Roma Arte in Nuvola Art Fair. Io vorrei non vorrei ma se vuoi…

Giacomo Cossio, Contronatura, 2022 -2) performance -ph. Giorgio Benni

Prima di entrare nel merito di questa seconda edizione della Roma Arte in Nuvola, ricordiamo la prima – un po’ un’edizione zero, a dire il vero – e rammentiamo il giudizio che ne abbiamo dato, suffragati dai commenti e le interviste rese in privato da galleristi, artisti, collezionisti e altri addetti ai lavori. In quel 2021 scrivemmo di un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto più vuoto che pieno: quest’anno è stato un pochino migliorato il livello del suo… liquido.

Il problema è che tra Artissima-Torino, votata più radicalmente al contemporaneo – e con la nuova direzione di Luigi Fassi che ha voluto e saputo dare un’impronta curatoriale importante e vincente – e Artefiera-Bologna, ben piantata sulla sezione Novecento e grande apertura agli anni ’50, ’60 e ’70, a Roma cosa resta? Spingere maggiormente sulla sperimentazione, si sa, non monetizza, rappresenta un rischio d’impresa ma, in ogni caso, va saputo fare; dunque, forse, quest’Art Fair capitolina avrebbe dovuto e potrebbe collocarsi come trait d’union tra l’una e l’altra kermesse, oltre che tra Nord e Sud, riuscendo però a raggiungere lo stesso pregio di entrambe le Fiere italiane, diverse ma ormai consolidate.

Roma Arte in Nuvola è nuovamente apparsa un po’ indecisa, alla “io vorrei non vorrei ma se vuoi…”, insomma, pur se qualcosa di migliorato, rispetto all’anno precedente, pare ci sia stato: certamente anche di pubblico, incrementato: oltre 36.000 visitatori, con un forte aumento rispetto alla prima edizione.

C’è anche da aggiungere, tra parentesi ma di non secondaria rilevanza, che la città non offre grandi mostre sul contemporaneo degne di farsi un viaggio ad hoc. Se Bologna attrae per altro – il Novecento e lo storicizzato, abbiamo detto –, Torino è a due passi da Milano e con un viaggio di pochi giorni (quanto dura una fiera) puoi abbracciare tutta la programmazione contemporanea di entrambe le città, che non sono poche né di livello medio. Da Roma cosa aspettarsi, se non ciò che quasi tutti conoscono già (che è immenso, certamente: Colosseo, Fori, Capitolini, Musei Vaticani etc.) ma in assenza di eventi espositivi straordinari tali da valere uno spostamento apposito?

Ciò detto, elenchiamo le gallerie partecipanti; accanto a qualche ammiraglia come Tornabuoni (Firenze, Milano, Forte dei Marmi,Parigi, Crans Montana e presto anche con una sede a Roma), Mucciaccia (sede di Roma), Niccoli (Parma), Poggiali (Firenze, Milano, Pietrasanta), Poleschi (Milano), Contini (Venezia, Cortina d’Ampezzo) c’erano: A Pick Gallery, Torino; AA29 Project Room, Milano; Galleria Giampaolo Abbondio, da un po’ di tempo trasferitasi da Milano a Todi; Galleria Accademia Torino; Arcgallery, Monza; Arionte Arte Contemporanea, Catania; Art4Ever, Milano;Artea Gallery, Milano; Artemisia Fine Art, San Marino; Artesilva, Seregno; Enrico Astuni, Bologna; Axrt Contemporary Gallery, Avellino; Babs Art Gallery, Milano; Marina Bastianello Gallery, Mestre-Venezia; Galleria Umberto Benappi, Torino; Bonioni Arte, Reggio Emilia; C+N Gallery, Milano-Genova; Galleria Brescia, Brescia; Glauco Cavaciuti, Milano; Ceravento, Pescara; Cinquantasei, Bologna; Clivio, Parma-Milano; Colophon arte, Belluno-Venezia; Daniele Comelli Art, Genova; Container 71, Torino; Copetti Antiquari, Udine; Cortesi Gallery, Lugano-Milano; Lara & Rino Costa, Valenza; Galleria De’ Bonis, Reggio Emilia; Deodato Arte (Milano-Porto Cervo-Pietrasanta-Courmayeur-St.Moritz-Chia-Brussels); Ed Gallery, Piacenza; Emmebi Arte e Libri, Milano; Enrico Art Suite, Verona; Galleria d’arte Frediano Farsetti, Milano; Ferrarin, Legnago; Forni, Bologna; Gaburro, Verona-Milano; Gallerie Riunite, Napoli; Gasparelli, Fano; Gomiero, Padova; Armanda Gori Arte, Prato; Hr Docks Gallery, Torino; Idris, Tel Aviv-Jaffa; Il Castello Modern and Contemporary Art, Milano; Immaginaria, Firenze; Andrea Ingenito Contemporary Art, Napoli-Milano; Ipercubo, Milano; Jus Museum, Napoli; Kromya Art Gallery, Lugano; La Saletta dell’Arte, Taranto; Laocoon Gallery, Roma-Londra; Arte Centro – Lattuada Gallery, Milano-New York; Led18, Padova; L’Incontro, Chiari; Lunetta11, Mombarcaro; M77, Milano; Madeinartgallery, Milano; Mancaspazio, Nuoro; Michela Rizzo, Venezia; Mida Metaverse, Treviso; Ml Fine Art, Milano; Mlz Art Dep, Trieste; NM Contemporary, Principato di Monaco; Oblong Contemporary Art Gallery, Dubai-Forte dei Marmi-Firenze; Lydia Palumbo Scalzi, Latina; Alberta Pane, Parigi-Venezia; Punto Sull’arte, Varese; Studio D’arte Raffaelli, Trento; Richard Saltoun Gallery, Londra e Roma; Ronchini, Londra; Shazar Gallery, Napoli; Skira Editore, Milano; Luigi Solito, Napoli; Spirale, Milano; Galleria Denny Staschitz, Merano; Ticinese Art Gallery, Milano; Ufofabrik, Moena; Vannucchi Arte, Prato; Wem Gallery, Ornavasso; Manuel Zoia Gallery, Milano.

Le romane, molte in sintonia e amicizia tra loro: Gilda Lavia e Matèria anche vicini di casa in quel quartiere San Lorenzo tornato ad essere nuovo distretto dell’arte; 1/9 Unosunove, Ex Elettrofonica; poi si sono distinti dei senjor come Galleria Valentina Bonomo, Magazzino e Studio Sales di Norberto Ruggeri, sono arrivate alcune new entry tra le quali Divario; e hanno organizzato i propri stand Andrea Festa Fine Art; Galleria Gallerati; Emmeotto Arte; Basile Contemporary; Varsi Art & Lab; La Nuova Pesa; Saraceno Art Gallery; un nucleo con doppia sede, non solo nella Capitale: Richard Saltoun Gallery (Londra e Roma); Wunderkammern, milanese e romana; Beatrice Burati Anderson (Venezia e Roma); Bergamini – Minuti (Milano e Roma); Arthotel – Alessia Bennani (Parigi, Milano e Roma); e: AL, Aleandri Arte Moderna, Giovanni Altamura – Arte Moderna e Contemporanea; Gallerie Benucci; Berardi; Studio d’Arte Campaiola; Galleria Deniarte; Futurism&co.; Galleria Fidia; Galleria d’Arte Faber; Galleria Lombardi; Fabrizio Russo; Maison Bosi; Galleria Marchetti; Medina Art Gallery, Galleria Carlo Virgilio & c.; Alessandro Vitiello Home Gallery; Galleria Vittoria; Volos; Yellow Korner; La Nica; Noema Gallery; Galleria Scarchilli; Sinopia; Suarte Gallery; Supermartek; Tiber Art; pure Treccani, di base a Roma, è presente con un proprio stand. Una descrizione a parte va fatta per s.t. (senza titolo) di Matteo Di Castro: galleria ma anche libreria specializzata sulla Fotografia, che da sempre propone un catalogo di vendita eterogeneo (e molto online) di fotografie, vintage e ristampate, di manifesti originali, locandine, volumi e memorabilia spesso grazie a collegamenti diretti con archivi fotografici.

Delle installazioni o sculturone ambientate in Fiera, talune decisamente imbarazzanti, segue un elenco, che in alcuni parte è courtesy di gallerie espositrici; la cura è di Valentina Ciarallo.

E dunque abbiamo visto:

Pablo Atchugarry (Uruguay, 1954), con una colonna specchiante tipica di tanta ricerca anni ’50, me datata invece 2018 (!!!) e titolata Search of the Future (Contini Galleria d’Arte, Venezia-Cortina d’Ampezzo);

Jessica Backhaus (Germania, 1970), che attraverso la sua ricerca emozionale propone Cut Out #26, 2020 e lo scatto che vediamo nel manifesto della stessa Roma Arte in Nuvola 2022.

Manfredi Beninati (Palermo,1970) ha portato Ai Leoni, 2022; Atar Geva e Nivi Alroy (Israele, 1975; e Israele 1978), 100 years, a journey beyond the end of time (una collaborazione con l’Ufficio Culturale dell’Ambasciata d’Israele in Italia); Ludovica Gioscia (Roma, 1977) Tramonto onirico (VITRINE, London/Basel); Marianna Masciolini (Foligno, 1964) Driving energy; Verdiana Patacchini (Orvieto, 1984) Figura Bugiarda I e II (Emmeotto Arte, Roma).  C’era anche lo sponsor Jaguar IWR Automotive con un allestimento che citiamo perché piacionescamente… instagrammabile, e infatti tanto usato per i selfie, come peraltro invitava a fare la didascalia.

Christian Jankowski (Germania, 1968), aveva installato Everyday Tasks – Sphere of the Gods, 2019 (Galleria Enrico Astuni), opera di cui non scriviamo male solo per l’autorevolezza che l’artista ha, anche per essere stato invitato più volte alla Biennale di Venezia e a curare Manifesta, l’undicesima.

Miltos Manetas (Grecia, 1964) aveva proposto #Manetas_style (Galleria Valentina Bonomo, Roma) con partecipazione pubblica riuscita e convincente anche e soprattutto per questo (avere attivato la compartecipazione, la relazione) e più in generale per la critica sociale e politica e l’investigazione tecnologica e mediale che da tempo sostanziano la ricerca dell’artista.

Dell’opera di Lorenzo Quinn (Roma, 1966), Roma, alleghiamo foto tacendo.

Giovanni Termini (Assoro, 1972), con A matter of mutual interest (MeVannucci, Pistoia) ha confuso più di qualcuno più avvezzo a cantieri e falegnamerie che non a progetti in debito con l’Arte Povera.

Giacomo Cossio (Parma, 1974), lo abbiamo incontrato all’esterno, lungo il percorso che porta all’ingresso della Fiera. L’opera, ControNatura, 2022, dentro un box in legno dipinto alla meno peggio di giallo radunava smisurate varietà di piante verdi e bellissime direttamente portate lì dal Vivaio Torsanlorenzo Margheriti. Erano allestite appositamente per essere poi bersagliate dal colore scelto volutamente tra le tinte più eccentriche e vivaci (qui rosa).

L’opera di Cossio prevede sempre più passaggi che la sostanziano: scelta della flora e sistemazione in un’installazione naturale; performance dell’artista che, indossata tuta protettiva e maschera, spruzza la tinta sulle piante; opera finita, con l’installazione pitturata. L’azione dell’arte annulla la Natura e la rende pittura e quasi scultura; ma la Natura è resiliente: le foglie soffrono un po’, va ammesso, ma Giacomo, che prima si scusa, sa e ha previsto che la Natura è resiliente e che la vernice via via sparirà e le piante cresceranno libere dalla… Cultura e torneranno Natura.

E questo è lo step finale parte dell’opera, che prevede più tempo perché avvenga tale metamorfosi –vedi foto della preparazione, della performance e dell’opera finita. Purtroppo, per motivi non ufficializzati (ma che noi sappiamo), l’opera è sparita il giorno dopo, per vociferato presunto pericolo di ammaloramento causa maltempo. Il danno per l’artista è enorme, e intacca anche la serietà di una kermesse in cui era preannunciate ed esposta una spettacolare installazioni di cui collezionisti e pubblico non hanno potuto fruire.

Francesca Leone (Roma, 1964) presentata un’installazione già portata nell’ambito di UNLIMITED Art Basel 2022 e qui rimodulata, sempre ispirata alla poesia L’irreparable di Charles Baudelaire; Si può illuminare un cielo melmoso e nero? (Galleria Magazzino, Roma; e nell’ambito della partnership con Intesa Sanpaolo e le Gallerie d’Italia) è opera proiettiva, scultorea, persino pittorica, che perlustra il tema del disorientamento ma anche della memoria e quindi del tempo, del suo scorrere e finire e, forse anche per tale essenza e presenza transitoria, della sua malinconica bellezza .

Stefano Canto (Roma, 1974), con questa versione (2011-2018) di Monumento a Theo van Doesburg (Matèria, Roma) ha smontato e idealmente reso rimodulabile un’opera scultorea e architettonica restando dentro la sua ricerca sull’architettura, sullo spazio, sul tempo, trattando un progetto esemplare del periodo fascista; qui, l’obelisco dedicato al Duce, progettato da Costantino Costantini nel 1929 e inaugurato a Roma davanti al Foro Italico nel 1932 come celebrazione del potere assoluto mussoliniano, è scomposto per mostrarne con evidenza gli elementi costitutivi.

Canto non porta avanti una riflessione politica e purtuttavia quella entra di soppiatto nella lettura di questo suo lavoro in cui emerge l’opportunità di una nuova libertà di confronto con la materia-fascismo e la possibilità di smontaggio di quegli ideali; ciò detto, l’artista, in verità, “invita a riconsiderare l’estetica modernista isolata dalle connotazioni politiche e riportata ad una riflessione sulla frammentazione del tempo e dello spazio, in linea con la ricerca del movimento del De Stijl che notevolmente influenzò l’architettura del periodo fascista”. Che poi i bambini in Fiera abbiano approfittato dell’installazione per giocarci sopra rende poetica tale casualità che conferma quanto sia efficace decontestualizzare per capire meglio ricontestualizzando.

Silvia Giambrone (Agrigento, 1981), con i suoi specchi ciechi e pericolosi, i suoi Mirrors (Richard Saltoun Gallery Roma e Studio Stefania Miscetti, Roma), che sono un po’ anche anomali, muti ritratti, parla soprattutto (ma non solo) al femminile: perché l’atto dello specchiarsi per una Donna non è un semplice rimirarsi ma attiva da generazioni una pesantissima quantità di reazioni, sentimenti, sensazioni, ragioni, questioni, persino memorie, anche ataviche; spalanca storie di quotidianità domestica non sempre normale e amorevole e vicende di preconcetti, abusi nonché articolazioni di diversa natura, tra aspettative proprie e quelle indotte dalla società dello spettacolo e da quella patriarcale, in ogni caso scenari piena di divieti, strade segnate, sacrifici, obblighi e stereotipi per troppo tempo in auge, praticati ma spesso anche taciuti .

Non in elenco sul Sito e nella cartella stampa ma presentissimo il lavoro di Daniele Sigalot con WEM Gallery di Ornavasso sul Lago Maggiore (VB): Out OF Place /Solo i miei sbagli e Master of Mistakes (vista alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma, 2022) sono apparenti accumulazioni. Master of Mistakes è un’enorme palla bianca, rotolata fuori dallo stand della galleria (e dentro, su bacheche, file e file di fogli candidi ma spiegazzati i suoi sbagli) e fatta di… tentativi, di errori derivanti da pensieri, idee e progetti abortiti, che spesso si scarabocchiano su fogli per poi essere appallottolati, rigettati e liquidati come sbagli. Ebbene questi sono idealmente salvati dall’artista che li rianima, li trasforma in forme apparentemente leggere (degli A4 che sembrano carta stropicciata ma che è invece alluminio) dando loro nuovo e più alto valore.

Delle performance [tra le quali Marcella Vanzo (Milano, 1973), Il negozio del niente, che non abbiamo visto], quella di Romina de Novellis (Napoli, 1982), La Pecora (Alberta Pane, Venezia: la galleria ha vinto il Premio The Best) era sempre visibile (installazione accumulazione ordinata della lana di pecora) e attivata in più momenti, con l’artista nuda a cardare la lana della tosatura per pulirla – come si usava anche per rinvigorire quella che riempiva cuscini e materassi di una volta – mentre il sound dei campanacci avvolgeva tutta l’azione. Meno drammatica e scotente di quel capolavoro che è Balkan Baroque di Marina Abramović, questa più candida azione simbolica convocava un tentativo quasi zen di liberarsi da ogni forma di limite e “indottrinamento” che nella sfera del femminile è inciampo continuo e spada di Damocle del giogo patriarcale: “come certi animali si puliscono reiteratamente il pelo, anche la donna può, deve agire e agisce sui processi di metamorfosi prima di tutto propri, sia fisici, sia psichici, sia sociali e politici.

LIMIT di Loredana Longo (Catania, 1967) conferma la pratica di quella che l’artista definisce la sua “estetica della distruzione” e ribadisce una ricerca sul corpo come arena di identità e conflittuale: che questo corpo sia femminile, il suo, aggiunge senso e complessità alla lettura del suo lavoro, e che diventi corpo sociale in accoglimento del corpo di genere anche.

Una sfilata di persone di nero vestite (student* della NABA), ognuna con volto celato da un’inquietante, muta maschera di corvo hanno messo in scena Pensate domani è la fine del mondo (Niccoli, Parma) di Elena Bellantoni (Vibo Valentia, 1975): una versione ugualmente coinvolgente e riuscita di una performance diversamente attivata altrove che conferma l’attenzione dell’artista per tematiche legate all’identità e alterità, al linguaggio e all’uso del corpo come strumento di comunicazione e interazione.

Qui, questo Pensate domani è la fine del mondo da una parte si fa monito per evitare la catastrofe, dall’altra un dato di fatto ormai implacabilmente presente (antropocene, climate changing e compagnia bella, ma non solo: guerra, censure, limitazioni della libertà, femminicidi, povertà, sfruttamento), dall’altra, ancora, una filosofica, poetica riflessione che ne accoglie una nessuna centomila.

Ci hanno detto in conferenza stampa, prima di scoprire cosa di vero avemmo trovato in Fiera, che:

“a sottolineare la vocazione internazionale della manifestazione, l’edizione di quest’anno ospita l’Ucraina come Paese straniero con la forte volontà di esprimere una posizione chiara a favore dei valori di scambio, inclusione e convivenza pacifica tra i popoli.”

Così, ecco il progetto SI VIS PACEM, curato da Yevhen Bereznitsky, Direttore della Bereznitsky Art Foundation, dedicato all’arte ucraina della seconda metà del XX secolo, a quella contemporanea dell’Ucraina indipendente “ed alle opere create come diretta reazione all’aggressione militare russa.” Il padiglione presentava dunque, le opere di Vasyl Yarych, Yuri Smirnov, Viktor Kravtsov per descrivere l’Ucraina pacifica, nonché le tele di Viktor Sydorenko, Yuri Sivirin, Vladislav Mamsikov con le riflessioni sulla guerra.

Bastasse questo “a sottolineare la vocazione internazionale della manifestazione” saremmo tutti felici, se non mancassero proprio le gallerie internazionali (eccezion fatta per Artemisia Fine Art di San Marino, se si può considerare… estera; Tornabuoni, con sedi anche estere oltre che a Firenze, Milano, Forte dei Marmi; Cortesi Gallery, con sede a Milano e Lugano; a Lugano la Kromya Art Gallery; Deodato anche a St.Moritz e Brussels; Alberta Pane anche a Parigi oltre che a Venezia; Richard Saltoun anche a Londra oltre che a Roma, come la Laocoonte; Arte Centro-Lattuada anche a New York; Nm Contemporary al Principato di Monaco; Oblong Contemporary anche a Dubai; Idris di Tel Aviv-Jaffa e Ronchini a Londra); si percepisce l’assordante mancanza di almeno qualcuno dei nomi più autorevoli della scena estera in rappresentanza degli altri… perché la parola internazionale, soprattutto nell’arte, significa altro. Ma tant’è.

Procedendo nell’incursione fieristica, al piano terra, caratterizzato da alcune ammiraglie del mercato dell’arte (Mucciaccia, Tornabuoni, Farsetti) dominano il Novecento, gli anni ’50, ’60 e ’70: insomma, gli storicizzati.

Una bella mostra di Piero Dorazio da Tornabuoni e qua e là, con un aumento delle quotazioni; l’Accardi con cifre in salita, alcuni Novelli magnifici e tanti arazzi di Boetti, che si è impennato verso prezzi meritatamente altissimi; stavolta bellissimi Schifano (anche alla Galleria De’ Bonis di Reggio Emilia, con quadri di pregio), Angeli, Festa, Mambor: tanta sperimentazione romana scelta tra quella meno ordinaria (Scarchilli aveva uno degli stand in questo senso migliori; ma anche Accademia Torino). Inaspettato Boille, con una monografica da Ronchini e con qualche presenza anche altrove. Christo da Artemisia e da L’Incontro; Ontani da Altamura. Vermi e Sordini, e qualche chicca storica di arte politica (di Tullio Brunone, ricordando il Laboratorio di Comunicazione Militante) grazie alla lungimiranza di Marcello Palminteri (dalla napoletana Jus Museum, che aveva anche Annalaura di Luggo e la Woodman); premiato lo stand di Berardi, quasi un piccolo museo del Novecento (Mancini, Ferrazzi, Socrate). Da Babs gioielli d’artista alcuni da lasciarci il cuore; da Artesilva un poderoso Jacques Villeglé d’antan e due gioiellini di Arthur Duff (circa 6mila euro). Le opere di Maria Lai meno presenti dello scorso anno (di notevole bellezza quelle da M77 di Milano): l’artista sarda già consolidata anche nel posizionamento di mercato, schizzerà molto più su appena si inaugurerà la grande mostra internazionale e itinerante più o meno imminente.

Nella fascia delle gallerie con gli storicizzati andrebbe imprevedibilmente annoverato Luigi Solito: poteva stare perfettamente giù, ma invece è al piano superiore, quello più contemporaneo, in una galleria – da Napoli – nota per aver predilezione per artisti più giovani; ma stavolta ha allestito una piccola mostra di Salvatore Emblema che rivela quanto l’artista sia più interessante di quel che l’Art System generalmente pensa, con le sue più sperimentali trasparenze, rese da trama e ordito di tela: grezza, perché Argan sosteneva che la tela era già di per sé colore, o appena dipinta da creare velature, vibrazioni cromatiche; diversamente compatte, questi intrecci lasciano intravedere la parete sottostante, lo spazio dietro: materia e luce, e geometrie create e rilanciate dall’illuminazione a giorno o artificiale che inevitabilmente prima o poi intercetta e accende l’opera.

La Nuova Pesa come sempre si distingue per scelte meno moderne e più contemporanee coccolando i suoi artisti: Daniela de Lorenzo, Giuseppe Salvatori, Roberto Pietrosanti, Andrea Aquilanti, Giuliano Giuliani, Gianni Dessì. 

Belle, da Glauco Cavaciuti (rappresenta anche Terzini e Gusmaroli, quest’ultimo abbastanza portato da altri stand) le grandi foto di Fabiano Parisi, che citiamo anche per tirar su la Fotografia, linguaggio non troppo presente in quest’Art Fair.

Le cosiddette mostre al piano sono poche immagini (e pochi mobili, seppur bellissimi) su pannelli. Amen.

Salendo al primo piano, tante le gallerie, molte delle quali incomprensibilmente presenti, alcune sottotono; da Napoli sono tornate, oltre a Luigi Solito, di cui abbiamo detto, anche Ingenito e Shazar ma le gallerie del Sud, più in generale, con sono molto rappresentate, sin qui.

Matèria ha colpito per un’esposizione in cui campeggia, tra Giuseppe De Mattia, Joachim W Lenz (e Stefano Canto fuori, in installazione di cui abbiamo detto), il grande quadro The Fool di Runo B (张晓东, nato nel 1992, CN): coloratissimo, apparentemente giocoso e quasi Pop, raffigura qualcosa di duro e politico: fuoriusciti che si nascondono dalla società ordinaria e dall’organizzazione più irregimentata collettiva, che indossano maschere per proteggersi da reazioni poliziesche e persecuzioni del potere – si tratta di narrazione realistica, non di fantasia! – e vivono in comuni alternative; pagano prezzi alti, ma sono autonomi, quasi sembra che danzino leggeri, come in una Danse alla Henri Matisse: quell’opera storica altro non è che un inno alla vita tanto quanto The Fool lo è della libertà.

Bella la scelta di Richard Saltoun Gallery (Londra e Roma) molto al femminile, oltre ad altre scelte; a parte la Giambrone, che abbiamo approfondito, c’era un quadro vibrante di colore di Antonietta Raphael che fu esposto nella mostra Attraverso lo specchio alla Galleria Nazionale di Roma (novembre 2021-gennaio 2022). La selezione è stata premiata dal Premio The Best.

Nm Contemporary (Principato Di Monaco) proponeva Matteo Basilè (che in altri anni e altrove imperversava), tra fotografia, digitale e… strappo; e Nina Carini, Andrea Chiesi, Giovanni De Cataldo, Davide D’Elia, Giangaetano Patané, Leonardo Petrucci (da Gilda Lavia in forze), Vincenzo Marsiglia, Matteo Sanna: un meting pot molto frastagliato e per tutte le tasche, ed entro cui orientarsi attraverso due temi-guida oggi imprescindibili: antropocene, Cultura e Natura. Scelta vincente, con un premio portato a casa.

Magazzino pure aveva una selezione variegata ma perfettamente equilibrata e rigorosa, persino elegante: Mircea Cantor, Francesca Leone (ne abbiamo trattato prima), Vedovamazzei, Alessandro Piangiamore, Namsal Siedlecki.

La torinese Umberto Benappi aveva lo stand come una mostra con una curatela: di Roberto Mastroianni; anche qui presenze femminili giovani e forti, con Guendalina Urbani (premiata con il premio giovanidato dalla Regione Lazio), Gisella Chaudry e Francesca Dondoglio, ognuna delle quali meriterebbe un focus a parte, che forse faremo più in là…

Gilda Lavia, dopo lo scorso anno puntato su Giacomelli (fotografia ma della ricerca meno nota e più rara), ha portato i suoi Leonardo Petrucci (una presenza anche da Nm del Principato di Monaco) e Pamela Diamante, artisti per nulla facili né scontati, con una concettualità e problematicità forte ma entrambi capaci di riassumere tale complessità in forme di vera bellezza.

Divario ha esordito in fiera pure con uno stand-mostra: coraggioso, di un unico artista più storico, Renzogallo, che qui – come in galleria a Roma, mostra in corso – ha realizzato opere in nero o con tale dominanza (accesa però, in ceri casi, da sciabolate di azzurro e altre nuance); quel colore non è solo colore, appunto, ma è materia del linguaggio e della comunicazione, quindi afferente ad una ricerca simbolica assolutamente politica. Infatti, quella tinta sui quadri altro non è che la cenere che resta dopo aver bruciato fogli di giornali.

Anche la Galleria Carlo Gallerati ha puntato, con Paola Vianale, su una piccola mostra e tra le poche di fotografia (se ne è vista poca, in fiera!): Angelo Cricchi, Nicola Bertellotti e Claudio Orlandi, organizzati in un allestimento rigoroso, quasi coraggioso, in modo differente riflettono sul rapporto e impatto dell’uomo sulla Natura mostrandoci opere bellissime in cui si nasconde la drammaticità del segno irrispettoso di una civiltà allo sbando.

Fotografia e mostra monografica con Ottavio Celestino e i suoi alberi quasi rocce da SuArte. Mostra anche per la napoletana Shazar Gallery che ha proposto la sudanese Mutaz Elmam con i suoi olii su tela vividi di un esotismo che abbiamo imparato a considerare meno straniero, finalmente. La torinese A Pick Gallery è apparsa molto rigorosa con Marco De Rosa, Marco Tagliafico, Sven Drühl e Jan Muche. La Bonomo ha puntato non solo ma molto sul suo solito Julian Opie e su Miltos Manetas di cui abbiamo detto; Michela Rizzo su Silvano Tessarollo per un Solo Show curato da Graziano Menolascina; Lunetta giocando tra generazioni: Pierliuigi Scandiuzzi, Edoardo Manzoni, Giulio Paolini, Brian Belot. Andrea Festa, unica Home Gallery con una sua politica culturale, ha scommesso ancora una volta sulla pittura, scelta che contraddistingue la programmazione dai suoi esordi.

Nel percorso, oltre alla presenza dello stand dell’Accademia di Belle Arti di Frosinone, con giovani artisti alcuni dei quali con nulla da invidiare rispetto a tanti meno emergenti in Fiera, e a qualcosa che sicuramente ci sarà sfuggito nella faticosa via crucis alla ricerca di divanetti o panche in cui riposare un po’ (Palombini al piano terra era l’unico ad avere tavolini e sedute e l’area Vip era pure sotto e sinceramente tristanzuola) abbiamo potuto anche rivedere *1 le immagini di Keith Haring immortalato dal fotografo Stefano Fontebasso De Martino a Roma, l’11 settembre 1984, mentre dipinge (autorizzatissimo!) sulle facciate del Palazzo delle Esposizioni un graffito rosso ormai diventato iconico nell’immaginario collettivo che appartiene a molti di noi… Già: immaginario, appunto, dato che fu fatto cancellare nel 1992 da solerti amministratori comunali della giunta Carraro in vista della visita nella Capitale di Michail Gorbačëv (per il centenario della fondazione del PSI) al quale volevano evidentemente far trovare tutto lindo e pinto, senza alcun segno di visibile, contemporanea, irriverente critica sociale, che era tra le componenti del lavoro del giovane artista americano.

Anche quest’anno sono stati assegnati i 4 premi di rito: per The Best, in ex aequo, alla Galleria Alberta Pane (Venezia, Parigi) e galleria Richard Saltoun (Londra, Roma) “per la miglior presentazione dei rispettivi artisti, rimarcando la responsabilità ed il piacere per una galleria nel presentare nel modo migliore un esponente di punta della propria scuderia” (che parola orrenda, scuderia!); per Young – dato dalla Regione Lazio “per incentivare e valorizzare i giovani artisti under 35, nati o che lavorano nel Lazio”, alla Galleria Benappi di Torino con l’artista Guendalina Urbani; per Rock (che titolazione da Talent!)  alla galleria NM Contemporary (Monaco) “per la presentazione più originale dello stand”; infine, il Premio Absolute Modern è andato alla Galleria ED di Piacenzaper il miglior allestimento fra le gallerie di Arte Moderna, sfatando il luogo comune della minor attenzione riservata da questa tipologia di gallerie rispetto al mondo del contemporaneo”.

Dunque questa è stata Roma Arte in Nuvola, di cui vi mostriamo tante immagini scelte però tra le cose migliori, per non deprimervi troppo.

Bisogna aggiungere che il mondo dell’Arte in Italia è indebolito anche da una opacità di un sistema fiscale nemico della produzione e del Mercato dell’Arte, mai riformato seriamente – e di cui forse si sarebbe dovuto parlare approfonditamente, a livello altissimo, in alcuni dei convegni organizzati, sollecitando concretezza istituzionale

Ragionando più ampiamente, non restando quindi solo dentro questa Nuvola, o bolla, riteniamo ancor più fermamente che Roma abbia una necessità urgente di più contemporaneo vero e di qualità, e di forti, seri, mirati investimenti culturali (non solo economici), di rapporti internazionali all’altezza della nostra storia e reputazione, di progetti a lungo termine e in grande e di una visione evoluta riguardo al nostro futuro; di una “scossa per la riscossa” – parole della Polveroni –, ma autentica, coraggiosa, d’eccellenza. In ultima analisi, la Capitale ha un disperato bisogno di amarsi davvero e di crederci di più affinché anche gli altri possano a ragione tornare a farlo.

 

Note

*1 le foto, nella collezione del MACRO – CRDAV, furono esposte in una sezione , questa con la cura di Claudio Crescentini, nella mostra Cross the Streets curata nel 2017 al MACRO Roma da Paulo von Vacano.

 

Info

  • Roma Arte in Nuvola | seconda edizione
  • romaarteinnuvola.eu
  • Dal 17 al 20 novembre 2022
  • ideata e diretta da Alessandro Nicosia, organizzato dalla società C.O.R Creare Organizzare Realizzare, con la direzione artistica di Adriana Polveroni con la collaborazione di Valentina Ciarallo.
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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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