Je suis la mer. Vanessa Korn mette in scena un approdo nella possibilità

immagine per Vanessa Korn

Sempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?

A fissare nella memoria una delle poesie più celebri di Costantinos Kavafis è il messaggio che l’obiettivo del viaggio non sia la meta, ma la strada compiuta per raggiungerla. Ma se il punto cardine del viaggio non fosse, con un’idea già ormai un po’ frustra, il viaggio, bensì il suo mezzo, il mare? Luogo in affascinante e spaventoso, che separa e unisce. Luogo di esplorazione e di naufragi.

Da qui parte Je suis la mer, al Teatro Franco Parenti. Vanessa Korn porta in scena un monologo il cui titolo cita Brel, mentre Kavafis non c’è ma vi troverebbe posto con agio. C’è invece una giovane donna, che si offre con grazia al pubblico, apparentemente sfarinando il confine tra teatro e confidenza, tra sincerità e messa in scena. È credibile, la giovane donna che si racconta, che cerca di annodare il filo dell’empatia con lo spettatore condividendo la paura del primo passo, come la prima volta che si osserva il mare: la paura e la magia di chi non ha – ancora – sovrastrutture. E con questa ingenuità espone, condivide, il farsi di una scena come di una vita, la navigazione di una fase di passaggio, che passa dall’essere protetti, al desiderio di proteggere.  Nel ricordo l’eco del mare asiatico sulle cui sponde Vanessa è nata, nel presente la tempesta di una vita che cambia. E nella sua, quella degli esseri umani per cui ogni giorno si fa speranza, nemico, e troppo spesso tomba.

La storia individuale della protagonista diventa così metafora di una conteporaneità porta con garbo, levità e riducendo al minimo la retorica, perchè si offre voce a una sorte che potrebbe essere la propria. Che è la propria, perchè è di chiunque si metta in viaggio, dentro o fuori di sé, trovarsi in balia della tempesta.

Avere il bisogno di separarsi, per tornare interi, dopo. È anche dei miti, anche degli eroi, persino dell’eroe Ulisse  chiedersi «e adesso, per cosa posso essere intelligente?» in un mondo in cui improvvisamente, la guerra che conoscevamo è finita e il mondo è cambiato? Come ricomincia una vita come quella del naufrago giapponese Ruichi, che scopre finita la sua guerra con trent’anni di ritardo? Quando il mondo a cui tornare fa più paura del mare?

Vanessa Korn costruisce un flusso, che trova in uno spazio che non ha confini tra dentro e fuori dalla scena, il suo luogo ideale. Un’ora in cui trovano spazio, con eleganza, tutte le frecce al suo arco d’attrice: c’è l’emozione, l’ironia, il ricordo personale e il teatro civile.

Nella cornice di una scrittura raffinata, e di uno stare in scena che ha la leggerezza della danza, Je suis la mer, maschera il ricorso ad un tema non inedito. L’impressione che ne resta lascia l’eco di un racconto di Raymond Carver: “una piccola cosa buona”.

Che si intesse di citazioni, da Cesare Pavese alle lettere dei migranti morti nel mediterraneo, per tratteggiare il disegno di un futuro di umanità in viaggio, attraverso un mare che solo se attraversato e vissuto pienamente potrà condurre a una terra nuova, a cui chiedere, come suggerisce Kavafis, quello che il viaggio stesso avrà insegnato. E allora il buio delle tempeste del presente e delle incertezze non dovrà essere rimosso, ma potrà invece essere navigato e attraversato, con il coraggio di immaginare un approdo nella possibilità. Guardarsi intorno e riconoscere che: “era una bella giornata, era tutto ancora possibile”.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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