Musia. Vita Arte e Miracoli di Ovidio Jacorossi e del suo nuovo spazio e progetto con intervista inedita

Ph. Musia Living Arts, allestimento con opera di Balla, Sironi, Severini e panoramica.jpg

Musia è uno spazio dell’arte e una struttura multifunzionale aperta nella Capitale da Ovidio Jacorossi, collezionista e nota personalità nel campo industriale e anche culturale, esempio brillante di homme self-made con radici familiari reatine (Leonessa).
Musia è ubicato nel quartiere Parione, che ha visto i natali del piccolo Ovidio e di gran parte della sua famiglia; si presenta a tutti gli effetti come un prezioso museo aperto gratuitamente alla pubblica fruizione: qualcosa a cui Jacorossi tiene moltissimo, convinto da sempre che l’arte e la cultura debbano arrivare a tutti e possano migliorarne la vita. La sua vastissima e raffinata collezione lo testimonia: oltre 2.500 opere, parte delle quali destinate, negli anni della piena attività del gruppo, alla fruizione dei suoi operai e clienti nelle sale e nei corridoi della sede aziendale a Milano.

Jacorossi come imprenditore umanista?

“Le assicuro che è possibile conciliare profitto e bene comune…”

Quindi lei è un benefattore?

“Guardi che mettere al centro l’uomo è importante ed è pensabile anche nelle aziende…”.

In effetti, da un anno almeno, i selezionatori e i responsabili delle risorse umane di grandi aziende e società seguono una nuova tendenza che è quella di cercare personale con  lauree umanistiche: finalmente! Anche in questo lei è un pioniere?

“Non so dirle, ma è certo che ci ho sempre creduto. Noi, che commissionammo ad alcuni artisti opere sull’energia e l’elettronica, presentammo questa produzione a Venezia nel 1986 dove raccontammo l’iniziativa Keplero e, appunto, la rilevanza della centralità dell’uomo nel sistema economico. Il TG3 fece un servizio Tv di circa un’ora… In quegli anni queste idee sembravano un’eresia…”

L’interazione tra cultura e impresa allora era un tema ancora relativamente nuovo e oggi sembra un’aspirazione anche di Musia che, tra l’altro, coniuga passato e presente: ambienti forse progettati da Baldassarre Peruzzi e interventi contemporanei dell’architetto Carlo Iacoponi, l’antico Teatro di Pompeo e Studio Azzurro. Questi artisti hanno qui  realizzato un’opera ambientazione multimediale appositamente commissionata per lo spazio sottostante Musia dove dovrebbe insistere una parte del teatro romano); nell’area ristoro è allestita un’alta parete con superbe foto di Pasquale De Antonis, grande fotografo di moda italiano attivo negli anni ’50, amico di artisti e galleristi, che ha saputo immortalare abiti e modelle volutamente allontanandosi da corposi ammiccamenti, atmosfere à la page e sensualità femminile riuscendo a restituire anche la posizione duplice del ceto intellettuale proprio verso la Moda, oltre che la Pubblicità.
Dicevamo, dunque: coesistenza di passato e presente, Cultura e imprenditoria, mecenatismo e profitto, sovrapposizione tra ambiti e linguaggi…Chiediamo: come si è conciliata questa visione rinascimentale con quella aziendale? Lo domandiamo allo stesso Jacorossi. Aggiungendo: la sua famiglia come vedeva questa sua passione?

“Mio fratello Giancarlo aveva una forte sensibilità per l’arte ma per il resto, generalmente, i miei consideravano questa mia passione come qualcosa di strano, all’inizio: ma tanto io non mi fermavo mica…

Poi, sa, pur amando l’arte me ne sono dovuto occupare nei ritagli di tempo, all’inizio, perché ero così impegnato nell’azienda… Ho però cercato di tener fede sempre a quell’idea…”

Un’idea olivettiana, aggiungiamo noi, che prende l’avvio, in un certo senso, quando Jacorossi è ancora piccolo. Musia è ubicata in Via dei Chiavari al civico 7: non a caso, quasi dove c’era il piccolo negozio di famiglia aperto negli anni Venti dal nonno Agostino; vi si vendeva legno e  carbone e rappresentò la prima ideale tappa di un avanzamento imprenditoriale nel settore dei servizi e degli impianti energetici degli Jacorossi: spinto da un fatto drammatico. Aveva solo sedici anni, Ovidio, quando rimase orfano del padre e dovette occuparsi del negozio di famiglia con la madre, il fratello Angelo e poi l’altro fratello Giancarlo e con una sorella ancora 13enne.

“Fu una tragedia, ma ho imparato che talvolta da qualcosa di negativo e di terribile può nascere qualcosa di positivo; dopo la morte di mio padre, e una responsabilità gravosa per tutti noi, arrivò il buono per la mia famiglia”.

Infatti, da quell’impegno inizialmente obbligato dalla necessità, nascerà un gruppo fortissimo in Italia e non solo, che dominerà nel citato settore dei servizi e degli impianti energetici, nella logistica e manutenzione e in diversificate attività. Questa ha compreso, appunto, anche l’arte e la cultura, tanto da portare la Jacorossi verso i servizi globali museali: infrastrutture tecnologiche all’interno del Museo Guggenheim di Venezia nel 1984 e poi al Palazzo delle Esposizioni di Roma, dove furono investiti circa 18 miliardi in ristrutturazione e adattamento per la nuova apertura per i Mondiali di Italia90. Il Comune, in cambio, gli affidò per dodici anni i servizi dello spazio espositivo: caffè, cucina, libreria, sala cinema, sale in affitto; nel 1991 ci fu il museo Emilio Greco a Orvieto per la gestione del quale la Società Artesia del Gruppo Jacorossi fece un accordo con il Comune; nel 1992 arrivò Palazzo Ducale di Genova. Addirittura, la Legge Ronchey, del 1993-95, fu scritta, ci ricorda Jacorossi, “considerando tali esperienze.”
Il recupero degli investimenti non fu proprio totale ovunque, ammette Jacorossi:

“il lavoro a Roma ci ha però insegato come operare al meglio a Genova. Qui, pur andando tutto magnificamente, purtroppo ci sono state delle complicazioni. Il contratto era di quindici anni…”

…tre più di Roma… ma a Genova tutto fu macchinoso.

“Sì, purtroppo: credo che i genovesi non amassero che uno straniero, un romano, si occupasse di un tale gioiello, un polo importante, anche come immagine, della città. La faccio breve: abbiamo dovuto trovare la maniera di andare via dopo otto anni (…). Da quel momento ho voluto correre da solo, pur restando un privato che riconosce e si riconosce nel pubblico…”

…con l’arte sempre come punto di riferimento:  una delle prime opere da lei acquistate fu di un esponente di Valori Plastici: Riccardo Francalancia, artista di Assisi molto attivo anche lui a Roma, conosciuto tramite Giuseppe Gatt…; poi proseguì con tre quadri di Karel Appel acquistate ad un’asta…

“…certamente! Poi però, ho scelto di seguire la linea Italia, e specialmente Roma, e le vendetti; a volte ho alienato opere per sostenere l’azienda o particolari progetti, altre volte ho permutato in cambio di altre opere…”

Quindi l’arte ha fatto parte di un suo percorso personale e la collezione si è un po’ modificata nel tempo: anche grazie ad alcuni incontri.
Il primo è legato a una coincidenza poiché un amico del giovane Ovidio era Giuseppe Gatt: compagno di banco al 3° anno del Liceo. Gatt diverrà critico d’arte, Segretario generale della Quadriennale di Roma, nonché teorico della Nuova Maniera Italiana e l’amicizia durò per sempre.
La storia la racconta lo stesso Jacorossi nei suoi uffici a pochi passi da Musia: anche qui, in via dei Redentoristi, vicina a Sant’Andrea della Valle, ci sono pezzi magnifici tra i quali opere di Gino De Dominicis, Emilio Prini sino al più giovane Gianmarco Montesano (un bel ritratto della famiglia di Ovidio Jacorossi, compreso il patron e uno dei suoi amati cani).

“Erano i primi anni Ottanta e Giuseppe (Gatt n.d.R.) venne a trovarmi nella nostra sede aziendale di sette piani dell’EUR: lì gli venne l’idea di farmi allestire la mia collezione visibile a tutti, dagli impiegati ai clienti. Purtroppo fu un progetto complicato da attuare: erano tempi difficili e fui sconsigliato dall’Ufficio del Personale che riteneva voluttuaria questa spesa e la sua esibizione che poteva essere fraintesa. Io non credevo che questa scelta fosse rischiosa né che potesse risultare uno sfoggio di potere economico ma… accolsi quei pareri, che erano anche dei miei fratelli”.

Ciò che non fu fatto a Roma però si farà a Milano…

“Certamente. In quel palazzo che lei ricordava prima.”

 

Personalmente, per i miei studi sul periodo, ho letto di vere stroncature: anche su “Paese Sera” (a firma Filiberto Menna: 5/6/1984, “Biennale ’84. Ha vinto la squadra dei museofili. Si inaugura domenica ma già sono in corso le polemiche”; 10/6/1984, “Diciamolo, è una delusione. Da oggi la 41a Biennale veneziana. Il tema c’è manca lo svolgimento.”) e in generale un po’ ovunque dove si considerava tale ricerca artistica persino reazionaria…

“…eh sì, ma che sciocchezza!! Quegli artisti hanno espresso attraverso la figura un’Arte Concettuale; forse questo è stato compreso solo dopo, anche dagli stessi autori, forse, e mentre la stampa non ne coglieva la contemporaneità, chi li doveva sostenere non ha fatto abbastanza… Ad ogni modo, Plinio li aveva già con sé…

Va ricordato che la Tartaruga nel maggio 1978 espose Franco Piruca e riunì intorno a sé il gruppo dei Sei pittori colti (Piruca, Abate, Di Stasio, Marrone, Panarello, Pizzi Cannella) ai quali si aggiunsero Ligas, Bulzatti e Gandolfi.

“Furono definiti Anacronisti. Mi colpirono. Dunque io ebbi quell’intuizione e chiesi a Plinio di tre opere di Di Stasio, bellissime, lì in Biennale, tirando fuori un blocchetto di assegni…Lui mi guardò stupito e mi chiese: «Ma che fa? Ma è sicuro? Ora? Su due piedi…? ». Poi chiamò Di Stasio che era lì e gli disse: «Ma tu che dici? Sei d’accordo?? ». Lo chiamavo Sor tentenna, Plinio. Grandissimo anche in questo. Da lì è nato il nostro rapporto fatto di stima, fiducia e amicizia. Da lui ho preso un quadro di Piruca, uno dei primi, del 1976: da lui hanno attinto tutti, lui anticipò l’Anacronismo,  in un certo senso anche la Transavanguardia. Qui si vede con chiarezza quanto sia importante, per un artista, avere una solida galleria alle spalle, contare su un buon gallerista, un buon critico, un buon curatore… e per i collezionisti potersi affidare al gallerista giusto; io ho avuto sodalizi anche con Leo Castelli e Pio Monti”

A Roma questa solidità di sistema era affidabile? Era ben riposta la fiducia in gallerie e critici? Come erano quegli anni?

“Sono stati anni formidabili. Con importanti sodalizi. Certo, era fondamentale anche allora andare all’estero, avere rapporti internazionali…”

…abbiamo patito e patiamo una scarsa forza politica, economica e del Sistema dell’Arte centrato altrove; ad ogni modo, e ciò nonostante, lei ha posto le radici del suo mecenatismo qui in Italia, e a Roma…: lei era cosciente delle difficoltà di una rivalutazione adeguata, rispetto ad una scelta diversa, angloamericanocentrica?

“Ero consapevole che non sarebbe stata un’operazione molto speculativa. Ma è stato l’amore verso l’arte di questo nostro Paese, i suoi artisti, e l’amore per questa nostra città a farmi agire in questo modo. A Roma ci sono artisti straordinari; pensi ad Achille Pace: su di lui, di cui abbiamo venti opere degli anni ’60, ’70 e ’80, ci sarebbe tanto da analizzare, da lavorare… Tanti ce ne sono, ce ne sarebbero, ce ne saranno…”.

Credo che a molti artisti italiani di tali generazioni si debba giustizia, e a quelli a Roma anche di più, e so che la ricerca , l’analisi storica, lo scouting e la valorizzazione dell’arte qui concentrata dovrebbero anche poter contare su un sistema e un mercato più generosi. Ci vorrebbero più… Jacorossi, giusto?

Info

Le mostre in corso:

  • Dal 01.12.17 al 30.09.18 in Galleria 7: Dal Simbolismo all’Astrazione. Il primo Novecento a Roma nella Collezione Jacorossi |  A cura di Enrico Crispolti con la collaborazione di Giulia Tulino
  • Dal 01.12.17 in Sale Pompeo: Studio Azzurro. Teatro di Pompeo, Cesare, ultimo atto. Dramma per 4 stanze e 9 schermi ambiente video
  • Art Gallery & Store: Design; Gioielli d’Artista – creazioni originali e a tiratura limitata (Paola Gandolfi; Rita Miranda; Alessandra Calvani etc.)
  • Cucina: chef Ben Hirst e i suoi collaboratori; nella sala, opere fotografiche di Pasquale De Antonis
  • Wine Bar: selezione delle etichette con una carta realizzata in collaborazione con Winedo.
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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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