La Madonna della gatta del Barocci torna visibile ma mantiene il suo segreto. Palazzo Pitti la espone

immagine per federico barocci

Federigo – Federico – Barocci o Baroccio – detto anche il Fiori, [Urbino, 1535 (o 1528) – 1612], è stato e resta un artista straordinario; forse non abbastanza noto al grande pubblico, ora lo sarà poichè la sua bellissima, originale tela Madonna della gatta (circa 1598) lo consacrerà agli onori anche popolari.

Tirata fuori dai depositi della Galleria degli Uffizi, dopo ben dieci anni di invisibilità e un restauro necessario, terminato nel 2003, va a Palazzo Pitti, nella nuova collocazione nella Sala di Berenice, accanto ad altre opere dello stesso autore.

Il nostro fu estimatore di Raffaello, alla cui figurazione si approcciò a Roma, dove Barocci iniziò la sua carriera, spronato da Taddeo Zuccari e – ci dicono alcune fonti dell’epoca – ammirato persino da Michelangelo. Da Roma scappò per strane ragioni, con il sospetto (fondato?) di un avvelenamento per invidia e gelosia, che lo rese effettivamente con una salute che rimase per sempre  cagionevole; tornò quindi alla sua Urbino – siamo nel 1565 – e, pur onorando contratti per tutt’Italia, restò nella sua città natale, protetto dal Duca d’Urbino Francesco Maria II della Rovere.

Barocci, che è stato anche valente ritrattista,  è un Manierista elegante, raffinato e incarna la cultura e l’arte della Controriforma, con una certa sorta di purificazione del messaggio religioso che egli portò nelle sue opere: tanto a fondo da seguire gli insegnamenti di Filippo Neri – poi Santo – per una unione possibile, da praticare, tra Spirito e vita quotidiana.

Filippo Neri arrivò a commissionare all’artista la pala d’altare della Visitazione per la sua Chiesa Nuova (Santa Maria in Vallicella) dove Elisabetta e la Vergine sono raffigurate come due pie donne, ma comuni, quasi effigiate durante un incontro nella normalità di tutti i giorni. La sua importanza fu però rilevante perché ha “aperto la strada a Caravaggio e alla Modernità”, secondo quanto attesta lo storico dell’arte Antonio Paolucci.

Normalità, dicevamo: che però nella Madonna della gatta si alza a canto teatrale – già verso il Barocco, quindi -, con veemenza cromatico-luminosa e strutturato in maniera moderna per via dei panneggi quasi scolpiti e astratti.

Anche il tema appare inizialmente domestico, ma è singolare: un animale di casa – che, va detto, non è presenza rara nellle opere di Barocci – è sì segno di vita quotidiana, ma ha qui caratteristiche anche simboliche: dell’amore, della cura, della sicurezza della protezione.

La micia allatta i suoi cuccioli al centro della scena, accoccolata tranquilla tra le vesti di Maria che culla il suo bambino. E’ questa, una storia di maternità familiare naturale, sia umana che animale, quasi casalinga, che se è allo stesso tempo religiosa non fa dominare questa lettura ma rende tutto semplice, dolce: una narrazione in cui chiunque può immedesimarsi, “parte di quel dialogo” e spettatore molto, molto più vicino a quella rappresentazione immediata.

Capolavoro assoluto. Che forse nasconde il mistero di una ulteriore lettura. Ciò, stando all’avvincente libro di Antonio Natali (a cura di), in un saggio per la monografia Federico Barocci 1535-1612, pubblicata da Silvana Editoriale. 

“Il duca d’Urbino è in età avanzata quando, come Giuseppe (definito anziano nel Libro sulla natività di Maria, apocrifo, dalla Chiesa reputato affidabile), si sposa. E, al pari di Giuseppe, lo fa con una donna che, secondo la medesima tradizione antica, è poco più di una fanciulla: quattordici, come quelli di Livia, sono gli anni che il Libro le attribuisce all’atto del concepimento del figlio”.

Ebbene: Livia era la giovanissima cugina del più adulto duca il quale, rimasto vedovo e senza eredi, per evitare che le sue terre finissero in mano allo Stato Piontificio per onorare un patto precedentemente stipulato, decise di sposarla.

Così, Barocci ritrae un uomo maturo che invita entusiasta i suoi ospiti ad ammirare la moglie giovanissima e molto bella che è intenta a dondolare nella culla il suo piccolo appena partorito: Giuseppe e Maria come Francesco Maria e Livia….

Dunque Famiglia, Politica e Religione si sorappongono in questo racconto ove sempre e comunque trabocca la tenerezza, anzi l’amore puro di un uomo per una donna, di genitori per il proprio bimbo; e di una micetta per i suoi cuccioli e per le persone che li ha accolti nella propria dimora.

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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