Viaggi ad alta voce. Sulla via di Fernanda Pivano per continuare a guardare lontano

immagine per Fernanda Pivano
In viaggio con Fernanda Pivano

Passione, curiosità, visione. Il primo giorno di Tempo di Libri, inevitabilmente dedicato alle donne, inizia il viaggio seguendo queste stelle polari.
Le stesse che hanno guidato Fernanda Pivano non solo sulla strada della sua lunga esistenza prima e carriera poi, ma anche su quelle dei numerosi viaggi, conseguenza naturale del suo lungo sguardo. È una ancora non indagata, quella che esce da Viaggi ad alta voce, con il quale Bompiani riapre la scatola dei ricordi per trarne il piccolo registratore sul quale la Pivano annotava impressioni, suggestioni e pensieri sparsi dalle strade del mondo.

Parole lasciate fluire in libertà, da cui emerge Nanda per chi realmente è: profonda, spontanea, carica di ironia.

Frammenti di pensiero cuciti insieme amorevolmente dalla persona che le è stata più vicino negli ultimi anni, Enrico Rotelli, che accanto a Nanda ci si è trovato ragazzo, per uno dei fortunosi casi che talora la vita offre, e la rievoca uomo, con la tenerezza e la sincerità di chi ha condiviso una forma unica nel suo genere di garbata intimità, sostenuta dallo slancio verso i giovani che ha accompagnato Nanda per tutti i suoi novant’anni, trascorsi nel segno di una regola: «Non fidarti mai di chi ha più di trent’anni».

Sono sempre stati i giovani, chiosa Rotelli, l’orizzonte del suo sguardo: la sua attenzione e passione si riversava su chi sapeva comunicare con loro, senza preclusioni di sorta, amando anzi rompere ogni schema, pur di avvicinare «l’establishment alla gente». Così la sua intelligenza pronta e vivace, mai doma, la conduceva alla scoperta dei luoghi come dei talenti, da Ginsberg a Jovanotti, senza che tra i due ci fosse distanza né tanto meno contraddizione.

E poco importa se blasonati colleghi, con una bonomia intrisa di scherno tuonavano «fermate la Nanda!», lei ha sempre continuato, e ancora le sue parole continuano, ad aprire mondi. Gli stessi che cercava di scoprire, e di creare lottando, vivendo in prima persona una generazione, quella della controcultura dei Beat americani, che aveva fatto della presa di parola la sua cifra stilistica, numerosi decenni prima delle timide nuove manifestazioni di consapevolezza sociale e politica che oggi sembrano di nuovo affacciarsi nei suoi Stati Uniti.

Senza i suoi amici americani – chioserebbe, immagina Rotelli – molto non sarebbe accaduto e qualcosa si sarebbe, forse, potuto evitare.

Eppure sarebbe curioso vederla oggi, in prima fila a una “Women’s March”, lei che lungo tutta la sua esistenza «ha lottato perché ogni uomo fosse libero, anche se lei non lo era». Intimamente affezionata alla propria educazione vittoriana, ha fatto dei diritti di tutti, attraverso la poesia, l’arte, la letteratura, un cardine della propria esistenza, prima che della propria scrittura.

Lei che rifiutava il femminismo come lo aveva conosciuto negli anni Settanta, separatista e rancoroso, prefigurando con decenni d’anticipo l’ondata inclusiva e aperta a nuovi sguardi, non dava lezioni o messaggi.

Con una lingua che sapeva adattarsi agilmente ai mezzi espressivi più diversi, contagiava passioni, come si contagiano solo passando attraverso l’esperienza, sia quella vissuta dei viaggi, da sola o in compagnia di Ettore Sottsass, sia quella raggiunta attraverso l’immersione che solo la potenza delle storie che fanno epoca sa regalare.

Era questa potenzialità rivoluzionaria, a conquistarla, a spingerla al viaggio, all’incontro, alla conoscenza profonda. Al legame. «Gli scrittori» – chiosa Rotelli – «sapevano di trovare in lei non una giornalista che poteva renderti famoso, ma un’amica».

Dalle sbobinature dei vecchi nastri e dai ricordi affettuosi emerge un mondo: una Pivano che si riconosce allieva, prima che di Hemigway di Pavese, il grande dolore della sua esistenza e l’enorme inconfessato senso di colpa di un’ultima richiesta di aiuto mancata per incastri della sorte, una donna divertita, ironica ai limiti della deliziosa perfidia, vezzosa e tenera, calata dentro a un intenso – e non banale, per una figura spesso limitata nella sua immagine dall’immagine dell’intellettuale – rapporto col corpo, proprio ed altrui, che, quanto un’opera o la mente è manifestazione di vita .

Una donna, in fin dei conti, sfaccettata e molteplice, crogiolo senza fine di suggestioni. È questo, secondo Rotelli: il «lascito di idee» di una donna che del viaggio aveva fatto forma di esistenza ma che sognava di tornare su una minuscola isoletta delle Fiji, dove tornare a leggere Shakespeare al chiaro di luna.

Se, come nel villaggio dove è morto Stevenson, re era chi sapeva raccontare le storie, sono proprio i diari di viaggio a consegnare la memoria ancora viva e vitalissima di una Fernanda Pivano regina di parole e vite di altri che si facevano profondamente sue e che solo grazie a lei restano, oggi, scolpite oltre il tempo.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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