Nick Út, la fotografia della Napalm Girl, la reunion con Kim Phúc, la mostra a Milano e il Papa

Nick Út (nato Huỳnh Công Út a Long An, in Vietnam, il 29 marzo 1951), è un fotografo vietnamita, vincitore di un premio Pulitzer nel 1973.

Inizia a lavorare come fotografo per la Associated Press giovanissimo, dopo che suo fratello maggiore Huynh Thanh My, anch’egli fotografo della Associated Press, era stato ucciso in Vietnam nel 1965.

Il suo lavoro più conosciuto è relativo alla lunga, sanguinosa e controversa guerra del Vietnam; si tratta della fotografia scattata la mattina dell’8 giugno 1972 a Phan Thị Kim Phúc (che significa felicità dorata), una bambina di nove anni completamente nuda e gravemente ustionata piangente e terrorizzata, in fuga, con suoi due fratelli e due suoi cugini, dal villaggio sudvietnamita Trang Bang, occupato dai nordvietnamiti e bombardato dall’aviazione sudvietnamita, coordinata dal comando statunitense, che mirava al controllo dell’area. Per questo attacco furono usati i temibili ordigni al napalm (che possono raggiungere un calore di… 3mila gradi). A nulla valse un avviso di sgombro (da parte dei militari sudvietnamiti e di alcuni reporter che ebbero la soffiata): la popolazione, molta della quale rifugiata nel vicino tempio, il Cao Dài, fino ad allora risparmiato delle bombe, non fece in tempo a mettersi in salvo, divenendo l’ennesimo caso di effetto collaterale, ovvero di civili vittime di un conflitto.

Alla piccola Kim si sciolsero letteralmente i vestiti di dosso, mentre il calore, insopportabile, sempre più cocente, le entrava nella pelle, nelle ossa; mentre scappa, ha le braccia allargate come fosse un crocifisso contemporaneo. È così che la perpetuerà Nick.

L’istantanea è parte di un intero servizio fotografico e, sebbene altri fotoreporter fossero sul posto a scattare, e altri a filmare e a raccontare (tra i tanti: Alan Downes e Christopher Wain, il quale ricordò: “Era come se qualcuno avesse aperto la porta di un forno” [1]), meritò il primato della celebrità e iconicità; Nick Út, immortalò anche la nonna di Kim Phúc che tiene in braccio un nipotino gravemente ferito (che morirà poco dopo), e soldati e fotografi in quel frangente terribile.

Út, con altri colleghi, assistette la bambina e poi, avendo a disposizione un mezzo di trasporto, portò lei e gli altri feriti in un piccolo ospedale del luogo e quindi in quello di Saigon. La piccola, inizialmente data per spacciata, restò ben 14 mesi in ospedale dove subì tanti interventi chirurgici che sono continuati anche una volta dimessa da lì (ne ebbe 17: un più recente nel 1984 in Germania); la sua famiglia potette riabbracciarla solo alcuni giorni dopo, ringraziando Út e i soccorritori.

Suo malgrado, Kim divenne un simbolo: sia per il suo paese (che la usò per questo, negandole un’infanzia già calpestata dalla guerra), sia per i giovani contestatori americani, contrari alla guerra in Vietnam (iniziata nel 1964 e terminata nel 1975); sia per Cuba; sia per i pacifisti nel mondo che ne fecero, anche nei decenni a venire, un emblema e un monito contro ogni conflitto.

La foto di Nick Út fu inviata al “New York Times” ma la Redazione e la Direzione non vollero pubblicarla per via della nudità della bambina, cambiando poi idea, data l’importanza e la forza della foto come documento e testimonianza; apportando un taglio all’immagine – con la rimozione di una porzione dell’inquadratura dei fotografi sulla destra –, per centrarla sul Punctum, per dirla alla Roland Barthes [2]. L’immagine fu quindi posta in prima pagina. Il Presidente Nixon tentò di depotenziarne la veridicità e il portato critico senza riuscirci: la fotografia si rivelò al mondo come un deflagrante urlo valido quanto e più di tante prove della bestialità di quella guerra.

Lo scatto vinse il premio Pulitzer (1973), fu scelto come World Press Photo of the Year, e divenne tra quelli più iconici della storia della fotografia e della war photography, consacrandone l’autore (oltre che puntando il dito contro la politica internazionale – e non solo quella – americana).

Grazie a un filmato girato in quello stesso luogo e tempo da Alan Downes (divenuto capo cameraman dell’Independent Television News britannica e scomparso il 10 ottobre 1996 a causa di un cancro all’età di 58 anni), possiamo avere una visione e comprensione più completa dell’accaduto, con i momenti precedenti e successivi a quella famosa istantanea di Út. Alcuni stralci di questo girato furono inseriti nel documentario Hearts and Minds sulla guerra del Vietnam, diretto da Peter Davis e vincitore del premio Oscar del 1974. Anni dopo, precisamente nel 1999, quella scena eternata dalla foto la ritroviamo nella narrazione biografica The Girl in the Picture: The Kim Phuc Story, di Denise Chong; in una canzone; poi in un caustico murale di Banksy, apparso on the road nel 2004; nell’autobiografia di Kim Phúc Phan Thi, Il fuoco addosso. La bambina della fotografia racconta pubblicata nel 2019; e in un articolato immaginario diventato pop.

La vita di Kim, una volta ripresasi dalle ferite più gravi, la porterà a studiare a Cuba dal 1986, poi a sposarsi nel 1992, con uno studente vietnamita a l’Avana, Bui Huy Toan, quindi a trasferirsi con lui in Canada, ottenendo l’asilo politico e la cittadinanza, ad avere due figli, a diventare rappresentante dell’UNESCO e attivista per il recupero medico e psicologico dei bambini vittime delle guerre con la sua Foundation.

Persino il grande Street Artist Banksy l’ha ricordata, inserendola in una sua opera emblematica, del 2004, tra Topolino e Ronald McDonald (il clown principale mascotte della catena di fast food McDonald’s Corporation), puntando il dito contro l’imperialismo economico e culturale americano, oltre che, ovviamente, contro la guerra e le sue nefandezze.

Nick crebbe professionalmente e divenne cittadino degli Stati Uniti dal 1975; oggi vive a Los Angeles, ha lavorato a Hollywood, ha appoggiato e appoggia le lotte per i diritti umani e continua a collaborare come fotografo con la sua Agenzia, l’Associated Press.

Dopo aver vinto il Pulitzer, tornò al villaggio il giorno in cui Kim uscì dall’ospedale e l’amicizia tra i due, da quel terribile giorno, non sarà mai spezzata.

La reunion più recente è avvenuta nel maggio 2022 per la mostra From Hell to Hollywood (“Dall’inferno a Hollywood”) allo Spazio IsolaSET di Palazzo Lombardia di Milano (fino al 31 maggio 2022, e meriterebbe una proroga) curata da Ly thi Thanh Thao – che di Kim era amica da anni – e Sergio Mandelli. La data non è casuale: segna il cinquantenario della foto. È la prima antologica italiana di Út, con una selezione egregia di 61 foto sia del Vietnam, compreso lo scatto, quello della the girl in the picture, sia di Hollywood: il bianco e nero essenziale e lì drammatico si affianca al colore di un’altra temperatura fotografica e un altro periodo storico e della vita dell’autore.

Nick e Kim, con i curatori, sono stati a Roma dove finalmente, seguendo un loro desiderio di lunga data, hanno consegnato la famosa fotografia al Papa l’11 maggio 2022: un evento storico, immortalato e rendicontato da tantissimi organi di stampa, Tv e reporter. Il bagno di folla del gruppo in visita nella Capitale, complice anche l’attenzione mediatica rivolta loro, è stato inimmaginabile, ma Kim e Nick non hanno lesinato strette di mano, selfie e sorrisi.

Questo loro viaggio capitolino ha dato a chi scrive la possibilità di conoscerli, di parlare con loro, a lungo anche in un contesto rilassato e informale, potendo approfondire la loro vita, il loro presente e questa importante storia che ormai appartiene a tutti.

Conversare con Kim Phúc è stato ed è chiarificatore:

“Ricordare è doloroso, ma ho scelto di vivere e, quindi, raccontare quel trauma, quel senso di bruciore insopportabile, il panico, quelle atrocità, aiutano me e credo servano ad altri… e perché non succeda mai più…”

Ma questa speranza purtroppo è andata disattesa con l’attuale nuovo conflitto della Russia di Putin in Ucraina. Kim ne prova una gran pena, convenendo sulla domanda, pleonastica:

“qual è la ragione di questo che avrebbe potuto essere risolto in altro modo? Dalla diplomazia?”

Nick Út, da parte sua, ha immortalato un preciso momento di quella storia ma soprattutto, mi ha detto, ha fermato in uno scatto:

“the fear (la paura)…”

E ha aggiunto di avere, parallelamente mostrato:

“…the pleading for peace (una richiesta di pace)…”

Di questa preghiera Kim Phúc è diventata messaggera e riteniamo, con lei, che questa oggi più che mai non sia negoziabile.

Sono emblematiche e coinvolgenti le parole che questa donna eccezionale – minuta e tenace, segnata dal dolore nel corpo e nello spirito, ma sorridente, luccicante – ha proferito a commiato del nostro incontro:

“Non contare le cose che non hai ma quelle che hai”.

Ciò vale come filosofia di vita e sarebbe auspicabile via da seguire per ognuno.

 

 

Info: la mostra è stata prorogata fino al 12 giugno.

 

Note

1.  Il Corriere della Sera, maggio 2010

2.  Roland Barthes, La chambre claire, Paris 1980

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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