Teatro sull’acqua. Con Massimo Gramellini, I pregiudizi dell’essere padre

immagine per Massimo GramelliniC’è la folla delle grandi occasioni, una fila che evoca anni diversi da questo, quando in piazza San Graziano di Arona torna, accanto alla direttrice artistica Dacia Maraini, Massimo Gramellini. Giornalista, scrittore e adesso padre.

Ed è in questa veste soprattutto che arriva sul lago maggiore, a raccontare Prima che tu venga al mondo (Solferino) Per portare al centro, commenta Maraini acutamente, introducendolo, «Un tema simbolicamente censurato» La paternità, infatti, è stata storicamente raccontata «come fosse una cosa vergognosa» e storicamente descritta ed imposta come una competenza solo femminile.
Così il romanzo di Gramellini si assume la responsabilità di raccontare, insieme all’attesa di un figlio, la nascita di un padre. I nove mesi che scorrono verso una vita che arriva e squaderna.

Lo fa, secondo Maraini, con «Molto coraggio e molto sincerità». Quelle che occorrono ad un uomo che è sempre stato figlio e si era ormai convinto che lo sarebbe rimasto, dopo una vita accomodata dentro quel ruolo da lì passava il proprio rapporto con il mondo.

Ma anche una resa ad una posizione ormai acquisita non è mai priva di scossoni. Anche l’abito che meglio ci si attaglia, comincia a stringere. Può avvenire ad ogni età, ma oltre che alla vita si è chiamati a nascere all’età adulta. Sentire il bisogno di tagliare un cordone ombelicale, gettarsi nel buio. Perché a volte più dei desideri contano i bisogni. Così come questo padre ha avuto bisogno di cambiare tutto nella sua vita, di diventarne padre.

Vivere una nascita simbolica, che prepari il terreno a quella che sarà. Perché «La nascita è il momento in cui ci stacchiamo dal tutto per diventare un io».

Quella fase di sviluppo che coincide con i 18 mesi, in cui la verbalizzazione coincide con il frangente in cui il bambino sta rendendosi conto di esistere, «di non essere una parte di qualcun altro ma un individuo».

E in quanto tale si fa porte del proprio modo di guardare il mondo, rovesciando tutti i pregiudizi, soprattutto il pesante carico di quelli che attribuiscono ruolo al genere, che fanno – o vorrebbero fare – di un padre consapevole un’eccezione.
Riportarlo al centro della narrazione significa tratteggiare un mondo, quello di oggi, in cui un bambino rimproverato di non giocare con le bambole, perché non è una bambina, risponde con assoluto candore «Perché? io sono il papà» proiettandosi al di là di un presente che ancora, vede guardate con commiserazione le donne che non fanno figli, che impone a quelle che scelgono di essere madri il divieto tassativo di non esserne sempre felici. Che vuole, insiste con giusta rabbia Maraini «l’idea del sacrificio commensurata al destino femminile».

Laddove agli uomini si insegna ancora a pensare che tutto gli appartenga e alle donne la gratificazione del possesso,il padre contemporaneo si augura di lasciare, anche attraverso le pagine gentili di una narrazione di massa, il superamento dell’equivalenza tra amore e possesso, anche quello di un genitore verso un figlio

La lezione – forse non nuova, di certo mai abbastanza imparata, che un padre acquisisce nel conto alla rovescia verso il nuovo orizzonte, è che, sintetizza Gramellini, «ognuno non è figlio dei genitori e dell’ambiente, ma anche del daimon, il talento, la ragione per cui ognuno viene al mondo. Un genitore può osservarlo, non condizionarlo». L’onere di un genitore è cercare la felicità di un figlio, che in greco vale eudaimonia, il benessere del daimon.
Confrontarsi con la nascita ha un rovescio inevitabile: il faccia a faccia con la morte. Scegliere di essere figlio sempre vale a dire non invecchiare mai. Non concepire di essere percepito come un vecchio. Ma un figlio induce all’ aritmetica dei sentimenti, a domandarsi quali vecchi si sarà osservandone la crescita.

Ma fino a che punto si può influenzare la crescita di un figlio? La risposta del buonsenso e dei sentimenti buoni è l’importanza dell’esempio. Ma più che una banalità, è l’insegnamento dell’esperienza. Un padre attento riconosce il grande senso di giustizia che l’infanzia nutre.

L’idea di futuro che un genitore deve far proprio come un uomo che conservi le lampadine rotte «casomai aveste trovato un modo per aggiustare». Una visione che con gli anni si perde, lasciando in eredità a ogni tempo «l’idea di essere l’ultima generazione dell’umanità, poi l’umanità riesce ad andare avanti».

Come va avanti ogni figlio, portando quella che Gramellini chiama disabilità emotiva, una condizione, non una malattia, comune a tutti. Un’ombra antica di sofferenza che ogni genitore vorrebbe allontanare dal proprio figlio. Ma l’esempio che le pagine del piccolo saggio di Gramellini si fa carico di trasmettere ha il sapore di buona e antica semplicità. Quella di Geppetto, il padre perfetto perché fa ciò che è più difficile: «non si lamenta e non giudica».

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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