Mer De Sable. Lo shot. Henri Cartier-Bresson e i Crosby. Una storia

immagine per Henri Cartier-Bresson
Fotoritratto di Henri Cartier-Bresson giovanissimo

Considerato uno dei fotografi più importanti del Novecento, tanto da meritare l’appellativo di “occhio del secolo”, Henri Cartier Bresson (Chanteloup-en-Brie, agosto 1908 – L’Isle-sur-la-Sorgue, agosto 2004) amava disegnare e si avvicinò alla fotografia d’arte nel 1929, poco più che ventenne, quando passò un weekend con una coppia sposata di poeti surrealisti ed editori, HarryCaresse Crosby, che lo introdussero proprio alla fotografia d’arte; lo short narra frammenti immaginari di questo istante decisivo per il fotografo e una tappa fondamentale della sua istruzione alla vita.

Martedì 17 luglio, prima della finale di Master of Photography, andrà in onda su Sky Arte (canali 120 e 400 di Sky) alle ore 21:00 Mer De Sable, un cortometraggio d’autore di dieci minuti inspirato proprio a un episodio vero nella vita di Cartier-Bresson e al suo legame con i Crosby.

Da molti dimenticata, questa coppia d’aristocratici americani, fu il simbolo della fine dei roaring twenties.

Lui, nipote di JP Morgan, abbandonerà il lavoro in banca per dedicarsi in pieno alla vita d’artista e alla renvenzione stravagante di sè; lei, nata Mary Phelps Jacob e che allora si chiamava Polly Peabody, più grande di lui di soli sei anni – che a quei tempi risultavano un’enormità specialmente se la più vecchia era la donna – scandalizzerà i benpensanti lasciando il primo marito per quest’uomo più giovane.

Considerata l’inventrice del reggiseno – il suo progetto lo vendette alla Warner Brothers Corset Company del Connecticut – e una tra le pioniere di una certa produzione letteraria erotica femminile, Caresse fu madrina della cosiddetta generazione perduta di scrittori emigrati a Parigi;  morì a Roma nel 1970.

Lui se ne andò molto prima, con una sua amante in un misterioso omicidio-suicidio. Si amarono a lungo, sempre, nonostante tutto e i tradimenti; lei scrisse che Harry era “la personalità più vivida” che lei avesse mai conosciuto, “electric with rebellion”.

Entrambi carismatici, avvenenti, liberi, all’avanguardia, cosmopoliti, originali, estremi, dediti all’uso frequente di droga, vitali e tragici allo stesso tempo, grandi viaggiatori, cercano, attraverso una vita vissuta pericolosamente, di conquistare un loro posto nella storia. Un posto d’elezione: a Parigi, Qui apriranno la loro casa editrice, che pubblicherà autori come, tra gli altri, Hemingway, DH Lawrence, James Joyce.

In un vecchio Mulino all’italiana che ristruttureranno, gli scrittori giovani e già affermati erano di casa, tra feste e momenti creativi; insieme ai loro amici, tra cui Salvador Dalì, diedero qui corpo e anima a una sorta di Factory ante litteram, che fu poi occupata dai nazisti e vandalizzata (su una parete, dipinta a più mani, da quelle di Dalì a quelle di Lawrence, i soldati nel 1940 lasciarono graffiti e le proprie firme: tra queste si è ritrovata anche quella di Eva Braun in visita!).

Nei tempi del massimo splendore di questa fucina, tra feste e convivi, si esplorava anche la fotografia sperimentale. In questo clima esaltante, il giovanissimo Henri Cartier-Bresson si avvicinerà alla fotografia. Da quel momento, non se ne allontanò mai più… apprezzandone la capacità di “raggiungere l’eternità attraverso il momento”, una sorta di “mannaia” che in quell’eternità ha colto “l’istante che l’ha abbagliata”.

Della fotografia, con la sua Leica, ha detto:

“Una volta, non ricordo più dove, mi hanno chiesto cosa pensavo della Leica e ho detto che poteva essere un bacio bollente e appassionato, poteva essere anche un colpo di rivoltella, poteva essere il lettino dello psicanalista. Si può fare tutto con la Leica”

Uomo consapevole della sua grammatica visiva, sempre piena di amore per la realtà e la sua immagine, in una interessantissima intervista radio a del 1958 (Candid Recordings Audio – Maurizio Nicosia, trascrizione del testo in inglese di Erica Mcdonald, traduzione italiana di Claudia Marino,  20 gennaio 2012), afferò:

“(…) per me la fotografia è riconoscere in una frazione di secondo il significato d’un evento e simultaneamente individuare l’organizzazione precisa della forma che conferisce a quell’evento la sua espressione appropriata.

Vivendo in modo reattivo, la scoperta di se stessi avviene parallelamente alla scoperta del mondo circostante, che ci plasma, ma che allo stesso tempo subisce la nostra influenza. Occorre trovare un equilibrio tra questi due mondi dentro e fuori di noi e questo processo, costante e reciproco, crea infine un unico mondo. E questo è il mondo che dobbiamo comunicare. Tutto ciò, comunque, interessa solo i contenuti d’un’immagine. Non penso però si possa separare il contenuto dalla forma. Per forma intendo una rigorosa organizzazione geometrica dell’interazione tra superfici e linee, e i loro rapporti. Le idee e le emozioni si concretizzano e diventano comunicabili solo all’interno di questa organizzazione visiva e in fotografia può emergere esclusivamente grazie a un istinto ben sviluppato.”

Aggiungendo, in modo assai modesto:

In ogni caso desidero precisare che si tratta d’una mia regola, d’un ordine che ho stabilito per me. Non è una scuola, né… È assolutamente personale.”

Tra le osservazioni più acute sul linguaggio fotografico da lui perseguito spicca quello di Jean Claire (da: Introduzione a Henri Cartier-Bresson, Paris, Photopoche Nathan, 2002):

“Le sue fotografie, prima di essere la cattura della luce tramite grani d’argento, sono una metafora ottica, la dimostrazione che l’obiettivo fotografico in mano a un poeta può elevarsi sulle oscurità più profonde del reale.”

Però, non lasciò mai il disegno, Henri, consapevole della diversità dei due specifici:

“La fotografia è per me l’impulso spontaneo di un’attenzione visiva perenne, che afferra l’attimo e la sua eternità. Il disegno, invece, per la sua grafologia, elabora ciò che la nostra coscienza ha afferrato di quell’attimo. La foto è un’azione immediata; il disegno una meditazione.”  (Henri Cartier-Bresson in: “L’instant décisif”, Prefazione a Images à la sauvette, Paris, Verve, 1952).

Il cortometraggio, scritto e diretto da Malea, artista che lavora con video, foto e testo, e prodotto grazie al supporto di American Express in collaborazione con Sky Arte HD, come una liofilizzazione di tutta questa complessità, ce la restituisce attraverso un piccolo episodio, quel piccolo episodio, forse non del tutto noto nemmeno agli addetti-ai-lavori ed evidenzia un tassello importante per comprendere al meglio vita e fotografia di questo immenso autore.

Info

  • Regia: M A L E A
  • Con: Davide Banfi, Valentina Carli, Lorenzo Guadalupi
  • Fotografia: Gigi Martinucci (Private; S for Stanley)
  • Scenografia: Ludovica Ferrario (Young Pope; Youth)
  • Montaggio: Giuseppe Trepiccione (Alaska; Una vita Tranquilla)
  • Costumi: Lalla Sabatella (Tatanka)
  • Operatore: Guido Michelotti (La pazza gioia;L’ultimo re), Valerio Azzali (Suburra; L’ordine delle cose)
  • Suono: Stefano Grosso (Fuocammare)
  • Effetti Speciali: Leonardo Cruciano, Nicola Sganga (Racconto dei Racconti)
  • Musiche: Pietro Freddi
  • Una produzione: Milky Way, Brandon Box in co-produzione con Laser Film, Makinarium
  • Art Consulting: Studio Arte 15

 

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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