin per Sara Gamberini, Matteo TrevisaniRomanzi iniziatici, è questo il filo che lega le storie di una delle numerose presentazioni doppie che Book Pride ha regalato al suo pubblico. Connessioni sempre profonde, mai di maniera, capaci di aprire sguardi altri. Questo è più che mai vero per Maestoso è l’abbandono di Sara Gamberini, edito Hacca, e per  Il libro dei fulmini di Matteo Trevisani, pubblicato da Atlantide che iniziano a mondi al di là del percepibile.

Da una parte c’è una donna, Maria: non può fare a meno di affidarsi a tutti, si innamora di uno psicoterapeuta estremamente razionale ma diventa adulta attraverso le trame misteriose dei sogni.

Dall’altra c’è un uomo, Matteo, che affronta «prove sempre più magiche per conoscere meglio sé stesso», muovendosi nei luoghi densi di storie di una Roma sotterranea che diventa vero e proprio personaggio del romanzo.

Maestro di cerimonie di questo incontro è Vanni Santoni, che riconosce «in entrambi una ricerca dell’identità, cui inevitabilmente spetta una sfasatura». La ricerca dell”identità passa poi per una ricerca amorosa, che nel caso di Trevisani prende quasi di transfert che portano a luoghi sovradimensionali.

Una lezione che, spiega, gli viene dal buddismo tantrico, dalle nozze alchemiche, in cui è il rituale a subire una erotizzazione. I due amanti del romanzo «procedono per tentativi e creano una sorta di dipendenza dall’oltre. L’amore non è più elemento alto sublime ma abbassato al fondamento di tutto».

Per Gamberini e la sua protagonista, invece «l’amore è quasi solo sublime, idealizzato».

A congiungere le due opposte e complementari narrazioni: «la fede cieca in un altro mondo».

Il più evidente parallelo tra i due romanzi è però, più semplicemente, la loro natura di esordi, in cui Santoni mette in evidenza una  scrittura matura. Sono puntuali e precisi, e provano una elevata consapevolezza letteraria, una rarità per gli esordienti, che ne fa due debutti di assoluta qualità.

Un livello raggiunto, raccontano gli autori, attraverso un certosino di limatura che nel caso di Gamberini ha comportato tre diverse riscritture, mentre nel caso di Trevisani ha reso necessario abbandonare tutto ciò che conosceva, i consigli di scrittura, le lezioni degli amati Carver, Foster Wallace, che lo avevano condotto a «una lingua non mia per storie non mie», e ritrovare invece gli italiani perduti: Landolfi, Vicolo, De Santillana.

Ad avvicinare le due vicende anche l’uso generoso dell’autofiction. La protagonista di Maestoso è l’assoluto deve molto alla biografia di Gamberini, che però spiega di aver cercato un «io universale, con grande equanimità», prendendosi la libertà di partire da sé per poi inventare.

Nel caso di Trevisani, invece, si cammina persino sul filo della mimesi: il protagonista porta il suo stesso nome. Si, tratta, però, di una maschera. Ha voluto «dare in pasto il nome dell’autore per cancellare chi è lui». Al suo protagonista Trevisani presta però anche la professione, alcuni tratti, rivelando una connessione profonda con lui. Ne emerge con forza la dimensione del doppio: due parti divise di un’anima, unificata appunto dalla tensione all’assoluto.

In questi due romanzi anche ciò che potrebbe rientrare nel dominio dell’eccesso, retorico in Gamberini, visionario in Trevisani, si mostra coerente al tentativo di dire l’indicibile. La ricerca delle parole giuste, Gamberini spiega di averla trovata in «una sorta di lirismo, di linguaggio poetico» e che invece in Trevisani si confronta con il coraggio e anche la sfrontata fiducia di venire recepito con la stessa naturalezza con cui ha scritto ed esplorato il magico, nonostante i pregiudizi che spesso attendono chi si confronta con l’altrove.

Per converso, segnala Santoni, entrambe le storie si confrontano con un rovescio della medaglia, necessario e compenetrato all’alterità: Il reale, che in Gamberini è la psicanalisi, mentre è la geografia dei luoghi della Roma di potere in Trevisani.

In Maestoso è l’abbandono, si tratta però di un reale da rovesciare, dato che  «lo psicanalista ha in mano il potere di un dogma, il potere di una verità che non è tale».  In Libro dei fulmini, invece, si tratta di una ricerca.

Se infatti il progetto del romanzo muove da un’inchiesta e da un amore per i luoghi abbandonati di Roma e, nel romanzo medesimo, si sostanzia nella ricerca delle pietre che denotano la sapienza alchemica delle grandi famiglie romane, la ricerca dell’autore si muove nella consapevolezza che «il linguaggio è l’unica mappa per entrare nelle cose, così come in Roma e la Città eterna diventa come il corpo per i Greci: la tomba dell’anima ma l’unico modo per attraversarla».

E così anche l’abbandono, anche ai sogni, si mostra in Gamberini necessario ad attraversare l’anima, «è maestoso perchè tragico, e il vuoto è quasi mistico, ascetico, sacro.

Alla radice resta, fondativa, la fede in un altrove, in un sentire magico, che può essere raggiunto, a patto di essere, senza pregiudizi, disposti a cercarlo.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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