Il pane e le rose. Vogliamo tutto – Storia di un manifesto, uno slogan, una poesia e un’utopia

Vogliamo il pane e le rosenon è solo uno slogan nato da una ramificata rivendicazione storica ma è la sintesi di ciò che dovrebbe avere ed essere una Società più equa e felice, “dove il tema dell’emancipazione della donna diventa il pilastro su cui fondare il senso di un riscatto collettivo, finalmente in grado di scardinare la divisione in classi e la relativa dinamica di sfruttamento e di oppressione economica e patriarcale” (cit. lavocedellelotte.it, 2019).

Ne scriviamo oggi perché, in questo periodo elettorale, durante questa anomala competizione condensata in una campagna-lampo di pochissimi mesi, il motto è spesso usato come baluardo da molti candidati e persino nei Social che accolgono spesso Post con l’uso, più o meno a sproposito, di questa meravigliosa frase. Ma da dove nasce, più esattamente?

Usa uno stralcio da Karl Marx sul Comunismo  che è pane e rose, il necessario e il superfluo, una società dove si mangia meglio e di più (non solo pane), dove si lavora meglio e di meno, ma anche una società dove si è più felici, realizzati, liberi” – ed è associato allo sciopero delle lavoratrici tessili delle quattro fabbriche di Lawrence, Massachusetts, il 12 gennaio 1912: contro una riduzione dei salari, e per la richiesta di una migliore qualità della vita. La manodopera tessile era essenzialmente composta da donne e bambini e tutti si organizzarono cooperando per resistere ai giorni duri della protesta, arrivando a innalzare uno striscione con quell’asserzione poi passata alla storia, che era, appunto: “We want bread and roses too” (“Vogliamo il pane ma anche le rose”).

L’affermazione, quasi letterale (“Bread for all, and Roses pure”), era stata già usata nel 1911 dall’attivista per il suffragio femminile e per i diritti delle donne, dei lavoratori e dei minori nelle fabbriche,  l’americana Helen M. Todd (California, 1870 o 1872 o 1875 – New York, 1953) e soprattutto da Rose Schneiderman (Sawin, Polonia, 1882 – New York, 1972), nata da famiglia ebrea ortodossa polacca e divenuta presto leader femminista e socialista della Wtul, tra le più importanti protagoniste sindacali, che portò avanti un’opera di sensibilizzazione sulla mancanza di sicurezza delle condizioni di lavoro:

“(…). È stato versato troppo sangue. So per esperienza personale che sta ai lavoratori salvarsi. L’unico modo in cui possono salvarsi è attraverso un forte movimento operaio”. (cit. in un discorso al Metropolitan Opera House.

La Schneiderman convinse, inoltre, le benestanti Suffragette a scendere in campo unite alle attiviste donne di ogni classe sociale e contribuì all’esito positivo del referendum nello stato di New York del 1917, che accordò alle donne il diritto di voto.

Disse:

“(…) Sicuramente (…) le donne non perderanno più della loro bellezza e del loro fascino mettendo una scheda elettorale in un’urna una volta all’anno di quanto rischiano di perdere in piedi nelle fonderie o nelle lavanderie tutto l’anno. (…)”

“Cosa significa tutto questo parlare di diventare maschili? Mi chiedo se aumenterà la mia altezza quando avrò il voto. Potrei lavorare più duramente se lo facesse.”

(cit. da: Susan Ware, Why They Marched: Untold Stories of the Women Who Fought for the Right to Vote, ed. Harvard University Press, 2019)

La poesia Bread and Roses di James Oppenheim, pubblicata nel dicembre 1911 sulla rivista “The American Monthly” è parte essenziale di quel contesto e di tutte quelle rivendicazioni; questo è il testo:

“Mentre marciamo, marciamo, nella bellezza del giorno, / Un milione di cucine oscurate, mille soffitte grigie, / sono toccati da tutto lo splendore che un sole improvviso svela, / Perché la gente ci sente cantare: Pane e rose! Pane e Rose! / Mentre marciamo, marciamo, combattiamo anche per gli uomini, / Perché sono figli di donne, e di nuovo li manteniamo. / Le nostre vite non saranno sudate dalla nascita finché la vita non si chiude; / I cuori muoiono di fame così come i corpi; dacci il pane, ma dacci le rose. / Mentre marciamo, marciamo, innumerevoli donne morte / Vai piangendo attraverso il nostro canto il loro antico richiamo al pane. / La piccola arte, l’amore e la bellezza lo sapevano i loro spiriti stanchi. / Sì, è il pane per cui lottiamo, ma lottiamo anche per le rose. / Mentre marciamo, marciamo, portiamo i giorni più grandi, / L’ascesa delle donne significa l’ascesa della razza. / Non più il fannullone e l’ozioso, dieci quella fatica dove si riposa, / Ma una condivisione delle glorie della vita: pane e rose, pane e rose. / Le nostre vite non saranno sudate dalla nascita finché la vita non si chiude; / I cuori muoiono di fame così come i corpi; pane e rose, pane e rose.”

La lirica sarà poi più volte ripresa e musicata: nel 1974 da Mimi Fariña e registrata da vari musicisti tra cui  Judy Collins, Ani DiFranco, John Denver, Josh Lucker, Joan Baez e poi dall’italiano Angelo Branduardi nell’album omonimo (Polydor 1988).

Negli anni Settanta una rivista indipendente riprese quel titolo: “Il pane e le rose” nasce nel 1973 come supplemento a Quaderni Piacentini e uscì con periodicità irregolare fino al 1976 per un totale di 12 numeri; era realizzata soprattutto da studenti e giovani non facenti parte di formazioni organizzate, pur se una parte di loro aveva come riferimento Lotta Continua.

I temi trattati sulla pubblicazione erano articolati ma rientravano nell’ambito di un’urgente discussione molto accesa di quegli anni: la condizione giovanile, l’equità sociale, la libertà sessuale, la musica e il movimento femminista.

Nel 2000 il grande regista britannico Ken Loach dirige un film che, con quello stesso titolo, “Bread and Roses” (“Il pane e le rose”), affronta tematiche a lui solitamente care: la precarietà del lavoro, le lotte dei lavoratori per affermare i loro diritti e l’equità salariale, l’ingiustizia, la disparità sociale.

Slogan, poesia, canzone e le idee che contengono appartengono quindi sia a un ambito storico e sociale preciso – che andrebbe difeso da usi opportunistici e impropri – sia più ampiamente a movimenti e istanze che oggi tornano prepotentemente attuali, necessari, sacrosanti, che andrebbero resi patrimonio comune: idee e valori condivisi e articolati in ogni ambito e politica.

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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