Bookcity #5. Peter Cameron, autore poliedrico e italiano per adozione letteraria

Bookcity Milano 2017, Peter Cameron

Peter Cameron e il suo incontro con i lettori a Bookcity

Lavorare a un romanzo per cinque anni, dedicarcisi con tutte le forze, convinti di riuscire finalmente a produrre qualcosa di valido. E poi sentirsi rispondere: «In questo romanzo non succede nulla. Non è pubblicabile».

Una situazione comune a tanti aspiranti scrittori. Ma probabilmente non tutti sanno che è accaduto anche a Peter Cameron. Comincia dall’evocazione di un fallimento il suo incontro con i lettori a Bookcity, dall’incertezza e dai dubbi.

Bookcity Milano 2017, Peter Cameron

Che sembrano svanire poco dopo, quando un amico gli chiede un romanzo a puntate per una rivista. Una sfida, perché i racconti seriali devono avvincere il lettore numero dopo numero.

Cameron estrae dal cassetto così un romanzo abbozzato all’inizio del college, che si costruisce in tempo reale, settimana dopo settimana, seguendo le vicende di alcune coppie e della New York che brulica loro intorno proprio in quei giorni, tra cultura costume e le elezioni Carter contro Regan.

È soddisfatto. Fino a che il direttore non lo convoca per dire che sì, il romanzo è molto bello. Ma a un certo punto deve davvero succedere qualcosa. È a questo punto che il giovane scrittore capisce: ha avuto paura. Inserisce un omicidio, un terremoto, e tutto quel che gli viene in mente. Finalmente ha capito che «nei romanzi le cose possono succedere».

Nasce così lo scrittore di Un giorno questo dolore ti sarà utile e Quella sera dorata. Un autore amatissimo dai lettori italiani. A tal punto, rivela, che nel Belpaese i suoi romanzi «vendono più che negli Stati uniti e nel resto del mondo insieme».

Peter Cameron e Matteo B. Bianchi

Tutti, nonostante romanzi come Andorra, Il Weekend e i precedenti siano molto diversi gli uni dagli altri. Anche quando stupiva i lettori aspettandosi un rifiuto, non c’è mai stato. Incalzato dallo scrittore, autore e amico Matteo B. Bianchi sui motivi di tanta affinità, lo scrittore del New Jersey ha colto una particolare «sensibilità» dei lettori italiani, che. «si completa coi miei libri».

Un amore che si è verificato anche con i tre film tratti dai suoi libri. Pellicole che Cameron descrive come esperienze diverse, accomunate però dai problemi di budget che gli hanno offerto la misura della libertà che invece concede la parola scritta.

La particolare relazione tra l’Italia e lo scrittore americano si è concretizzata anche nella resa da parte di un autore italiano del suo romanzo più celebre: Quel Un giorno questo dolore ti sarà utile la cui regia è stata firmata da Roberto Faenza.

E di cui Cameron avrebbe dovuto firmare la sceneggiatura, se la consapevolezza che «vedevamo due New York troppo diverse» non lo avesse spinto a fare un passo indietro per concedere a Faenza una maggiore libertà.

La poliedricità di autore di Cameron si è realizzata anche nel teatro. Un testo scritto per una gloria del teatro statunitense, Marian Seldes, con la sua morte non ha mai visto la luce: è infatti convinto che ogni testo debba «esistere in quella che è la sua resa migliore».

Pochi sanno che Cameron è poi anche un micro-editore. Pubblica da diversi anni numerosi brevi testi, in tirature limitate. Un’operazione artistica in senso lato, oltre che letteraria. Chiarisce infatti di scegliere titoli «capaci di offrire suggestioni visive, più che linguistiche».

Una produttività notevole, che è stata, rivela, anche terapeutica. Spiega di aver attraversato fasi depressive che, secondo alcuni, «nutrivano la sua scrittura». Una volta uscitone, però si è invece accorto di essere «più vicino alla sua scrittura».

Nonostante la funzione terapeutica della sua scrittura, però, Peter Cameron chiarisce senza tentennamenti che rifiuta qualsiasi forma di autobiografia all’interno dei suoi romanzi.

I motivi, spiega, sono di un duplice ordine. Da un lato, non ritiene la sua quotidianità spicciola capace di fornire spunti sufficientemente interessanti da essere condivisi coi lettori, e dell’altro «la sto già vivendo», farne letteratura sarebbe un autocompiacimento «ridondante». Mentre, spiega, ciò che chiede alla letteratura è «essere trasportato altrove».

Un potere che i suoi lettori hanno dimostrato di riconoscergli.

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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