Christian Boltanski. Se ne è andato l’artista che celebrava l’esistenza umana, la vita e la morte fatte e illuminate da infinite piccole storie minime

immagine per Christian Boltanski
Anime. Di luogo in luogo. Christian-Boltanski_Entre-temps_-2-MAMbo-Bologna-ph.-Cristina-Villani

Christian Boltanski si definiva sempre e comunque pittore, pur praticando tante tecniche e diversi linguaggi; artista, fotografo, regista, aveva come centro della sua ricerca la trattazione dei temi della morte, della perdita, della memoria (personale e collettiva), dell’oblio; e dell’universalità: scegliendo, per riassumere questi suoi approfondimenti, una modalità inventariale con accumulazioni e riorganizzazioni espositive di registri, oggetti, album fotografici, abiti usati (come in Personnes, dal Grand Palais di Parigi, fino a Tokyo e a New York passando per Milano, all’Hangar Bicocca; o come in Réserve, site specific nell’ex polveriera e bunker del parco Lunetta Gamberini a Bologna), figure etc. a ricercare e ricreare piccole storie quotidiane, gesti minimi, sempre restituiti in maniera evocativa, fiabesca e allusiva; non a caso, spiegò:

“preferisco creare una certa distanza con il dramma spesso presente nelle mie opere”.

E spesso, ciò attraverso un contatto più diretto  con le sue opere, permettendo allo spettatore di assumere una posizione più attiva nel rapporto con le sue installazioni,  con vocazione immersiva.

Dalla sua prima uscita pubblica come artista, nel 1968 a Le Ranelagh, al cinema, a Parigi, città dove era nato il 6 settembre 1944 (da padre medico, ucraino di origine ebraica, e madre scrittrice, di origine corsa), questa sua indagine introspettiva, poetica e dolente sulla vita umana, è sempre stata facilmente comprensibile a tutti perché, pure se in modo, con intensità e consapevolezza differenti, ognuno può immedesimarcisi, riconoscendo qualcosa di sè, del suo passato, delle proprie origini, dei legami familiari e della propria quotidianità: in quelle foto, negli oggetti, in riverberi, nelle immagini, in quei cassetti, negli abiti e nelle scarpe, negli elettrocardiogrammi, nelle coperte isotermiche e negli album fotografici può rintracciare un accenno a qualcosa di già visto, raccontato, posseduto o vissuto; così come, in quell’atmosfera che ricorda il ciclo dell’esistenza, i suoi inciampi e la sua fine, può percepire empaticamente un destino condiviso.

Se è vero che “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” (Soldati, di Giuseppe Ungaretti), riconoscere un simile sentimento e una simile condizione nell’altro da sè e nell’opera di un grande artista come Boltanski, probabilmente ci fa sentire meno soli o rende meno insostenibile l’idea del mistero della vita, del passato che scorre, della memoria accumulata e affievolita, della perdita e della morte.

Sensibile alle questioni sociali, storiche e di piccole e grandi resistenze umane, ha realizzato la toccante e potentissima installazione permanente A proposito di Ustica, nel 2007 (su invito di Daria Bonfietti, Presidente dell’Associazione Parenti delle Vittime della Strage), presso il Museo per la Memoria di Ustica, una delle opere d’arte contemporanea più suggestive e amate presenti a Bologna; qui, essendo legato all’Italia in modo particolare e proprio a Bologna in modo speciale, ebbe la grande mostra antologica Pentimenti a Villa delle Rose nel 1997, in occasione della quale lasciò al museo l’opera Les Regards, appositamente realizzata in omaggio ai partigiani  commemorati al Sacrario di Palazzo d’Accursio; nuovamente protagonista a Bologna del progetto speciale Anime. Di luogo in luogo. Christian Boltanski  nel 2017, nel 2018, infine, fu insignito della Laurea honoris causa in Discipline storiche dall’Università degli Studi di Bologna.

Tra le mostre più recenti, la retrospettiva Faire son temps  al Centre Pompidou di Parigi tra il 2019 e il 2020.

Nel libro appena uscito (Cuepress ediz.) Il segno di Ustica – corredato da testi delle artiste e degli artisti che si sono posti in relazione con la strage, per confrontarsi  sui diversi approcci che ne hanno contraddistinto il lavoro – è pubblicata quella che è probabilmente la sua ultima intervista, una conversazione sulla sua installazione al Museo per la Memoria di Ustica, opera in cui Boltanski, come scrive il curatore del libro, Andrea Mochi Sismondi:

“Modulando il sussurro dei possibili pensieri quotidiani dei passeggeri dell’aereo con il respiro di ottantuno lampadine che si accendono e si spengono, ha saputo metterci in contatto con la densità di quelle vite spezzate dalla brutalità alla quale sono inconsapevolmente andate incontro. Vite che potevano essere la nostra, ci sembra dire con il suo lavoro, perché ognuno di noi – anima in viaggio – può entrare in collisione con la violenza cieca che ha devastato in migliaia di frammenti l’aereo, disperso i corpi, polverizzato gli effetti personali (e i pochi recuperati Christian li ha pudicamente sottratti allo sguardo, custoditi in nove sarcofaghi neri). Ma quel respiro persiste, anche dopo la sua morte, per indicarci la prosecuzione di percorso di consapevolezza esistenziale e coscienza politica che ficchi gli occhi ben dentro le ferite della storia”.

Christian Boltanski  avrebbe compiuto 77 anni tra pochi mesi: se ne è andato il 14 luglio 2021 nella sua città natale.

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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