Artisti che collezionano artisti è situazione e ipotesi di censimento

Ricordo una bella, poderosa mostra di alcuni anni fa (aprile 2009) nell’ambito della seconda edizione di ROMA – The Road to Contemporary Art, la fiera internazionale d’arte contemporanea di Roberto Casiraghi: era curata dall’inossidabile Achille Bonito Oliva che portò a Palazzo Barberini –  credo fosse l’unica volta in cui, con la Direzione di Anna Lo Bianco, la galleria nazionale d’arte antica fu aperto all’arte più attuale – Cose mai viste II, con grandi opere delle collezioni private degli artisti, che già allora mi colpì perché mostrò, attraverso molti lavori significativi, i gusti, le relazioni e gli scambi reciproci degli e tra gli artisti.

La memoria mi assiste nel rammentare anche il piccolo Md’I – Museo d’Inverno aperto nel 2016 a Fontenuova (Siena) da due artisti, Eugenia Vanni e Francesco Carone  che hanno deciso di convocare dei loro colleghi ad esporre opere non risultato del proprio lavoro bensì quelle di loro proprietà ma realizzate dai loro sodali: parte di piccole o grandi collezioni personali, frutto di scambi o regali reciproci tra artisti.

Anche in questo caso, attraverso un’esposizione inevitabilmente parziale ma affettiva, quindi della quele è giustificata una certa incompletezza, si possono vedere e analizzare relazioni di stima e amicizia, affinità elettive e preferenze artistiche tra i vari Maurizio Nannucci, Miltos Manetas, Luca Pancrazzi, Nathalie e Piero Sartogo, Luigi Presicce, Alfredo Pirri, Alessandra Spranzi, Riccardo Guarneri, Michelangelo Consani.

Per tacer di una imminente apertura di un museo d’arte contemporanea a Montecatini Terme, che accoglierà artisti in Commissione che inviteranno artisti a invitare artisti per esporsi con un’opera ognuno: ma di questo diremo altrove.

E poi è la volta di Le altre opere | Artisti che collezionano artisti: ampia nella scelta degli artisti coinvolti, si è occupata di quelli presenti sul territorio capitolino; ognuno ha portato una propria opera esposta accanto a una parte della propria collezione fatta di opere di artisti, molti amici.

Ne risulta una mostra vasta nella quantità delle opere esposte, nei luoghi espositivi e nell’arco temporale in cui l’iniziativa si colloca e dura. La kermesse è nata dall’idea di due artiste donne, Lucilla Catania e Daniele Perego, spinte dalla curiosità, dall’entusiasmo e dal desiderio di creare un ponte tra artisti che fosse percepibile anche fuori, dal pubblico. Mastodontica, l’iniziativa si è articolata nel tempo, in tappe  e in diversi musei a  Roma, funestati anche dalle chiusure e causa pandemia.

A Villa Borghese i musei interessati sono stati il Carlo Bilotti, febbraio-agosto 2020, e la casa-museo Pietro Canonica, marzo-agosto 2020; il Museo di Roma in Trastevere, marzo-settembre 2020; a queste sono succedute la Galleria d’Arte Moderna nel dicembre-maggio 2021 e il Napoleonico nel dicembre 2020-aprile 2021, questi ultimi accordando una proroga.

Articolata, talvolta curiosa, imprevista, inconsueta, la selezione è stata ed è inevitabilmente eterogenea; ma, ribatte Daniela Perego: “volutamente!”. Il criterio curatoriale è alla pari, dall’interno sia perché la chiamata è stata fatta da artiste a colleghe e colleghi sodali, sia perché il punto di vista è assai generoso e probabilmente a tratti molto (troppo?) inclusivo. Ma, specifica la Perego:

Non volevamo operare selezioni critiche ma accogliere le scelte di artisti che sapevamo avevano nel tempo creato una loro collezione, frutto, spesso, di scambi tra colleghi…”

Lucilla Catania le fa eco, sottolineando il palesamento anche “di una complicità” che è pure “esistenziale” tra gli artisti, che desiderano, più spesso di quanto si immagini, avere con loro opere di chi amano e stimano, con cui c’è solidarietà o un comune sentire.

Elencare tutto quello in mostra, che abbiamo visto e ci ha convinti darebbe corpo a una enciclopedia di settore e non è qui possibile svilupparla. Riassumiamo, seguiamo un criterio a partire dalle esposizioni viste e da ciò che ci ha colpiti…

Al Bilotti la carrellata ha coinvolto: Ak2deru, Giovanni Albanese, Alessio Ancillai, Sonia Andresano, Paolo Angelosanto, Andrea Aquilanti, Gianni Asdrubali, Ali Assaf, Paolo Assenza, Laura Barbarini, Sara Basta, Angelo Bellobono, Jacopo Benci, Simone Bertugno, Arianna Bonamore, Pino Boresta, Martha Boyden e Aurelio Bulzatti; al Pietro Canonica: Tommaso Cascella, Gea Casolaro, Massimo Catalani, Lucilla Catania, Auro e Celso Ceccobelli, Bruno Ceccobelli e Francesco Cervelli; al Museo di Roma in Trastevere:  Primarosa Cesarini Sforza, Silvia Codignola, Marco Colazzo, Giulia Del Papa, Gianni Dessì, Alberto Di Fabio, Mauro Di Silvestre, Davide Dormino, Stefania Fabrizi, Mariana Ferratto, Emanuela Fiorelli, Ileana Florescu, Stefano Fontebasso De Martino, Ines Fontenla e Pietro Fortuna.

Sicuramente, raccontando le esposizioni più recenti, del 2021, al Napoleonico l’atmosfera appariva più raccolta, quasi respirando l’impressione di una ricostruzione domestica delle quadrerie e dell’ambientazione.

Qui, Guendalina Salini invita a “sedersi dalla parte luminosa del dubbio”, frase poetica ma, sappiamo, piena di verità, non solo brechtiane; Giuseppe Salvatori colleziona “tutto ciò che al mondo continua ad essere luogo delle epifanie” riassumendole in opere di Carla Accardi ed Elvio Chiricozzi dalle forme non consuete; Silvia Stucky anche Carla Accardi ed Enrico Gallian; Sandro Sanna eleva una pienissima quadreria di opere a parete tra cui di ak2deru (Monosema), di Lucilla Catania e di Tato, Uncini, Verna, e di quel Domenico Bruschi, accademico di San Luca perugino, di cui spicca Ritratto di ragazza da lasciare senza fiato; Alberto Timossi innalza una sua rossa presenza in dialogo con una serie di piccole opere; Vincenzo Scolamiero tra le scelte accoglie autori come Federico Fusi, Pietro Capogrosso e il compianto Oreste Casalino; Francesca Tulli ha, tra le sue scelte, rispolverato Greta Frau; Edith Urban e Fiorenzo Zaffina creano i loro muri aprendo la loro intimità al pubblico;  Donatella Spaziani tra le opere della sua collezione accoglie anche Gino Sabatini Odoardi, Enrico Bentivoglio, molti pezzi di Giovanna Noia, e un eloquente lavoro di Myriam Laplante che le chiede (si chiede, anche?): “…come sono finita in questo buco?” (2014)

Alla Galleria Comunale di Roma l’impressione è di un’articolazione più istituzionale, museale, ma con una vivacità comunque più che rispettata: amplificata. Bravo Claudio Crescetini ad aver scommesso su questa proposta, che ha più che fiancheggiato e accolto.

Licia Galizia ha portato opere di artisti che hanno collaborato con lei al progetto per il Liceo Bafile a L’Aquila (Perego e Catania; Franco Fiorillo, Roberto Pietrosanti, Renzogallo, Stefania Fabrizi, Teodosio Magnoni, Luigi Battisti), accanto alla sua scultura da muro, lamellare…

Paola Gandolfi, sulla base di Amici Cari, porta una sua figurazione pittorica femminile, in linea con la sua analisi psicoanatica e freudiana, e la Periferia, 1993, di Aurelio Bulzatti e un vassoio di carta e china chiuso su plexiglas su cui Felice Levini ha costruito un immaginario potente e personalissimo (s.t.,  2001); e un bellissimo lavoro flat, e graficizzato, di Laura Palmieri.

Massimo Livadiotti, porta un suo lavoro figurativo con volute e dichiarate attinenze al simbolismo e alla metafisica e wunderkammern dechirichiana, attualizzati nei soggetti, e ci accosta, sulla base della scelta figurativa, un olio su tela di Ubaldo Bartolini, Lavandaia, 1997; un acquarello di Sigfrido Martin Beguè, Sibilla Libica, 1986; un olio su tela di Claudio Spoletini, Fabbrica di giocattoli, 2008.

Adele Lotito, ha selezionato uno tra i suoi particolari lavori con fumo di candele e resine, Infinito, 2006, su alluminio, che mette in rapporto la forza e incisività del linguaggio artistico alla (solo apparente, qui) fragilità, vacuità e temporaneità(il fumo); questa considerazione sul rapporto fragilità e pesantezza è anche di Lucilla Catania, presente con una scultura in argilla, piuttosto delicata, trattata con un effetto metallico, di pesantezza, che è richiamato anche dal soggetto raffigurato (una Maniglia, 2001); e di Vittorio Messina, con un Senza titolo, 1986, in foglio di piombo (metallo duttile ma pesante) e frangibile vetro. Accanto opere di Luca Piffero, Dal gioco del nulla Rispecchio rispecchiarsi, 1976 (foglia d’oro con stampini), di Felice Levini, Il sogno di Medea, 2008.

immagine per artisti che collezionano artisti
collez. A. Lotito – op. di Lucilla Catania, Maniglia, 2001, terracotta

Daniela Monaci porta il suo sogno (Dreams, 2014, stampa su carta baritata), una piccola tempera su carta di Toti Scialoja, una piccola installazione di Sara Bernabucci, un dittico di Elly Nagaoka, in tempera su carta e un nudo (627, 2018), disegnato velocemente a china su carta, di Flaminia Lizzani. E indica anche Eugenio Chiesa e Federico Bistolfi.

collez. D. Monaci – op. sua e di T. Scialoja, S. Bernabucci, E. Nagaoka, F. Lizzani -ph B. Martusciello

Claudio Palmieri al suo Segni di Luce, 2013, alla scultura in ceramica e rami di Giancarlo Sciannella, Vascello, 2011, e a Primigenia A1, 2017, di Sandro Sanna, ha affiancato un bellissimo lavoro di Marisa Busanel, una pittura su tavole titolata Madonna, 1974, e un olio su tela materico, furibondo,  di Giancarlo Limoni, che palesa la sua investigazione sul legame Natura-Cultura, tra contrapposizione e convivenza…

Paolo Radi ha proceduto per analogie: lui stesso, e Paolo Cotani e Carlo Bernanrdini, qui si confrontano tutti mantenendo un registro basato su astrazione, rigore, superfici, strutture.  Similmente a quanto ha scelto Roberto Pietrosanti, che perlustra le tante possibilità anche concettualistiche del monocromo, resta sulla geometria e la struttura spaziale, e porta quindi un reticolo dalla dominante azzurra di Giulia Napoleone.

Luca Grechi ha scelto, vicino ad un suo azzurro vibrante carico di luce, un suo efficace ritratto firmato da Isabella Vitale; e opere di Lapo Simeoni; e di Vincenzo Franza e Diego Miguel Mirabella che anni fa erano con lui di casa all’ex lanificio Luciani con Pietro Fortuna; Grechi ha anche portato un piccolissimo quadro con figurazione di un fiore su fondo scuro della Perego.

H.H. Lim ha mostrato la sua essenza umana e creativa esponendo, accanto alla sua opera Code 9K Words (2016), di base nera e disegno bianco, in cui il segno traccia indicazioni di concetti, oltre che di soggetti, solo un quadro di Ben Vautier in un altrettanto nero di fondo su cui emerge la scritta Noire.

Roberta Maola ha affiancato, accanto alla sua opera, straordinariamente fotografica, lavori di colleghe, tutte donne  – Perego, con fiori di Sambuco essiccati su carta; Giulia Del Papa con una figurazione e Silvia Stucky con opere-(di)segno leggere nella forma, profonde nella poetica – per rimarcare la presenza femminile nell’arte e la centralità del lavoro delle donne.

collez. R. Maola -opera di R. Meola -ph. B. Martusciello

Renzogallo, accanto alla sua esplosione di simbolico rosso (tecnica mista e raso su legno), coerente con le sue strutturazioni primarie che recano sempre e comunque implicite una tensione ambientale, che l’artista concretizza nelle installazioni e ambientazioni, ha portato un bellissimo segno della pittura (collage, tempera e biro su legno) di Cesare Tacchi del 1995 dove elementi figurativi piatti sono poggiati sulla superficie pittorica che li raccoglie; e una sensazionale opera composita di Claudio Cintoli: Nodo, 1969, in corda e base in legno, e un quadro, altrettanto magnifico, che, quasi concettualisticamente, funge da autentica (in tecnica mista: giornale e corda su legno), A parete, anche un collage e acquarello di Giuseppe Uncini del 1994, una testa disegnata a matita su carta di Oliviero Rainaldi, del 1992, e un carboncino su carta di Costas Tsoclis, quel pesce arpionato progetto per la Biennale di Venezia del 1986.

collez. Renzogallo – op. di C. Cintoli – dett – ph. B. Martusciello

Francesco Impellizzeri evidenzia il suo bell’acrilico su plexiglass e proiezione luminosa Datti una regolata, 2020, che riassume molto del suo procedere, volto a una giocosa critica alla società degli stereotipi, delle convenzioni, degli stigmi, dell’immaginario mediatico contemporaneo; affianca Ragazza con occhiali, uno smalto su carta del 1970 di Giosetta Fioroni, Volume a moduli sfasati, una plastica fustellata a mano del 1960 di Dadamaino, e Biancoargento, 1966 (vernice su sicofoil, tela bianca) di Carla Accardi di cui è stato amico e per tantissimi anni assistente e del cui lavoro è esperto.

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collez. F. Impellizzeri – la sua opera Datti una regolata, 2020 acrilico s. plexiglass e proiezione luminosa

Matteo Montani è un rinnovatore del monocromo a cui impone manipolazioni con abrasione dei materiali e una scelta cromatica dominante delicata e dilatata che, tutto insieme, concorre a dare ai quadri carattere evocativo ed effetto di sospese, in quel territorio in between fra realtà e immaginazione. Si è affiancato a Sabrina Casadei, Floien #5, 2016, tecnica mista su tela; Paolo Bini, Paesaggio deframmentato, 2016, nastrocarta, smalto e acrilico su tela, Andreas Huyskens, Genio, 2017, olio su tela, Alberto Di Fabio, Esagramma, 2008 acrilico su carta, Matteo Piacenti, stampa fotografica ediz. 1di 3. Molto belli, essenziali e, l’acrilico e piega su carta di Alfredo Pirri, Piega, 2017 e di Marco Tirelli, un carboncino su carta cm 30×27, 2017.

Giancarlo Limoni, mette a muro il suo coloratissimo, materico, gestuale, a campi larghi, Paesaggio della Sicilia, 2018, olio su tela, e Melograno (1989, tecnica mista su tavola) di Claudio Palmieri; inoltre, una serie di opere raramente esposte di Marisa Busanel, artista originale e finissima, ancora non giustamente valorizzata e collocata nella storia dell’arte e in quella a Roma della sperimentazione e della scena anni ’60, che era, nonostante la nuova avanguardia ribelle, ancora maschilista e forse non abbastanza attento per riconoscere la novità pittorica e l’esplorazione tematica dell’artista veneta di base nella Capitale.

Gian Maria Mazzei, noto per la sua ricerca fotografica, avvicina alla sua istantanea Tokyo (2018), giocata su tagli di luce straordinari, a un grande quadro figurativo di richiamo espressionista di Amina Rezki

Giuseppe Pietroniro operando sulla percezione dello spazio e dell’immagine, che rivela la sua indeterminatezza per la differenza profonda che permane tra realtà e rappresentazione, realizza opere caratterizzate dalla decontestualizzazione spiazzante perché portano i segni di quella illusione e difformità, ma anche aperte a questioni come l’incommensurabile. Quindi porta un suo lavoro a collage afferente a tale ricerca, e un disegno sgarbato (senza titolo, 2011) di Lorenzo Scotto di Luzio, un colorato collage di  Luca Vitone (senza titolo, 2013), e un disegno (senza titolo, 2007) di Simone Berti, e un’opera di Alessandro Sarra.

collez. G. Pietroniro – op. di Simone Berti, senza titolo, 2007

Fiorella Rizzo ha creato una parete rigorosa, minimale, molto bella, che ci costringe a un ruolo ancor più voyeuristico perché molte opere sono a lei dedicate in modo visibile: Luigi Ontani, vivArte, 2018, vede il suo nome Fiorella vergato e decorato con l’oro su foto di Ontani con cornice pure d’oro; Ben Vautier paragonarla a un fiore, con i suoi giochi di parole e scrittura bianca su fondo nero (Ben reedition, disegno su tela, plexiglas su piedistallo di plexiglas). La sua opera Carte d’Artista, 2017 (acrilico su foto, plexiglas) chiude la parete,

Luca Padroni con la sua Camera dei ricordi (2014, olio su tela), sembra ricordarci il tema della mostra e ci apre la sua stanza per mostrare la sua collezione fatta di volti: di Bruno Ceccobelli, In Quadro, 2018; John Davies, Untitled, 1999, Gianfranco Toso, Ritratto di un cercatore di perle, 2019, e di Mauro Di Silvestre, Like Father Like Son, olio su tela. In quadreria anche  Piotr Hanzelewicz, con un bellissimo senza titolo, 2015, tecnica mista su carta che ricorda un alveare, o muffe, ossidazioni…; e poi una seri di disegni di architetture e Land Scape di Timothy Hyman, 2018, matita su carta; e una penna su carta di Tim Nathan (Untitled, 2000)  un inchiostro su carta di Leonella Masella, 2007, un acrilico su tela di Anna Paparatti, Loto d’Oro, un acrilico su stampa fotografica di Stan Taft, Risorgimento Roselli, 2015, e una figurazione olio su tela, cerulea, di Alessandra Giovannoni.

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collez. L. Padroni -ph B. Martusciello

Pietro Ruffo, accanto a uno dei suoi lavori di stratificazione meticolosa e colta sia nei lemmi che nel linguaggio, nelle materie e nei riferimenti, che tratta di temi della storia e dell’umanità sia nel tempo che nell’attualità, con attenzione alla rischio dell’iperconsumismo e della massificazione, porta con sé opere di Davide Bramante, Donato Piccolo, con un disegno di cui possiamo  immaginare la traduzione tridimensionale, in opera semovente; e Seboo Migone con un quadro dai colori ad alto tasso retinici e una figurazione surreale.

Marina Paris, attenta indagatrice per immagini della nozione dello spazio, con attenzione alle strutture e architetture, porta tale analisi all’accoglimento della relazione uomo-ambiente e ci restituisce questa sua visione molto bella, oltre che evocativa. Con lei, Maurizio Mochetti vola: con un Camouflage Pinguino, 1987, ovvero un aereo in resina che ricorda i giocattoli di latta dei bambini di lustri fa.

collez. M. Paris – opera di Maurizio Mochetti, Camouflage Pinguino, 1987, aereo in resina

Natura, vita, trasformazione, luce e interazioni con i materiali sono il nucleo centrale della ricerca di Daniela Perego che lo riassume tutto nella sua opera qui allestita e sembra riverberarsi, in qualche misura, nella modalità di accoglimento e relazione con l’altro da sé e i linguaggi dell’arte dei suoi sodali portati al museo; Buongiorno è un rosso campo di fiori bianchi realizzati ad uncinetto e acrilico su tavola che diventano una trappola per la luce.

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collez. D. Perego – la sua opera, Buongiorno, 2019 uncinetto e acrilico su tavola

Proprio la luce sembra vibrare in Monosema (2015, acrilico e medium su tela) di Ak2 deru, ed è portante nella Fotografia, che Germano Serafini con camere oscure (serie 4 look, 2017, cm 23,5×15) considera nella sua analisi linguistica e Bruno Locci come fermo immagine di movimento (Freeze frame, 2000 ca. olio su tela) di Paesaggio naturale.

La Natura torna nell’uccellino giallo, azzerato nei dettagli per restituirne la forma iconica subito riconoscibile di Elvio Chiricozzi olio su carta; nelle ironiche messe in scena en travesti e fotografate di Francesco Impellizzeri, mucca pezzata fantasmagorica; di Lucilla Catania con la sua Vite / avvitamento totemico come un amuleto originario dedicao alla Grande madre Terra; di Livia Signorini con Garden, di un povero cervo già bersaglio perfetto…; di Massimo Catalani con il suo peperone coloratissimo, quasi una caduta di un bianco e nero di Edward Weston in una pozione lisergica; di Maurizio Pettini e la sua forma d’uovo in  piombo, cosmico, alchemico elemento o pura forma geometrica perfetta; di Oreste Casalini Filtro animale, 2001; e persino il fumettoso, graficamente cinematorgafico Mu sõber di Alen Hadì (2019, stampa su carta fotografica).

La Perego raduna infine opere di Luca Coser (matita su carta), di Luca Grechi (Incipit, 2017, tecnica mista), di Mariano Rossano con una sua luminosa astrazione lirica sui toni solari (1995), di Massimo Saverio Ruiu, Derive (1997 stampa fotografica), Paolo Assenza che del tondo Doni del titolo è andato ad evidenziare luce, colore, essenza di paesaggio (anche interiore); Roberto Pietrosanti (senza titolo, 1999), Roberta Maola (Sogni – Oggetto smarrito, 2016, una prodigiosa matita su carta); di  K.M. con il misterioso senza titolo, tempera su tela; un altro rosso di Renzogallo, un raso e acquerello su cartoncino, 2020. E un monumentale ritratto fotografico in bianco e nero che Paola Mattioli ha fatto a Franz Paludetto nel 1985

Massimo Ruiu è tra gli artisti che ha coinvolto più colleghi in un vasto allestimento pienissimo di opere tra le quali la sua: un grande taglio su fotografia, come un passaggio nero da cui entrare o da cui fare uscire, del 1998, che conteneva già allora osservazioni sui bisogni più privati e profondi dell’uomo. Gli fanno cmpagnia, come nel salotto di casa, o nel suo studio, opere, tra le tante, di Angelo Bellobono, Fausto Delle Chiaie.

Salendo al piano superiore incontriamo Alfredo Pirri che ha scelto di mostrare “artisti italiani, amici… anche se alcuni mai conosciuti ma sentiti come tali” con opere di formato piccolo e intimo, riflessivi nel senso che guardano prima dentro di sé e poi fuori”.

Così, accanto ad un suo colorato, vibrante astratto, ci sono lavori di Carlo Guaita, con un dipinto piccolissimo, Alessandro Sarra con Mono, 2008-2009, e un sensazionale – non me ne vogliano gli altri, che sono certa concorderanno – Francesco Lo Savio con Progetto per metallo parasferico introverso, che mostra le articolazioni di superficie ben note dell’artista scomparso tragicamente e volontariamente a soli ventotto anni.

E poi c’è un primo Primo Conti d’antan con una serie di bellissimi disegni meticolosamente realizzati su cartoncini staccati con cura dai suoi pacchetti di sigarette, dal 1914 al 1945, ventidue opere non a caso titolate Fumo.

collez. A. Pirri – la sua opera, s.t.

Serafino Maiorano ha preso dal suo studio e da casa opere di Bruno Ceccobelli e Vettor Pisani che si accostano alla sua.

Claudia Quintieri ha esposto la coloratissima, eloquente fotografia sul punto G di Claudio Abate a fianco del suo light box Marikana, 2018, molto meno eloquente e più poetico, quasi… danzante.

Donatella Landi, accanto al suo Dialogo numero 3 del 2019 (una stampa digitale su carta cotone), ha portato Voi, un piccolo disegno su carta (40×30 cm) del 2005 di Liliana Moro; Tahtì, disegno su legno preparato con gesso, 1992, di Beate Terfloth; Abwesenheit, 2016, ricamo su tela di Adelaide Cioni che ha evocato e scritto dell’assenza (significato in lingua tedesca di Abwesenheit); un altro piccolo ricamo è quello maschile di Paolo Ristonchi, Ricamo n°1, 2017; e poi c’è Jan Svenungsson con Hebdomeros, Seite 22, 1999, foto e tecnica mista su carta.

collez. D. Landi – op. di A. Cioni, Abwesenheit, 2016, ricamo su tela

 Myriam Laplante ha fatto una scelta raffinatissima basata sulla “malinconia dell’assenza”, come lei stessa ha notato, portando opere di Zoe Leonard, Ansel Krut, Frédéric Bruly Bouabré, e le sculture povere e fantasticanti di Roberto De Simone.

collez. M. Laplante – Laplante, Z. Leonard, A. Krut, F. Bruly Bouabré, de Simone -ph. B. Martusciello

Vittorio Messina, che apprezza il progetto per l’occasione, che ha dato e dà la possibilità di “confermare certe amicizia, modi di fare e di pensare”, lo fa con la sua Rovina, molto bella, dal rarefatto linguaggio dalle radici fotografiche, e con lavori di Helmut Schweizer e Michel Sauer.

collez. V. Messina – opera Micher Sauer, Un petit mot, 1986

Veronica Montanino cerca l’esplosione cromatica, il polimaterismo, la varietà linguistica e pop e Street con opere di Omino 71, Francesco Bancheri, Santino Drago, Florencia Martinez e di Pablo Echaurren con un collage su carta dall’indole off-futurista, che cita Marinetti.

Alessandro Piangiamore ha montato una struttura che contiene un leggero strato di polvere di madreperla su vetro, composto in modo che un minimo sussurro del pubblico, una folata di vento, una vibrazione, può modificarne la disposizione (Attorno ad una conchiglia vuota, 2020).

Questo è connesso al suo modo di palesare materie, forme e concetti inesprimibili e transitori, in continua trasformazione, primi tra tutti i sentimenti umani, che attraverso l’arte possono essere svelati ed eternati.

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Alessandro Piangiamore, Attorno ad una conchiglia vuota, 2020 – dett.

Gianfranco Notargiacomo si è esposto coraggiosamente in una sorta di miniatura (cm10x13), perfetta, portandoci nelle infinite possibilità di un linguaggio aniconico e segnico che evoca, come indica il titolo della piccola tavoletta, Il Caos e i Giganti (1996): con una grande pittura di Gianni Asdrubali accanto e, a seguire, un Argento (#1) di Michele Welke, e un pastello su carta di Sadun del 1972.

Silvia Giambrone, fedele alla sua ricerca di genere sulle fragilità, i pericoli, gli stereotipi,  intorno e dentro alla vita delle donne e alla struttura sociale, con una esplorazione centrata sulle articolazioni del corpo interiore e relativo alle relazioni e alle dipendenze, autoindotte per assoggettamento o indotte dalla società patriarcale, in questo caso ha portato opere che indagano la subordinazione amorosa.

Accanto al suo grande nodo L’appuntamento, 2011, in corda di canapa dimensioni reali, ha proposto una scultura di Davide Dormino, tra le sue più minimali ma allo stesso tempo iconiche, e un bellissimo, struggente video, di Tom Dale, Words you’ll never hear, 2019, con voce narrante di Emma Thompson, che dice le parole che non sentirai mai, ovvero quelle mai dette a chi sarebbero destinate, sono interfacciate alla lenta e inesorabile modificazione della Dune du Pilat (in Francia) e dell’ecosistema: tutto saldamente legato alla sua analisi delle contraddizioni proprie dei grandi gesti della cultura e della società.

Laura Palmieri da anni propone un’estetica essenziale, quasi anacoretica della sottrazione e dell’assenza, del vuoto che resta tale ma pare permeare di sé tutti gli spazi, riempiendoli all’inverso: come nella china che ha tratteggiato compiutamente un abito ritto come fosse indossato, senza però la donna che lo porta, assente, al cui posto c’è il vuoto (che non è il nulla!); accanto: l’intenso ricamo e tecnica mista di Alice Schivardi, il bonfa, 2017; Elly Nagaoka, 2014; la bellissima, simbolica I graffi della mente (2015, olio carta intelata) di Paola Gandolfi.

Gioacchino Pontrelli, si mostra in uno dei suoi esami e manipolazioni della realtà e degli oggetti quotidiani, di interni domestici da copertina, qui stavolta con una composizione floreale, molto gestuale, veemente; si fa fare compagnia da Alessandro Piangiamore de Se la terra è pesante, un collage e ottone del 2010, da Francesca De Rubeis (Senza titolo, 2015), da Graziano Paiella con una polaroid che richiama la Fotografia Storica, anche nei soggetti (qui: Acquedotto romano, 2016); e da Marta Mancini (Senza titolo, 2017, acrilico su carta) e Alessandra Di Francesco.

collez. G. Pontrelli – op. di Marta Mancini, Senza titolo, 2017, acrilico su carta

 

Ogni parete allestita dagli artisti pare davvero come una piccola mostra nella mostra: tutte di seguito ci permettono una ricostruzione approssimativa ma verosimile di una situazione e temperatura artistica e culturale a Roma.

Al di là di una parzialità fatale – perché Roma è incredibilmente fertile di artisti, non tutti rappresentati in mostra –, e, abbiamo detto, di una eterogeneità che però è importante da apprezzare perché poco o nulla mainstream, questa iniziativa va letta come una sorta di archivio delle scelte e delle amicizie tra generazioni di un buon numero di artisti e come indicatore di una situazione a Roma che, pure articolata, si può rivelare, come di fatto è avvenuto, un termometro per misurare un lato del mondo dell’arte e una storia altra fatta dai più diretti creatori.

Le photogallery:

Info generale

  • Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con Hidalgo, Associazione Culturale per la promozione delle Arti Visive e Dreamingvideo
  • La mostra/ progetto “Le altre opere. Artisti che collezionano artisti” si avvale della cura scientifica di Lucilla Catania, Claudio Crescentini, Daniela Perego e Federica Pirani del coordinamento tecnico-scientifico di Arianna Angelelli, Laura Panarese, Ileana Pansino, Roberta Perfetti e Carla Scicchitano.
  • Il supporto tecnico e organizzativo è curato da: Associazione Culturale TRAleVOLTE, Artiamo group, Zètema Progetto Cultura
  • Contatti 060608 (tutti i giorni ore 9.00-19.00) – www.museiincomuneroma.it – p.morici@zetema.it, g.gnetti@zetema.it, c.sanginiti@zetema.it

Info galleria Comunale Roma

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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