Gabriele Basilico. Metropoli. Non solo città ma misurazione di spazio e condizione urbana

Che gli studi di Gabriele Basilico abbiano riguardato anche l’Architettura è noto, e non è ininfluente nello sviluppo della sua ricerca e della propria affermazione come autore di paesaggi urbani tra i più conosciuti al mondo; pur se una delle sue frasi autobiografiche più conosciute e citate è relativa alla sua iniziale oscillazione tra due strade professionali da percorrere (“Per tanti anni ho avuto l’alibi che non sapevo bene se avrei fatto un giorno l’architetto o il fotografo”), è fuor di dubbio che la decisione in cuor suo fu presa con sicurezza e una passione che si evince da tutto il suo lavoro.

L’architettura, ciò nonostante, è sempre lì, parte dalla sua formazione e non lo abbandona più, resta anche nello sguardo sulle città che Gabriele Basilico ci lascia in grande quantità.

Egli ci riconsegna Glasgow in quel primo rullino del 1969; l’Iran e il Marocco degli anni Settanta; l’amatissima Milano – “Questa città mi appartiene e io appartengo a lei, quasi io fossi un frammento fluttuante dentro il suo immenso corpo” – che fotografa per tutta la vita, dal 1978; l’Emilia Romagna delle balere, la Normandia del 1984, i porti di mare – Napoli, Genova, Barcellona, Bilbao, Anversa, Rotterdam etc. – lo stesso anno, poi riuniti in un libro nel 1990 e in una mostra; la più problematica, sofferta Beirut del 1991, quando, coinvolto dalla scrittrice libanese Dominique Edde nel progetto della fondazione Solidère, con sodali quali Raymond Depardon, Joseph Koudelka, Robert Frank, René Burri, Fouad Elkoury, e accompagnato dall’inviato del Tg Rai Tanino Musso che riprende il backstage, eternò la devastazione prodotta da 15 anni di distruzione e sangue nella città. Come? Adottando un suo codice, in essenziale bianco e nero, privilegiando la sospensione spazio-temporale, il vedutismo piuttosto che il carattere fotogiornalistico e, così facendo, mostrando più lui delle ferite della guerra che tanti altri lì sul campo; ça va sans dire, arriva il decisivo riconoscimento e duraturo internazionale. Beirut sarà poi rifotografata nel 2011, a colori, in una narrazione della ricostruzione.

L’ampia retrospettiva Metropoli, al Palazzo delle Esposizioni – che sempre più si sta connotando come uno degli importanti e istituzionali luoghi espositivi sulla Fotografia – ci mostra questo rilevante percorso attraverso più di 250 immagini allestite in modo tale da accompagnarci nel procedere speculativo e visivo dell’autore, raccontandoci, anche, l’evoluzione dello sguardo fotografico oltre che le città da lui immortalate e in quel particolare modo tutto suo.

Si palesa in modo evidente, grazie alle opere e allo sviluppo allestitivo scelto, che la fotografia di Basilico, tra una più forte propensione sociale dell’inizio – decisamente meno nota, non in mostra e forse di non ampia produzione  – e una concentrazione più paesaggistica, si è sviluppata andando, ovvero: avendo il viaggio come costante, sia, ovviamente, nella sua professione sia, in qualche misura, nel suo sguardo Ciò, però, rispettando un tempo lento che lo estrania dal più classico reportage così come lo allontana dal “decisive moment” – alla Cartier-Bresson, per intenderci – avvicinandolo a una visione che lavora “sulla distanza”, che prende “le misure”, insegue un equilibrio “tra un qui e un là”, mira a “riordinare lo spazio” e a individuare, infine, “un senso possibile del luogo”. (G. Basilico, postumo, in Abitare la metropoli, Contrasto edit., ottobre 2013). Ecco: il luogo, anzi, i luoghi; ebbene: diversissimi tra loro, un poco si somigliano tutti.

La vicinanza, se non la similitudine, è da rintracciarsi, ad esempio, nella quasi assenza dell’essere umano, in favore della forma degli edifici e dello spazio, e della luce che li esalta; e nell’uomo, del quale, sia quando c’è sia quando non compare affatto – nella maggior parte delle sue foto –, l’autore percepisce e ci fa intendere sempre e comunque la firma del suo alacre edificare, modificare e caratterizzare territori abitativi.

La rintracciamo, ancora, nelle architetture delle aree urbane, nelle periferie, nelle zone industriali, nei porti, nelle metropoli e nelle città più contenute in cui Basilico individua e ci fa sottintendere un filo rosso che unisce tante diversità nel segno delle trasformazioni del paesaggio contemporaneo, di quel “fenomeno sociale ed estetico delle grandi, rapide, incontenibili trasformazioni in atto nelle città del pianeta” (G. Basilico, cit.) che in particolare cercava e restituiva in modo insistente (“mi interessa in modo costante, quasi ossessivo”, cit.).

Infine, il parallelismo tra luoghi tra loro e delle immagini di Basilico, è nella resa della panoramica, aperta e contemplativa, alla Walker Evans, sempre più dall’alto verso il basso, sancendo una lontananza che consenta di abbracciare il più possibile, dello spectrum, la vastità e l’intreccio di piante, prospettive, prospetti per giungere a una possibilità descrittiva globale. Questa non è mai didascalica, il più delle volte è metafisica e, allo stesso tempo, concretissima.

Vediamo in mostra foto delle numerose città ritratte, in modo scenografico e monumentale anche quando indagate nei dettagli, in porzioni selezionate di realtà – si veda un nucleo di piccole opere su Roma – con un’attitudine, appartenente a lui e a lui solamente, da “misuratore di spazio” e della condizione urbana.

Così, si aprono alla nostra fruizione Beirut, Milano, Palermo, Napoli, Barcellona, Madrid, Lisbona, Parigi, Berlino, Buenos Aires, Gerusalemme, Londra, Boston, Tel Aviv, Istanbul, Rio de Janeiro, San Francisco, New York, Shanghai e, appunto, Roma, accostate sia per assonanza che per dissonanza, in un confronto con lo spazio costruito e  nel tentativo – oltre che del fotografo, dei curatori Filippo Maggia e Giovanna Calvenzi, curatrice anche  dell’Archivio Gabriele Basilico – di trovare la peculiare natura di ogni città e di una (possibile) essenza comune nonché di una possibilità di concordanza con quei luoghi. Tentativo sinceramente riuscito. Filologicamente parlando, ma anche empaticamente, tale sforzo funziona, la mostra ne giova e il pubblico non può non notarlo e apprezzarlo.

Tutto organizzato per cinque grandi capitoli: Milano. Ritratti di fabbriche 1978-1980, il primo importante progetto realizzato da  Basilico; le  Sezioni del paesaggio italiano, un’esplorazione sul nostro Paese suddivisa in sei itinerari percorsi nel 1996: progetto in collaborazione con Stefano Boeri e presentata alla Biennale Architettura di Venezia; le due campagne fotografiche su Beirut; Le città del mondo, italiane quali Palermo, Bari, Napoli, Genova Milano, internazionali quali Istanbul, Gerusalemme, Shanghai, Mosca, New York, Rio de Janeiro, connotando questo lavoro come una sorta di viaggio nel tempo e nei luoghi. Altro nucleo tra le sezioni: Roma, dove Basilico ha lavorato a più riprese, sviluppando cicli diversi fino al 2010, in occasione di una complessa e avventurosa comparazione tra la città contemporanea e le settecentesche incisioni di Giovambattista Piranesi.

Oltre alle opere, in mostra c’è la visualizzazione grafica di un’ampia biografia illustrata che racconta, attraverso brevi testi e immagini, il percorso artistico e professionale di Basilico (più volte infatti le due sfere si sono incrociate) e tre video: il primo è quello realizzato da Tanino Musso nel 1991 a Beirut e rimontato da Giacomo Traldi che ha rielaborato anche un’intervista del regista Amos Gitai del 2012 dedicata a Roma e a Piranesi. Il terzo video, A proposito di Sezioni del Paesaggio italiano, è un’intervista a Stefano Boeri realizzata da Marina Spada nel 2002.

Ultima notazione a chiusura di questo approfondimento su Gabriele Basilico, la sua ricerca, le sue foto e la mostra in corso a Roma al Palazzo delle Esposizioni fino al 13 aprile: non si possono considerare senza, anche, inevitabilmente riflettere su altre trattazioni contemporanee e oggi di urgente necessità di risoluzioni come la cementificazione e lo sfruttamento del territorio e delle risorse, come la sostenibilità, le periferie – urbane, certo, ma anche del mondo – le  disuguaglianze sociali, l’inclusività…

Pure questa complessità – politica sociale, antropologica – accanto all’analisi linguistica dello specifico fotografico dell’operator, entra in questa panoramica. E’ questa la grandezza di Gabriele Basilico e di mostre su tematiche simili: sarà forse “presuntuoso e illusorio sperare che la fotografia possa rieducare alla visione dei luoghi”, come ipotizzava Basilico (cit.)? Quel che è certo è che “uno sguardo sensibile, meditativo, centrato, può aiutare a rivelare ciò che è davanti ai nostri occhi ma spesso non è riconoscibile.” (cit.).

Info mostra

  • Gabriele Basilico | Metropoli
  • a cura di Giovanna Calvenzi e Filippo Maggia
  • 25 gennaio – 13 aprile 2020
  • Palazzo delle Esposizioni – via Nazionale 194 – 00184 Roma
  • Promossa da: Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale, Azienda Speciale Palaexpo
  • Organizzata da: Azienda Speciale Palaexpo
  • Realizzata in collaborazione con: l’Archivio Gabriele Basilico
  • Informazioni e prenotazioni: tel. 06 39967500; www.palazzoesposizioni.it
  •  Ufficio stampa Azienda Speciale Palaexpo Piergiorgio Paris  – p.paris@palaexpo.it; Francesca Spatola  f.spatola@palaexpo.it; Segreteria: Dario Santarsiero – d.santarsiero@palaexpo.it

In occasione della mostra tanti incontri fotografici, tavoli di lavoro Cinema e laboratori al Palazzo delle Esposizioni:
https://www.artapartofculture.net/2020/01/30/gabriele-basilico-metropoli-appuntamenti/

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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