Prospettiva Pingendi. Nuovi scenari della pittura italiana intorno alla prospettiva del dipingere

Andrea Chiesi, _Chaos 2_, 2010, olio su tela, cm 140x200

De Prospettiva Pingendi. Nuovi scenari della pittura italiana è la mostra curata da Massimo Mattioli a Todi, negli spazi belli e suggestivi di… (reduci dalla mostra di Tirelli??). Coinvolge gli artisti:  Giuseppe Adamo, Antonio Bardino, Angelo Bellobono, Simone Berti, Thomas Braida, Danilo Buccella, Alessandro Cannistrà, Andrea Chiesi, Mario Consiglio, Laura Lambroni, Silvia Mei, Marco Neri, Gioacchino Pontrelli, Nicola Samorí, Nicola Verlato.

Il titolo, e un po’ l’intera kermesse, prendono idealmente spunto dal De pictura di Leon Battista Alberti ma attraverso il trattato di Piero della Francesca, scritto tentro il 1482 e titolato, appunto, De prospectiva pingendi (Della prospettiva del dipingere) conservato oggi all’Ambrosiana di Milano. Il manoscritto dell’artista di Borgo Sansepolcro organizza in tre ambiti l’approccio alla pittura: il “disegno”, cioè come dipingere le singole figure, la “commensurazio”, ovvero come disporle nello spazio, e il “coloro” che indica come colorarle.

La mostra è un tripudio per gli amanti della figurazione e della pittura ma manca di quella problematicità che molti artisti portano dentro il dipinto inteso come campo dell’arte e non necessariamente solo pittorico. Eppure, ha tirato in ballo Piero Della Francesca, un pittore-pittore allo stesso tempo dalla ricerca alquanto… intellettuale.

Così, chiediamo lumi al curatore:

Vedo, dai nomi, una selezione assai parziale e articolata… : come mai tante assenze autorevoli? Alberto Di Fabio, ad esempio, uno dei paladini della pittura in Italia; o Alessandro Piangiamore, Davide D’Elia, Pietro Ruffo, Roberto Cuoghi – pur se molti di loro non dipingono esclusivamente – o la generazione precedente, quella dei “siciliani”, di Pusole, Pancrazzi, Pessoli… che infatti mancano ( ma abbiamo almeno Andrea Chiesi); così come sono stati esclusi tanti artisti di una pittura più… contaminata; e quelli più concettualistici (i tanti colleghi di Samorì e Berti), dall’analisi maggiormente linguistica…

Quando si pensa una mostra collettiva su una materia complessa e articolata come la pittura, è evidente che si debbano compiere delle scelte. Io – come scrivo nel catalogo – sono decisamente contrario alla figura del curatore-demiurgo, ovvero del personaggio – fortunatamente un po’ in crisi, negli ultimi anni – che mette in primo piano il proprio concept curatoriale, e sembra che gli artisti che invita servano soltanto a riempire la sua idea. Ne abbiamo viste molte, di mostre con questo taglio, negli anni passati: per paradosso, credo che a decretarne la fine sia stata la mostra che l’ha portato ai massimi estremi, ovvero la Biennale di Venezia di Massimiliano Gioni. Che – a mio modo di vedere – ha fissato un paletto qualitativo oltre il quale non è possibile andare: invitando indirettamente gli altri curatori ad abbandonare quella strada. Dico questo per dire che la mia opzione curatoriale in questo caso sta proprio nella selezione degli artisti invitati…

Un’esposizione simile rappresenta anche una presa di posizione critica: la tua. Cosa intendi di/mostrare?

Come accennavo sopra, non intendo “di/mostrare” nulla! Sono convinto che la mostra sia il luogo dove al centro ci debbano essere le qualità intrinseche delle opere esposte: se i critici sentono l’esigenza di dare preminenza ad una loro idea, esistono altri luoghi per farlo.

Ma una mostra curata è anche firma, idea, e, quindi, posizione critica del curatore!

Ma è evidente che le scelte compiute contengano già un’opzione curatoriale. Io in questo caso ho maturato la convinzione che se la pittura in Italia nei decenni scorsi riusciva ancora a catalizzarsi attorno a gruppi o movimenti che avevano un forte sostegno critico e di mercato – Transavanguardia, Anacronismo, Scuola di San Lorenzo –, in anni più recenti la pratica pittorica non ha perduto presa sul panorama nazionale, ma si è affidata a protagonisti che intraprendevano percorsi individuali, raggiungendo esiti in molti casi altissimi, ma non adeguatamente riconosciuti dal sistema dell’arte contemporanea. A questi – alcuni di questi, è chiaro – ho voluto offrire una vetrina ed un’occasione di confronto…

Un bel titolo, “De prospectiva pingendi”: vuoi suggerire anche la necessità di un recupero del genius loci? 

Inizialmente mi ha spinto – a parte la banale assonanza della “prospettiva” – l’idea di regalare a questi artisti, spesso molto giovani, un patrocinio importante come quello di Piero della Francesca, con la sua straordinaria apertura mentale e la capacità di anticipare vertiginosamente i tempi. E poi la tripartizione che Piero teorizza nell’approccio alla pittura – disegno, commensuratio e colorare – mi suggeriva delle linee sulle quali muovermi nel progetto, che poi ho seguito molto labilmente peraltro. Ma poi lavorando alla mostra credo di aver individuato un carattere che per certi versi distingue molti di questi artisti come “italiani”: il fatto che – forse anche per questo individualismo solipsista accentuato dalla carenza di momenti collettivi – spingono così avanti la propria ricerca nella pittura fino a superarla: arrivando a rinnegarla e “ucciderla” per poi riprenderla su un livello più avanzato, come in Nicola Samorì, quasi ad irriderla, come per Simone Berti, fino a cercare ibridazioni trasversali, con il cinema o con la tecnologia, non avendo più nulla da chiedere alla qualità tecnica o formale della propria pittura, come per Nicola Verlato. Parlerei di super-pittura…

In questi  “nuovi scenari” non intravedo nulla che abbia legami con graffitismo, muralismo, street e simili derivazioni: non la reputi interessante?

Nel titolo parlo di Nuovi scenari della pittura italiana: e vorrei porre l’accento sul “della”, non “nella” pittura italiana. Graffitismo, muralismo, street art, sono generi ormai molto praticati anche in Italia, ma io non credo possano ritenersi identitari della pittura italiana, non hanno radici che affondano nella nostra cultura.

Ora non vorrei aprire un dibattito ormai un po’ stanco sul fatto se oggi abbia senso ricercare dei caratteri “nazionali”: ma io proprio su questo intendevo cercare di fare il punto, su quei caratteri italiani – sorretti da tradizioni che non hanno eguali, da quell’approccio verticale che ha fatto grande l’arte italiana – che possono fornire contribuiti a una crescita globale. Se cercavi qualcosa che la mostra vorrebbe “di/mostrare”, magari l’hai trovato…

Puoi rintracciare le sostanziali differenze tra il ritorno alla pittura degli anni ’80, il recupero dei ’90 e i fermenti (o la standardizzazione!) della pittura attuale?

Torno a riprendere un concetto già tratteggiato: fino agli anni ‘90 molti dei pittori più noti si muovevano in ambiti critici alquanto delineati, dove torreggiava un critico – non mi pare utile citarli, sappiamo di chi si parla – che ora instradava i suoi destrieri (si parla spesso di “scuderia”, no?) sulla via internazionalmente praticata del neoespressionsmo, ora predicava le virtù del citazionismo, ora riscopriva magicamente il Futurismo, ora si inventava un effimero Medialismo (ce lo siamo già dimenticati?). Oggi di tutto parlerei, tranne che di standardizzazione!

Dove sta andando, secondo te, la pittura oggi? E quale quella che interessa te e perché quella e non altra?

Oggi la pittura non sta andando da nessuna parte! A visitare la mostra di Todi è venuto Joe Helman, un grandissimo gallerista americano ormai in pensione, fondatore della storica Blum Helman gallery oggi diventata la corazzata californiana Blum & Poe. Parlando con lui esponevo quest’idea, cioè che in Italia oggi non ci siano gruppi o movimenti capaci di aggregare pittori attorno ad una linea condivisa, e che questo porti gli artisti su percorsi individuali spesso molto profondi ma altrettanto spesso non abbastanza conosciuti e apprezzati. E lui – che conserva un avanzato punto di vista sulle dinamiche artistiche globali – mi diceva che questa è una condizione diffusa in tutto il mondo. In realtà l’Italia può vantare un panorama pittorico che – facendo le dovute proporzioni – non ha eguali al mondo quanto ad ampiezza di visione, ad “ingaggio” culturale e anche a qualità di singole personalità. Un panorama – curiosamente? – secondo forse solo a quello del Belgio: basti pensare ai tanti grandi personaggi belgi che dominano la scena internazionale, da Michaël Borremans a Luc Tuymans, a Francis Alÿs, solo per fare qualche nome. Deduzioni? Come mai una ormai lunga crisi delle ideologie che diventa anche crisi delle idee porta in pittura all’emergere di paesi come l’Italia o il Belgio? Non sarà forse che si fanno valere le robuste tradizioni – qui rinascimentali, lì fiamminghe – sulle quali poggiano le istanze di questi pittori? So bene che è un’idea magari romantica ma facilmente confutabile: ma mi piace pensare che è questo che mi interessa…

Info:

  • 22 aprile – 1° luglio 2018
  • TODI
  • sedi: Sala delle Pietre di Palazzo del Popolo – Piazza del Popolo, 1; Palazzo del Vignola – Via del Seminario, 9
  • Ingresso libero
  • Contatti:  075-8956228 | www.comune.todi.pg.it
  • email: deprospectivapingendi@gmail.com
  • Ufficio stampa mostra: Maria Bonmassar ufficiostampa@mariabonmassar.com  ufficio: +39 06 4825370 / cellulare: + 39 335 490311
  • Facebook: De Prospectiva Pingendi
  • Instagram: deprospectivapingendi
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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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