inQuiete Festival di Scrittrici #4. Chiara Valerio ritrae Natalia Ginzburg al presente, e al futuro.

Roma, Pigneto, 05/10/2018 inQuiete Festival ©ChiaraPasqualini ******************* NB la presente foto puo' essere utilizzata esclusivamente per l'avvenimento in oggetto o per pubblicazioni riguardanti inQuiete Festival *******************

Le parole e le storie con le quali ci rapportiamo quando iniziamo ad avere consapevolezza del mondo, nei primi anni, definiscono chi siamo e il modo in cui ci rapportiamo ad esso, facendo spesso da specchio e da filtro.

Lo sapeva bene Natalia Ginzburg, e anche per questo non è fuori luogo che il suo Caro Michele sia stato, per anni, nella mente della Chiara Valerio bambina il ritratto di nonno Michele, il suo.

Parte da qui il Ritratto di signora che la scrittrice e matematica dedica all’autrice torinese, apportando al felice format del festival InQuiete una dose sorprendente di freschezza, ironia e memoria intima, porta con finissima consapevolezza letteraria.

In un tratteggiare torrenziale e appassionato riaffiora la memoria sonora dell’infanzia, dove accanto a Ritratto in piedi di Gianna Manzini Natalia Ginzburg troneggia tramite il racconto, nonostante la lettura di Lessico familiare venga rimandata fin quasi all’età prepuberale, in una sorta di ribellione letteraria che dilaterà la scoperta del meccanismo che il vocabolario matematico di Chiara Valerio porta a definire «combinatorio» che sorregge i romanzi della Ginzburg.

Se però il più celebre insegna, sintetizza la scrittrice «tutti i modi in cui si può riconoscersi attraverso le parole», in Caro Michele trova «tutti i modi in cui si può non riconoscersi senza tuttavia ignorarsi».

Che passano attraverso la consapevolezza delle regole che, l’amore impone, dice, proiettato su un ragazzo chiamato al capezzale del padre ma che non tornerà mai «e la parola mai significa proprio quello che ci si immagina quando si sente»

Michele è un balordo, commenta Chiara Valerio, come lo sono quelli della sua generazione, come lo sono e li ha consegnati alla storia i ventenni degli anni Settanta, ma è Ginzburg a precisare «ognuno di noi è balordo, una zona di sé».

Chi o cosa Michele sia davvero non è dato sapere, a nessuno, su ogni fronte. Politico – nasconde un mitra smontato ma dichiara di non essere comunista – come sessuale – si sono moltiplicate negli anni le interpretazioni che volevano l’amico Osvaldo omosessuale, e ad entrambi viene riferito il termine “ambidestri”. È questo a fare di Caro Michele il «romanzo dell’incertezza».

Con agilità di pensiero e freschezza di parola il ritratto di Chiara Valerio è un intessere costante di reti di riferimenti, che passano attraverso Virginia Woolf – che, commenta, «avrei tradotto peggio se non avessi letto Natalia Ginzburg», per arrivare a Dracula, per dare una risposta a questa domanda d’essenza, «poichè ciascuno di noi è quello che è per la maggior parte del tempo».

In un blob suggestivo e straripante di frasi di quelle da appuntare sui taccuini di adolescente, che definiscono un lessico di maturazione che non è più familiare ma individuale, che passa anche attraverso il quasi parossismo elencativo di nomi e prodotti che si trovano ancora sugli scaffali e sugli schermi dalle pagine al presente, prende forma compiuta quella memoria che sul palco si fa narrata e quindi condivisa.

Al setaccio dell’analisi di Caro Michele resta, oltre alle parole, la natura epistolare del romanzo, che consente qualcosa che è proprio del genere come dell’autrice: mettere il lettore nello stesso tempo del personaggio.

Tuttavia, «ciò che è epistolare ha la caratteristica di stare non davanti, ma intorno a chi legge».

Come in Dracula, dopo pochi scambi, spiega Chiara Valerio, il lettore ne sa quanto il personaggio, è ha paura per ciò che lo aspetta ed è chiamato a com-patirne i sentimenti, commenta, discute, ragione col personaggio.

Una capacità di cui Natalia Ginzburg è stata maestra, e la sua capacità di trasportare il lettore alla tavola domestica di Lessico familiare sta li, commenta Valerio, a dimostrarlo.

Nella Chiara Valerio adulta c’è una prossimità nuova con la Ginzburg: il mestiere di editor, di cui quest’ultima è stata fulgida interprete per la nascente Einaudi, intervenendo però pesantemente in alcune occasioni, come raccontano le lettere scambiate tra Lina Brunarese e Dolores Prato: una chicca di cultura narrativa che Valerio regala e che avrebbero potuto essere tratte direttamente dalle pagine di Dracula.

Tuttavia, in un festival che parla di femminile declinato al presente, la forza di Natalia Ginzburg è di lasciare all’oggi non soltanto la memoria delle sue pagine come classico letterario, ma di sé come donna, che ha saputo «rialzare una nazione con l’89% di analfabetismo, totale tra le donne, e riavvicinarla ai libri».

La conclusione quindi non può che guardare al futuro, perché «i libri che uno legge cambiano la storia che può fare».

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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