La governante di madame Tamara de Lempicka svela la donna nell’epoca Nuova

Avete mai provato a fare una ricerca in rete o in biblioteca relativamente a pubblicazioni su Tamara de Lempicka? La lista è enorme, e va da più semplici articoli a cataloghi di mostre a libri divulgativi sino a saggi più o meno approfonditi. Tra questa produzione spicca per originalità La governante di madame De Lempicka di Clara Zennaro (ed. G.M. libri, 2021), tra immaginazione e verità storico-artistica, che ho divorato una prima volta a fine agosto, per una lettura estiva non troppo pesante, e ho ripreso per una seconda lettura più attenta e analitica in questi giorni.

L’autrice mescola con briosa capacità narrativa fatti realmente accaduti nella vita e nel percorso formativo della regina dell’Art Déco a un immaginario personaggio femminile che l’assisterà per un lunghissimo tratto della sua esistenza e per una parte di quella professionale.

Due donne diversissime, per nascita, origini sociali e aspirazioni: desiderose di indipendenza e affrancamento entrambe, ma Tamara, indomita e bramosa di libertà, a qualsiasi costo; l’altra più timorosa e imbrigliata in sogni non del tutto suoi, ingenerati, piuttosto, dalla società di allora (di allora?!) che voleva giovani per bene votate al matrimonio, alla famiglia, ai figli, a una sistemazione e con pochi grilli per la testa. Pura fallocrazia: così era.

Ma poiché le brave ragazze vanno in Paradiso ma tutte le altre dappertutto, Tamara si muove dove e come vuole: da una Varsavia zarista alla Russia, da Montecarlo, alla Svizzera, dalla Rivoluzione d’Ottobre a un’Europa cosmopolita, da Copenaghen all’Académie de la Grande Chaumière e alle lezioni da Maurice Denis e André Lhote, e alle feste nei salotti di Parigi; dall’Italia  a Cuba e poi in America, dove ad un certo punto perderà parte della sua forza pittorica, e in Messico, dove passerà la sua vecchiaia malata (già nel 1943 accusa i primi sintomi di arteriosclerosi) e dove sarà sepolta nel 1980. E intesse amicizie straordinarie, come quella con Pablo Picasso, Jean Cocteau, André Gide, con la divina Greta Garbo, l’acclamato sarto Poiret, Joyce, Colette, Isadora Duncan e Marinetti; e ha un’ambizione che la renderà moglie non pienamente soddisfatta e madre distratta e quasi assente, perché è eletta alla pittura e ad allargare la sua esperienza del mondo, dell’amore, dell’arte; e forse anche di sé.

Come biasimarla?

Rosalia, quasi una bimba alle dipendenze della ribelle Tamara, ebrea polacca in fuga, la seguirà dai duri anni dell’esilio post-rivoluzione d’Ottobre, fino a Parigi e in ogni tappa della sua fortunata carriera. Entrambe sono grandi lavoratrici: l’una dalla vita piena di rinunce e di fatica, l’altra privilegiata di nascita ma similmente bramosa di sicurezze economiche e di autonomia, a cui aggiunge la certezza che la realizzazione sia solo con e nell’arte.

Sembrano due facce di una stessa medaglia, la servetta poi dama di compagnia, assistente, musa, che Tamara pare voler far sbocciare e liberare secondo, però, la sua visione del mondo che Rosalia non riuscirà a condividere fino in fondo, per timore o per un sentire morale differente; per poi ritornar sui suoi passi…

Il tempo passa, e lei dirà: “Rivedere i miei ritratti mi fece una strana impressione.” A un certo punto della sua vita, Rosalia, infatti, li aveva rinnegati, per vergogna, per una scelta di vita più ordinaria, o tranquilla; ma poi scoprirà di “provare nei loro confronti uno sconfinato orgoglio”.

Perché l’artista vede più profondamente e più lontano; infatti, Rosalia, ormai anziana, ammetterà: “Tamara aveva colto nel mio volto e nei movimenti del mio corpo una sicurezza e una fierezza che non avevo mai creduto di aver. Mi aveva conferito, con il suo pennello e i suoi colori, attributi che mi erano sconosciuti, ma che lei sicuramente aveva scorto nella mia persona. (…). Mi ritrovai faccia a faccia con una parte di me che non avevo mai colto, e le fui grata per avermi dato l’incredibile occasione per poterla conoscere”.

Il loro, tra addii e riunioni, sarà un legame indissolubile: molto più di quello che sino a quasi la fine del libro avremmo immaginato…

La narrazione è, più che un’indagine sull’arte, sull’artista e sulla Storia, un intimo palesamento psicologico e una trasformazione della consapevolezza di sé di una donna, Rosalia, più dell’altra, anzi: grazie proprio all’altra.

In ognuna di noi c’è qualcosa di Tamara e qualcosa di Rosalia e nessuna dovrebbe sentirsi obbligata, da una società di matrice maschilista, a scegliere… Il libro, questo, non lo dice espressamente ma indirettamente ce lo fa percepire: eccome!

Comunque, nello sviluppo della narrazione, che copre il lungo lasso di tempo che va dal 1914 agli anni Settanta del Novecento, vediamo tanta creazione artistica, lo studio dell’artista, alcune sue opere memorabili, la nascita di alcuni capolavori celebri; Kizette (Marie Christine), la bionda riccioluta figlia, l’unica, affidata alle cure della nonna, madre di Tamara, e soggetto di molti suoi quadri; alcune modelle, qualche amante uomo – decisamente poco eroico – e donna – assolutamente più intrigante – e tanta inquietudine interiore di una pittrice alle prese con l’ispirazione e il suo genio.

Lo scorrere della storia si dirama più volte in narrazioni multiple – ne dovrebbero fare un film: è scritto come se lo fosse, in parte! – focalizzate sia sulla quotidianità e sul conseguimento della percezione e cognizione di sé di Rosalia, sulle sue decisioni e su qualche errore, sia su Rosalia e Tamara insieme, sia, ovviamente, su Tamara protagonista che via via acquisisce autorevolezza e autogestione in un mondo di uomini e raggiunge il successo.

Il finale del libro è a sorpresa, ed è sinceramente inaspettato: un’opzione autoriale interessante, forse breve, poco sviluppata, ma volutamente, perché rivelazione con ben poco da aggiungere.

Non spoilerò, ma è da notare che da tale conclusione si evince una profonda solitudine dell’artista e un tentativo introspettivo onesto, sincero. Con qualche piccolo rimpianto (forse) e una malinconia serpeggiante, che nella realtà si intravede nelle opere più tarde di Tamara, che chi conosce la sua vera parabola storico-artistica sa quanto abbiano probabilmente risentito delle premesse della grande guerra, del tradimento del progresso e della promessa di una duratura, sfavillante vita nuova non mantenuta.

Leggendo il libro, ci si chiede chi sia stata più felice delle due donne e chi di loro poteva esserlo di più facendo scelte diverse… Non lo possiamo sapere.

Quel che è certo è che la Femme fatale, l’interprete della mondanità parigina e dell’internazionalismo di quegli inimitabili anni Venti, la giovane desiderata da uomini (compreso D’Annunzio che lei, a ventotto anni, rifiutò, bollandolo come “Vecchio nano in uniforme!”) e donne, affascinantissima – come testimoniato dalle foto di Madame d’Ora, ovvero Dora Philippine Kallmus (altra personalità femminile e creativa straordinaria!), che nei suoi ritratti la indicava come “la belle peintre polonaise” –, la persona e artista sedotta dalla bellezza in ogni ambito e dall’eleganza – ricordiamo che la de Lempicka fece anche l’illustratrice di prestigiose riviste di moda –, colei che fu e dipinse la donna nouveau, sfrontata, padrona del proprio corpo e dei suoi desideri, alla guida di auto veloci e mitiche come una Bugatti verde, viaggiatrice, talentuosa, in carriera, indipendente e vincente, lei, insomma, finirà nelle enciclopedie, nella Storia dell’Arte e nei musei di mezzo mondo.

Sicuramente, agli inizi del Novecento, le Avanguardie artistiche avevano rovesciato il tavolo e scompigliato le carte; il Futurismo e il Cubismo avevano sovvertito l’arte in modo radicale, confrontandosi con la velocità e la quarta dimensione (il tempo…),  l’Espressionismo aveva mostrato l’interiorità, l’abisso umano e le ferite esistenziali come mai nessuno aveva osato fare prima, Duchamp aveva creato una cesura tra l’arte “prima” e “dopo” di lui, non solo con un orinatoio ribaltato e rinominato, ma qualificando come arte scolabottiglie e ferri da stiro (Man Ray) rettificati; il Surrealismo stava per rovistare nell’inconscio e facendo affiorare un variegato, inquietante e sessualissimo mondo onirico…

Anche Tamara, che pure guardava al glorioso passato dell’arte, a Michelangelo, Engres e Pontormo, diede il suo contributo a questa rivoluzione generale: prima di tutto, in quanto donna, e artista, attestando che una femmina poteva autodeterminarsi, palesarsi e riuscire al pari e anche meglio di un uomo.

Fu di rottura pure attraverso la sua figurazione che, oltre l’indiscutibile bellezza e sensualità dei suoi protagonisti ritratti, l’erotismo profuso nelle scene, i corpi poderosi, l’ardimento dei temi etero e omosessuali, la luminosità sferzante dei colori (memore della lezione dei Fauves), l’efficacia delle sue raffigurazioni e la forza delle sue composizioni, è stata innovativa anche perché restituì l’atmosfera di un’epoca caratterizzata dal vento del cambiamento, dall’architettura moderna, dalle novità nella moda, nell’industria, nella grafica, nella fotografia, nel cinema, nelle forme, ovunque, e nelle prime, importanti rivendicazioni di genere.

l libro scorre che è un piacere e coinvolge sia chi si interessa di arte visiva sia chi si appassiona più puntutamente alle storie.

Mi domando da dove parta l’interesse di Clara Zennaro per la de Lempicka (Varsavia, 16 maggio 1898 – Cuernavaca, 18 marzo 1980), nata Gurwik-Górska da madre polacca e da padre ebreo russo dalla biografia ancora misteriosa, legatissima alla nonna e grata a ricchi zii tra cui la zia Stefa Jansen; e sono curiosa di sapere da cosa sia scaturita l’idea di raccontare madame attraverso una figlia del popolo, e come sia nata proprio lei, Rosalia, la governante, nella fantasia dell’autrice. Quindi lo chiedo direttamente a lei. Clara, dicci…

Tamara de Lempicka è stata un’artista molto importante per la mia formazione. Nel corso degli anni, soprattutto durante il mio percorso all’Accademia di Belle Arti, ho approfondito gli studi sulla sua opera. Spesso mi sono domandata come mai nessuno avesse pensato di scrivere un romanzo sulla vita rocambolesca di questa pittrice, finché un giorno ho deciso di farlo io.

Ho pensato a lungo a chi avrebbe raccontato questa storia: la narrazione in terza persona mi sembrava troppo impersonale; volevo che le vicende venissero rivelate da una persona che le aveva vissute in maniera diretta, ma narrarle dal punto di vista della de Lempicka mi sembrava irrispettoso. Così ho dato voce a Rosalia, che conosce la pittrice a Pietrogrado, quando entrambe hanno sedici anni, e le rimane accanto per un lungo periodo della loro vita.

Grazie alle memorie di Rosalia, ho cercato di offrire un quadro chiaro del contesto in cui è nata e si è sviluppata la forte personalità e l’inconfondibile arte di questa pittrice. Per fare ciò, ho raccontato gli avvenimenti storici che hanno caratterizzato un periodo particolare come il Novecento – la Rivoluzione d’ottobre, il crollo della borsa di Wall Street, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, i moti sessantottini – cercando di comprendere le ripercussioni che gli stessi hanno avuto sull’esistenza di Tamara de Lempicka.

Il tempo e i tempi di questo romanzo vengono scanditi dall’analisi dei quadri più significativi dell’artista da parte della stessa Rosalia. È lei che descrive la nascita delle sue opere più famose con occhio sempre più critico, mano a mano che affina le sue competenze nel campo della pittura, offrendo al lettore delle nozioni, seppur superficiali, di critica pittorica.

Rosalia è una donna che proviene da un contesto molto diverso rispetto a quello della de Lempicka. La vita della pittrice è fatta di lusso e trasgressione, mentre quella della governante di impegno e di abnegazione. Queste due donne, pur vivendo le stesse vicende, reagiscono in maniera differente, per via del loro background culturale. Nonostante ciò, Rosalia somiglia molto a Tamara de Lempicka sotto certi aspetti… Tra le due donne si instaura subito un rapporto davvero particolare, che subirà delle grandi trasformazioni nel tempo.

Tamara de Lempicka, la donna dalle tante vite, svela molte articolazioni in questo libro che ne mette in luce risvolti interessanti e tutti possibili, fino all’epilogo, soddisfacente e credibile.

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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