Manifesta 12 – Bordercrossing e l’arte come provocAzione. Interviste all’artista Tiziana Pers e ai curatori

Nell’ambito di Border Crossing, progetto curato da Lori Adragna e Andrea Kantos a Palermo, e collaterale a Manifesta12, si è svolta – all’interno di Memoria Collettiva. Casa Spazio ospita Casa Sponge a cura di Lorenzo Calamia e Serena Ribaudo – la performance durata quattro giorni di Tiziana Pers che ha cercato di salvare alcuni animali al mercato la Vucciria di Palermo.

Chiediamo, prima di tutto a lei, all’artista:

Ci sei riuscita? Questo salvataggio è avvenuto?

Sì, l’azione è riuscita. A dire il vero il risultato è stato decisamente superiore alle mie aspettative: è stata un’esperienza viscerale ed assoluta.

In buona sostanza il mio progetto ART HISTORY / Vucciria consisteva nel proporre ad un pescivendolo della Vucciria, il cuore storico del mercato della carne e del pesce a Palermo, di darmi uno o più animali vivi in cambio di altrettanti miei dipinti delle medesime dimensioni degli animali che mi venivano consegnati, e questo scambio veniva ratificato da un contratto: uno per ciascun individuo. Il pescivendolo ha deciso invece di consegnarmi gli animali non un giorno soltanto, ma per diversi giorni consecutivi.

All’alba ancora buia andavo da lui che mi dava gli animali vivi ed io con dei secchi correvo sino alla Cala di Sant’Erasmo, che era il posto che avevamo individuato come migliore per la loro liberazione.

Sono stati salvati in tutto 9 animali: un pesce occhiata, un polpo maiolino, due pannocchie (dette cicale di mare), un’anguilla, un pesce balestra, un polpo fraiello, un mazzancollo (detto gamberone imperiale) ed uno scampo. Appena messi in acqua quasi tutti avevano un momento di incertezza, e poi fuggivano velocissimi.

L’arte come tentativo di sensibilizzare e atto politico: cosa credi che resterà di tale tua opera/azione?

Ci sono due risposte in questo caso specifico: quella riguardante gli animali non umani è che non so se ce l’abbiano fatta, se siano vivi, ma certamente è stato spezzato un destino prestabilito, è stata data loro una possibilità.

Questo fatto si collega a cosa rimane a chi ha assistito al gesto, e ne è stato testimone: sugli umani l’arte lavora infatti per simboli, e non sempre gli effetti sono immediati.

Spesso siamo testimoni di violenza. Cambiare paradigma, essere testimoni di qualcosa di diverso ed inaspettato, questo per me è ciò che resta.

Poi ognuno recepisce il gesto e l’opera in base al proprio background e sensibilità, e non sta all’artista convincere della bontà di un’idea, perché l’opera non fornisce risposte, ma formula invece nuovi quesiti. Quindi ciò che resta forse è proprio la ricerca di una risposta.

Si tratta di aprire una finestra su qualcosa che ancora non c’è. Del tentativo di mutare, con un atto inatteso, un immaginario definito e chiuso per dare origine ad un immaginario fluido ancora da costruire. Differente, ma possibile.

Tale tua performance, e in generale il tuo procedere artistico, hanno a che fare con una scelta di tipo vegetariana, o più ampiamente etico-politica relativa alla necessità di salvaguardare il mondo animale, l’altro da noi? 

Sì, sono stata vegetariana per molti anni e da alcuni sono vegana. Avevo sei anni quando salvai per la prima volta dalla macellazione un animale. Era un pony, e rimase con me poi per tutta la sua vita. Ma il vero impegno è iniziato a 18 anni quando entrai in un mattatoio per salvare un cavallo. Ci riuscii, ma vidi tutti gli altri animali morire. E qualcosa in me cambiò radicalmente. Da lì capii che il mio fare arte non poteva essere scisso dalla mia pratica quotidiana.

La mia ricerca ha anche a che fare con una prospettiva filosofica, e per me risulta fondamentale infatti un continuo dibattito e scambio con pensatori, ma anche scienziati, architetti, letterati… Una figura teorica centrale nel mio fare arte, e un caro amico, è il filosofo Leonardo Caffo che, tra l’altro, ha tenuto un dialogo presso la sede di KaOz a Palermo (sempre per Border Crossing) a partire dal suo ultimo libro Vegan. Un manifesto filosofico proprio negli stessi giorni delle mie azioni, ed in dialogo con il mio approccio performativo.

Questa tua progettualità rimanda forse ad una idea… francescana?

È molto interessante che ti ricolleghi a San Francesco, che barattò le proprie vesti per due agnelli. Si tratta di un caso unico nella chiesa cristiana, che invece adotta un’impronta decisamente antropocentrica.

In ART_HISTORY il baratto avviene con il tramite di un dipinto che, per me, rappresenta qualcosa di più di un oggetto da possedere: è un tratto della mia vita, che cedo in cambio di una vita intera. Si tratta di interrogarsi se sia possibile dare un valore economico ad una vita, ad un’opera d’arte, e se l’arte possa salvare una vita.

Per questo per me è fondamentale collaborare con una galleria capace di sostenere progetti, anche scomodi, con la volontà di mettere in primis la ricerca e l’impegno. L’azione è infatti stata supportata dalla aA29 Project Room (Milano/Caserta) con cui lavoro da qualche anno.

La tua ricerca va sempre in questa direzione?

ART_HISTORY è un progetto che comprende una lunga serie di azioni iniziate diversi anni fa. Se vogliamo però in generale quello che a me interessa è un focus biocentrico, capace di porre non solo la vita umana al centro, ma ogni vita. E non riguarda esclusivamente l’animalità, ma la necessità di andare concretamente oltre questo calcificato paradigma di dominio che ha stabilito che l’uomo (bianco, maschio, etero…) fosse superiore a chiunque altro. Specialmente in questo momento, in cui stiamo assistendo a delle pericolose risacche xenofobe, e gli ecosistemi sono al collasso, è necessario più che mai metterlo in discussione.

In sostanza la mia indagine riguarda le connessioni e i parallelismi tra le diverse forme di discriminazione. C’è un unico filo conduttore che attraversa razzismo, sessismo, colonialismo, specismo, capitalismo, violenza sui viventi e sugli interi habitat etc, che vede la forza come diritto.

E metterlo a fuoco è il primo passo per immaginare prospettive differenti che riguardano non solo i rapporti con gli altri viventi, ma anche chi siamo noi, ed il futuro di una nuova umanità.

Come “ha risposto” Palermo a questa virtuosa provoc/azione?

Non posso che essere grata per come il mio gesto è stato accolto.

Innanzitutto va detto che la performance ART_HISTORY / Vucciria fa parte di una serie di short residencies che stanno avendo luogo a Casa Spazio, in occasione della mostra MEMORIA COLLETTIVA.

Casa Spazio ospita Casa Sponge, a cura di Lorenzo Calamia e Serena Ribaudo, all’interno della quale è esposto un altro capitolo del mio progetto, quello riguardante la maialina Lorelei. E che l’intera operazione fa parte di Border Crossing, evento collaterale di Manifesta 12.

Il mio incontro con la città avveniva quindi in due momenti distinti: il primo era all’alba alla Vucciria, dal pescivendolo e durante il percorso fino a Sant’Erasmo dove liberavo gli animali. Qui mi accompagnavano Lorenzo e mia sorella Isabella.

La risposta del luogo è stata aperta, generosa, e senza preconcetti: sembra strano, ma il pescivendolo giorno dopo giorno abbracciava l’idea di cercare di aiutare a sopravvivere i pesci che trovava ancora vivi al mercato notturno: gli avevamo anche fornito un ossigenatore per il viaggio, che si è rivelato molto utile.

Ma anche gli altri pescivendoli e fruttivendoli, che all’alba apprestavano le loro bancarelle, mi chiedevano entusiasti al passaggio (mentre correvo trafelata con i secchi) se anche quel giorno stavo salvando dei pesci. Quegli animali erano come delle piccole storie di resistenza, non si erano arresi. Erano come un momento felice.

Una mattina un ragazzo straniero, mentre stavo riprendendo fiato sul (lunghissimo) lungomare, si è avvicinato e, guardando il secchio con dentro un polpo maiolino e due cicale di mare, ha esclamato: ‘Poverini…’. Al che gli ho spiegato che stavamo correndo a liberarli. Vedendolo perplesso e incredulo, l’ho invitato a seguirci. Mentre lasciavo andare in mare le creature, è rimasto sul molo, a controllare le mie azioni. Tra l’altro quel giorno il polpo aveva paura di lasciare il secchio, e con i tentacoli cercava di aggrapparsi: non sapeva che non gli avrei fatto del male.

Il ragazzo ha atteso che tornassimo indietro, e poi mi ha chiesto: ‘Ma chi siete voi? non ho mai conosciuto nessuno che ama così tanto la vita…’ Gli ho spiegato quindi del progetto, e, quasi commosso, mi ha detto: ‘Ma davvero l’arte può essere così bella? Non lo sapevo…’

Come si componeva dunque il tuo pubblico?

Se al mattino il pubblico era quello dell’incontro con gli abitanti del quartiere, non prevedibile, dove la processualità si intrecciava con lo scorrere della vita, al pomeriggio invece la performance proseguiva a Casa Spazio, quando dipingevo i ritratti degli animali salvati raccontando le loro storie. In questo caso il pubblico sapeva di partecipare ad un gesto performativo. Moltissime persone hanno assistito all’azione, mi hanno fatto domande pertinenti, o hanno osservato in silenzio.

Ma il momento più bello è stato proprio quando il pubblico se n’era quasi tutto andato, e, mentre dipingevo, due bambini si sono avvicinati incuriositi e mi hanno domandato cosa stessi facendo. Quando ho raccontato loro le vicende degli animali, dei contratti, e delle liberazioni, è uscito loro un ‘oooh’ di stupore. ‘Che storia bellissima….’. La loro mamma ha dovuto chiamarli per andare via, perché continuavano a fissare i dipinti come alla ricerca di qualcosa che era successo davvero, una favola reale e contemporanea.

Alcune domande anche ai curatori: Lori Adragna e Andrea Kantos:

Cosa è Border Crossing?

Border Crossing è un progetto di Bridge Art in collaborazione con Dimora Oz e Casa Sponge, selezionato tramite bando dalla Biennale Manifesta 12, nella categoria degli eventi collaterali. Nella sua elaborazione si è focalizzato nel promuovere la sinergia tra diverse realtà diffuse, attive nell’arte contemporanea, dove lo spirito di comunità è un tutt’uno con quello della ricerca: A Cielo Aperto, Atla(s)now, Bridge Art, Casa Sponge, Dimora Oz, Dolomiti Contemporanee, Liminaria, Nosadella.due, Ramdom, RAVE East Village Artist Residency, Site Specific, Spazio Y, Tenuta Dello Scompiglio.

L’obiettivo? Inserire le diverse esperienze in un tessuto urbano come quello palermitano, dove le tensioni urbanistiche-culturali fra centro storico e periferia, mostrano la necessità di un concetto esteso di residenza come atto di determinazione culturale e quello delle realtà invitate a rendere l’evidenza che proprio a partire dall’arte e da pratiche non ortodosse, si possono trovare le suggestioni fondamentali per la collettività.

Il progetto non è stato sviluppato dunque come qualcosa di statico, ma ha da subito dichiarato alcune intenzioni specifiche che sono quelle di aggregare un network di realtà indipendenti in Italia, in continuo aggiornamento, e di realizzare residenze e produzioni in situ, con il fine di sedimentarsi capillarmente sul territorio locale.

Chiedo anche a voi: come “ha risposto” Palermo alle vostro proposte?

La città ha risposto con una eterogeneità di sedi e persone, tantissime, che hanno collaborato, seguìto, accolto, condiviso, supportato il progetto. Partiamo intanto dal team che lo ha ideato: Bridge Art è un format di residenze diretto da Lori Adragna, mentre Dimora OZ è stato co-fondato da Andrea Kantos che ne è il coordinatore ed allo stesso tempo è il responsabile per un secondo evento collaterale di Manifesta 12, KaOz.

Giovanni Gaggia è il fondatore di Casa Sponge, una realtà attiva nelle Marche, che ha dialogato all’interno di Border Crossing con Casa Spazio, residenza privata che ospita la mostra Memoria collettiva e un ciclo di performance, compresa quella di Tiziana.

Gli spazi coinvolti sono anche molto diversi fra loro, una delle nostre intenzioni fondanti d’altra parte, era proprio quella di intercettare le differenti anime della città: KaOZ, Piazza Magione, Casa Spazio, la sede temporanea di Spazio Y a Palazzo Savona, il Pyc nella bellissima area di Villa Trabia, lo Spasimo, la Real Fonderia alla Cala, la Cripta dei Cocchieri alla Kalsa, il Centro di accoglienza Astalli, il quartiere e la parrocchia di Sant’Agnese nel quartiere Papireto a Danisinni.

Spazi pubblici e privati, centri culturali interi quartieri, e, come dicevamo prima, persone, quindi gli artisti, numerosissimi: ALA group – Andrea Abbatangelo – Adalberto Abbate – Paolo Assenza – Elena Bellantoni – Angelo Bellobono – Cristiano Berti – Bianco-Valente – Pietro Bonanno – Stefan Bressel – Alessandro Brighetti – Barbara Cammarata – Andrea Caretto e Raffaella Spagna – Giulio Cassanelli – Tiziana Cera Rosco – Fabrizio Cicero – Laura Cionci – Roberto Coda Zabetta – Christian Costa – Filippo Berta – Canecapovolto – Mario Consiglio – Francesco Cucchiara – Gandolfo Gabriele David – Simona Da Pozzo – Antonio Della Guardia – Claudia Di Gangi – Daniele Di Luca – Rocco Dubbini – Emilio Fantin – Serena Fineschi – Francesca Fini – Giovanni Gaggia – Maria Grazia Galesi – Alessandro Giampaoli – Tamar Hayduke – Arash Irandoust – Andrea Kantos – Laure Keyrouz – Fabio R. Lattuca – Christian Leperino – Luca Mannino, Francesca Marconi – Vincenzo Marsiglia – Stefania Migliorati – Anto.Milotta & Zlatolin Donchev – Elena Mazzi – Ivan Moudov – Ginevra Napoleoni – Valentina Parlato – Isabella Pers – Tiziana Pers – Francesca Romana Pinzari – Radical Intention – Patrizio Raso – Filippo Riniolo – Michael Rotondi – Marco Russotto – Pietro Saporito – Germano Serafini – Alice Schivardi – Giuseppe Stampone – Cristina Treppo – Michele Vaccaro – Sasha Vinci – Museo Wunderkammer – Virginia Zanetti – Zoo (Valentina Cardone, Roberta Mazzola e Roberta Sucato) per Stefania Galegati Shines – Jonida Xherri. Contributi di: Lori Adragna – Iara Boubnova – Leonardo Caffo – Daniele Capra – Giuliana Carbi – Nico Covre – Mylène Ferrand – Pietro Gaglianò – Andrea Kantos – Valentina Sonzogni.

Una enormità di collaborazioni, partecipazioni, idee, opere, lavoro… Cosa  credete resti davvero, di concreto, di una messa in opera dell’arte quando questa è terminata?

Prima di rispondere a questa domanda, sarebbe bello sottolineare cosa resta di concreto di un progetto, e in questo caso di Border Crossing.

Le intenzioni e le operatività in esso svolte sono ancora attive e pianificano quello che potrebbe essere un evento calendarizzato e specifico sul territorio palermitano, analogamente come accade in altre città d’Italia. Le opere portano e determinano simboli.

Sotto questo punto di vista gli artisti elaborano vettori di consapevolezza e squarci del quotidiano. L’opera può essere effimera, site specific, temporanea, edibile, può essere una scultura, una performance, un’installazione. Ma il principio rimane sempre lo stesso. La contrazione della realtà secondo suggestioni che possano avere la potenza per aprire nuove dimensioni intime e collettive.

Queste manifestazioni possono essere condivise, forti o deboli, e negli ultimi vent’anni molto è stato fatto e quindi forse la ricerca artistica non deve puntare tanto sulla “novità”, come se fosse un prodotto da consumare, quanto sui processi relazionali o le dinamiche che uniscono operatori culturali, artisti, creativi e pubblico. Se Benjamin dà per svanita l’aura dell’opera, a patto che possa avere torto o ragione, sicuramente l’aura dell’incontro non può svanire, gli sforzi e la dedizione, l’impegno e la volontà portano un grande investimento di energia ma anche la creazione di una nuova modalità di condividere e elaborare questa energia.

Le opere forse si apprestano a non essere mai terminate, cioè vanno oltre la materializzazione, per entrare in una sostanza circoscritta e condivisa che è quella culturale, quindi fatta di suggestioni, input, simboli. Sia le suggestioni che i simboli sono virali, come se l’opera materiale avesse – ed ecco forse il ritorno dell’aura – una sua componente che non è più racchiusa nella sola forma, e forse nemmeno nella singola identità e ricerca dell’artista.

Le opere come processi, e le individualità come connessione. Unire lembi disgiunti, incrociandoli, in una nuova geografia. Border Crossing appunto.

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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