Il vento non si può fermare, con Viva l’Italia, Fausto e Iaio tornano a teatro

Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, che gli amici chiamano Iaio, sono da poco maggiorenni. E il 18 marzo 1978, sono stati al parco con gli amici, e adesso sono diretti, come tutti i sabati sera, a cena a casa di Fausto.

Poi, andranno a un concerto blues. O meglio, sarebbero andati, perché Fausto e Iaio vengono uccisi, in via Mancinelli a Milano, da otto colpi di calibro 32, sparati da tre uomini che erano stati già notati più volte in quei giorni negli stessi luoghi che Fausto e Iaio frequentavano, ma che nessuno aveva mai visto prima.

Vittime di un agguato, che ha raggiunto il suo scopo. Ma Fausto e Iaio erano due diciottenni qualsiasi.  Sì, si vedevano spesso al centro sociale Leoncavallo, stavano collaborando alla stesura di un libro bianco contro la droga, l’eroina che falcidiava i loro coetanei. Si esponevano, ma non in prima linea. E allora perché sono morti?

Se lo è chiesto anche  Roberto Scarpetti, drammaturgo, quando ha incontrato la loro storia e ne è rimasto folgorato, decidendo di farne uno spettacolo teatrale, Viva l’Italia, in scena fino al 18 marzo al Teatro Elfo Puccini. E si è dato una risposta. Fausto e Iaio sono morti perché erano passati due giorni dal sequestro Moro. Perché avevano diciotto anni nel pieno del fermento culturale, sociale e politico di quei giorni, quei mesi, quegli anni. Perché erano i giovani di allora, «che tendevano a mettere una parte di sé nel pubblico, cercando qualcosa anche per gli altri».

Senza eroismo, senza grandi gesti, solo perché questo vento lo portava l’aria che si respirava in quel momento. E i tre uomini in impermeabile chiaro volevano fermarlo. «Con la loro morte questo fermento è finito», annota amaro Scarpetti. E allora forse conta poco che Fausto vivesse vicino a un covo delle BR, o che dietro il commercio di eroina ci fossero i fascisti.  Maria Iannucci, sorella di Iaio, non ha mai avuto dubbi, raccontano gli attori: era un attentato contro quel clima, quella spinta a una nuova società. E i due ragazzi di Milano ne sono stati simboli e martiri.

Come portare in teatro questa storia, individuale e collettiva, locale e nazionale insieme? Scegliendo un teatro civile a sua volta ibrido, che abbandona il narratore onnisciente per mettere in scena cinque personaggi: Fausto, la mamma di Iaio, il killer, un poliziotto e il giornalista, che partono dal giorno dell’omicidio per ripercorrersi.

E anche il testo è un’ibridazione. di cui gli interpreti offrono alcuni intensi stralci. Il killer, interpretato da Umberto Terruso, ad esempio, camerata romano che va a Milano «un po’ come partire per la gita della scuola» è un personaggio di finzione, perchè Bracci e Carminati, nomi di spicco dei NAR, sono stati indiziati, ma l’assenza, ancor oggi, di una verità giudiziaria impedisce di identificarli con certezza nell’omicida.

Il Killer è così un personaggio paradigma, parte di una cellula del Nar, che ospitava estrema destra (Fioravanti) e banda della Magliana e, «pare, come in tutte le formazioni terroristiche di allora, infiltrati dei servizi segreti», spiega il drammaturgo. Nel volto del killer c’è anche un ragazzo di colore membro a sua volta dei NAR, Giorgio Vale, trovato morto, pare ucciso dai poliziotti: quindi anche l’assassino è insieme Mario Corsi che, spiega Scarpetti, fu verosimilmente l’uomo che sparò, Bracci e Vale.

La ricostruzione dell’inchiesta reale è invece affidata al poliziotto e il giornalista, a loro volta desunti dalla realtà. Del primo infatti cambia solo il nome, il secondo è del tutto reale. Le loro scoperte sono invece pre-datate. Non avvennero nel 1978, come da finzione drammaturgica, ma sono in realtà emerse dopo il 1982 a partire da un ritrovamento in casa di Corsi, e da un’accusa diretta mossa a Carminati da una testimonianza in carcere di Angelo Izzo, uno degli assassini del Circeo.

Sulla scena, spiegano, ogni azione è sempre detta, come voce di coscienza. Una scelta, spiega Federico Manfredi, che veste in scena i panni di Fausto, che «non ci fa lavorare sull’identificazione, ma offre epica al racconto». Così gli apparenti “tradimenti” finizonali alla vicenda offrono umanità ai personaggi, «non soltanto funzioni drammatiche» ma ragazzi, con il loro portato di contraddizioni e sensazioni.

I personaggi raccontano la propria vita, mentre le cose avvengono vivono una quotidianità, vivacizzata dalla regia di Cesar Brie, che ha voluto si inserissero porzioni dialogate nell’intenso giustapporsi dei monologhi. Un’esperienza potente, l’immersione in questo lavoro, soprattutto per Terruso, cresciuto nella stessa strada ma nato due anni dopo la morte di Fausto.

Attraverso questa parte, spiega, «Ho trovato una coscienza civile, riscoperto un senso di giustizia». Manfredi, pur bolognese, sente tuttavia bene l’universalità di questa vicenda, evocata anche Danila Tinelli, la mamma di Fausto, che disse: «io mi sento argentina e Fausto e Iaio due desaparecidos».

Anche per  Brie, è un ritorno. Nel marzo del 1978 infatti ha partecipato ai funerali, confuso in una scioccante marea di centomila persone. Fausto e Iaio «sono diventati due simboli, due metafore» che trascendono Milano per raccontare un periodo storico.

Lo dimostra il molto interesse riscosso ovunque, per «un rimosso collettivo che genera sete, bisogno di sapere, di avere risposte, ogni città in quei mesi ha i suoi morti e le sue ingiustizie, e Fausto e Iaio rappresentano tutto questo». Un rimosso al punto tale da aver stremato anche la signora Tinelli, per l’angosciosa assenza di una verità, ancora dopo quarant’anni.

Eppure è proprio questa la funzione di portare questa vicenda a teatro. Quando il potere spegne la luce, all’artista resta non far spegnere la voce.

 

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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