Pordenonelegge #8. Emigrare dall’Italia, lo sguardo di chi lo fa

Migranti. Un termine che istintivamente si associa a chi arriva, ma che sempre di più riguarda chi parte.

Sono quarantamila gli italiani residenti a Valencia, mentre quelli stabilmente stanziati a Londra sono tanti quanti gli abitanti di Padova. Persone a cui sovente si riserva un’atteggiamento quasi compassionevole od astioso, che li distingue tra cervelli in fuga e persone che non hanno voluto investire su di sé nel loro Paese oppure non hanno potuto per via di un dato contesto storico.
Certo è che il loro numero è esponenzialmente in crescita, mentre l’età si abbassa sempre di più.

Dario di Vico, editorialista del Corriere Della Sera, ha voluto raccontare alcune esperienze esemplari, in Sentirsi ugualmente disuguali, per Egea. Racconti individuali, per sfuggire all’ingabbiamento di una intera generazione, la cosiddetta Y, in «format», da neet, a bamboccioni a riders.

La conclusione che il giornalista ne trae è che «quella dei cosiddetti Millennial non è una generazione senza speranza», ci sono tante storie e prospettive interessanti. Lo zoccolo duro della disuguaglianza italiana è però, senza dubbio la questione generazionale»su cui la vocazione ai giovani da sempre dimostrata da Pordenonelegge non può che rivolgere attenzione.

Per approfondirlo si è voluta dare la parola a tre giovani, partiti da Pordenone alla volta del mondo. Tre esperienze comuni, chiosa Valentina Gasparet. Non cervelli in fuga, ma ragazzi, il cui potenziale di eccellenza era, al momento della loro partenza, da sviluppare.

Tre esempi di percorsi possibili, per tutti. É il caso di Benedetta Rombolà, che ha trascorso cinque mesi a Oviedo, in Erasmus, vedendo sconvolgere le proprie abitudini dentro a una società che definisce appassionata. Un’esperienza che le ha insegnato, racconta, ad «approfittare di qualsiasi occasione, cogliere tutto, anche se è difficilissimo trovare un equilibrio».

Luca Pascotto invece, millennial non è, ma si trova coerentemente tra i relatori, a dimostrare, spiega, che «si può andare all’estero anche a quarant’anni, portarsi la famiglia, senza avere un futuro ancora tutto da programmare. Si può concepire il mondo come luogo dell’opportunità».

Impiegato in una Organizzazione internazionale, prima a Bruxelles e poi a Parigi, si è trovato a passare da una città internazionale, dove è possibile trovarsi persino con i concittadini, a una città dove dopo quattro anni si sente ancora turista. «Quando ti allontani rafforzi le radici – commenta – anche se vedi diversamente gli aspetti negativi della tua realtà».

Leonardo Goi invece è nato nel 1990, ha trascorso gli ultimi due anni delle superiori in Galles, tramite i Collegi del Mondo Unito, in cui conviveva con un ragazzo iraniano con la famiglia falcidiata dal regime, un venezuelano esiliato e un norvegese: «Uno schock culturale dal quale non mi sono ancora ripreso» commenta.

Ha poi proseguito gli studi con una laurea triennali in filosofia e una magistrale a Oxford. Laureato, poi un professore di Bogotà lo ha messo in contatto con persone della sua città. Vi è rimasto per tre anni, per poi trasferirsi a New York e poi, tra pochi giorni, a Berlino.

Fatica a identificare un carattere di italianità caratteristica ma, spiega, «sono contento di essere stato foraggiato dalla cultura. L’amore per il nozionismo, per la cultura, mi ha condizionato in tutto il mondo. Non so se questo sia una caratteristica di italianità, ma l’ho riscontrata ovunque».

Mentre i ragazzi sperimentavano il mondo, i loro coetenei sono, in numero sempre più massiccio arrualati fra le file dei rider. Un fenomeno su cui Di Vico ha una visione pragmatica: «il fatto è che sono cambiati gli stili di vita. Ci deve essere una filiera pulita, ma bisogna riconoscere che parte da un’esigenza: il vincolo è quanto il consumatore è disposto a pagare, è da quello che dipendono i diritti, perché è il valore che io attribuisco a quello che acquisto a determinare il costo del lavoro, e non può eccederlo».

In qualche modo quindi, causa e colpevole dello sfruttamento arrivano a coincidere. Non si darebbe sfruttamento senza una richiesta che non si occupa del diritto minimo del lavoratore.

Quindi, si chiede il giornalista: perché la Gig economy sembra una grande risorsa e i “lavoretti” schiavismo?

La risposta di Leonardo non è banale, e indivdua responsabilità bipartite. «A volte la mia generazione maschera l’assenza di volontà con l’assenza di possibilità, ma è vero che a New York esistono stage micropagati o volontari in percentuale molto minore che qui».

Il lavoretto, conclude Di Vico, non è da demonizzare. Ma non è concepibile che non garantisca mobilità sociale.
Se, quindi, le colpe sono sia dei padri che dei figli, dove è possibile riconoscerle?

I ragazzi rispondono in modo sorprendente, molto più duro di quanto molti si sarennero aspettati. Leonardo chiosa: «i padri mancano di volontà di lasciare emergere, ma i figli devono imparare a cercare occasioni per muoversi». Ancora più dura Benedetta Rombolà «i figli hanno scarsa motivazione, ma sono iperstimolati ed è difficile per loro incanalarsi in una direzione. I genitori però accordano troppa fiducia, a loro e alle possibilità che attribuiscono ai nuovi mezzi, che non abbiamo ancora imparato a usare e incanalare».

Siate flessibili, e imparate una lingua, è il consiglio, sintetico, di Pascotto.

Ne emerge, quindi, un’immagine dei nostri migranti sfaccettata, e molto meno banale di quanto il senso comune percepisca, in cui l’emotività lascia spazio a una generazione sempre più lucida, responsabile e consapevole.

«Non dobbiamo dolerci dell’idea di tanti italiani all’estero – conclude Di Vico – Piuttosto del fatto che siano stanziali, di non avere l’attitudine a muoversi e scegliere».

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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