Il Padiglione Vaticano alla Biennale di Venezia 2013 Tra vecchi scandali e nuove certezze

Monsignor Ravasi disse in Conferenza stampa, quando si è palesata la prima volta del Vaticano alla kermesse internazionale veneziana:

“Dobbiamo ricostruire il dialogo interrotto tra arte e fede”.

A ciò aggiungerei un personale auspicio: che si “ricostruisca” anche “il dialogo interrotto” tra Chiesa e tanta parte della Collettività… Ebbene: con l’Arte si può? Può un contesto a cui un noto Ministro del passato tagliò indiscriminatamente i finanziamenti, convinto che “Con la cultura non si mangia!”, permettere questo piccolo miracolo? Forse, con un rapporto con l’Arte ma senza pregiudizi si può: intendendo ciò come un primo passo che affronta, in questa specifica, grandissima occasione, la Genesi come tema centrale nel lavoro chiesto agli artisti chiamati al Padiglione di questo Stato Estero molto particolare…

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Ovviamente, la posizione della Chiesa sull’argomento è consolidata: è frutto, appunto, di dottrina e fede. Sarà invece interessante scoprire come sosterranno questa tematica capitale gli artisti selezionati, scelti tra una rosa circoscritta di nomi di chiara fama internazionale dalla Commissione scientifica vaticana – guidata dal direttore dei musei vaticani Antonio Paolucci e di cui fanno parte anche Micol Forti, direttrice della sezione contemporanea dei Musei Vaticani, Sandro Barbagallo, Francesco Buranelli e Pasquale Iacobone.

STUDIO AZZURRO è un collettivo di arte multimediale e tecnologica fondato nel 1982 da protagonisti italiani che nasce come laboratorio di comunicazione visiva militante per volontà di Fabio Cirifino (fotografia), Paolo Rosa (arti visive e cinema) e Leonardo Sangiorgi (grafica e animazione) a cui si è aggiunto nel 1995 Stefano Roveda, esperto in sistemi interattivi e in cui collaborano tanti professionisti diversi; JOSEF KOUDELKA è un notissimo fotografo ceco (Boskovice, 10 gennaio 1938) che nel 1967 decise di rinunciare alla carriera di ingegnere per dedicarsi interamente al linguaggio fotografico e la cui poetica è riassumibile nella sua affermazione lapidaria: che la cosa più importante per un fotografo sia “Un buon paio di scarpe”. Poi c’è LAWRENCE CARROLL, artista statunitense di origine australiana che ha scelto Venezia come città d’adozione e che si definisce pittore anche se le sue opere sconfinano nella scultura e nell’installazione ma evidentemente convinto che la pittura sia tutto ciò che costruisce immagini e immaginario indipendentemente dalla tecnica e dalle modalità scelte per far ciò… Apparentemente ascrivibile a un ambito materico-pittorico, di fatto è molto di più: la scelta di usare per le sue opere materiali riciclati e poveri – legni, stoffe, tele – è da intendersi come interesse per la processualità del fare e some una pratica della verifica: della vita, della realtà, delle cose del mondo, oltre che della natura; ed è anche, parallelamente, un ravvivare il concetto del tempo, della consunzione a allo stesso tempo della trasformazione e dell’accumulazione; d’altro canto, assai diversamente eppure con qualche affinità con Gerard Richter, è convinto e ce lo dice con le sue opere, che non esiste una verità assoluta e immutata nel tempo ma una coesistenza tra realtà-reale e realtà restituita dall’Arte.

Accanto a questi magnifici tre, c’è TANO FESTA, o meglio ci sono le tre opere della lunga serie che l’artista romano – scomparso 1988 – ha dedicato alla Cappella Sistina e che il collezionista Ovidio Jacorossi ha annunciato di voler donare ai Musei Vaticani. La presenza di questo protagonista di una fervida stagione artistica di sperimentazione che ebbe Roma come centro di tale rinnovamento e Piazza del Popolo come polo di riunioni, incontri, scontri e confronti tra artisti, accoglierà i visitatori nelle sale d’Armi dell’Arsenale messe a disposizione dalla Biennale.

Tre, anzi: quattro uomini. Peccato per la mancanza, a nostro avviso grave e controproducente per questa volontà di citato intendimento vaticano – appunto: di ripristinare la comunicazione sospesa tra arte e religione – di una voce forte femminile. Ma forse questa ipotesi ha spaventato le alte sfere ecclesiastiche, chissà…

Sia come sia ci siamo, a breve si aprirà la 55ma edizione della Biennale dell’Arte a Venezia e scopriremo come sarà trattata la narrazione dei primi undici capitoli della Genesi articolata in tre nuclei: la “Creazione” affidata a una coinvolgente installazione di Studio Azzurro, intitolata In Principio (e poi), progettata ad hoc e Site-Specific per l’esposizione veneziana; la De-creazione, esplorata con potenti gigantografie – 18 –di Koudelka, e la Nuova Umanità o Ri-creazione che indagherà il plurilinguaggio e il polimaterismo di Lawrence Carroll con Another Life: quattro grandi wall paintings e due floor pieces.

Sappiamo quanto la Santa Sede abbia avuto atteggiamenti di chiusura verso l’Arte contemporanea e quanto, allo stesso tempo, gli artisti l’abbiano scandalizzata con opere equivocate come blasfeme, o provocatorie e altamente polemiche e politiche.

Il primo ricordo è quello denominato “del caso Grosso”, ovvero di Giacomo Grosso, artista celebre e professore all’Accademia Albertina di Torino che propose alla prima Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia del 1895 un grande quadro “di ardita composizione fantastica””, come scrisse il Presidente dell’accreditata Accademia, il conte di Sambuy, all’allora Sindaco di Venezia Riccardo Selvatico. Lo scandalo, puntuale, si scatenò perché, pur volendo rappresentare la morte di un Dongiovanni, in qualche misura sanzionandone la vita sregolata, di fatto sconvolse per la scelta di ambientata in una chiesa la camera ardente con il feretro e il cadavere cinti da cinque figure femminili totalmente nude e in pose lascive. Anche in questa occasione, la Chiesa si rivoltò, bollando di immoralità l’opera – tramite il Patriarca di Venezia Giuseppe Sarto, futuro Papa Pio X – chiedendo la censura ma, udite udite, la pietra dello scandalo vinse il Premio assegnato da un referendum popolare. Gli anatemi ecclesiali dovettero però funzionare, dato che, quando il quadro fu inviato negli Stati Uniti per mostrarlo al pubblico d’oltreoceano, esso fu distrutto da un incendio.

Nel 1972 la sala che provocò un grande scandalo alla Biennale fu quella di Gino De Dominicis, con la sua Seconda Soluzione d’Immortalità (l’Universo è immobile) come ricordò anche Simone Carella, a Venezia assistente dell’artista più immortale e invisibile che ci sia stato… Va precisato, a onor del vero, che a scandalizzarsi furono in tanti, conservatori, non solo la Chiesa…

La più recente memoria che abbiamo, in seno alla Biennale, in merito a scontri tra Chiesa e Arti visive riguarda La Nona Ora di Maurizio Cattelan, che all’edizione del 2001 rappresentò, in concretissima forma di scultura, papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite. Anche qui, alle proteste vaticane si affiancarono quelle di innumerevoli benpensanti, più realisti del Re.

Questi avvenimenti non ci devono far dimenticare quanto sia stato enorme, inestimabile e fondamentale il lascito della Chiesa di Roma in fatto di cultura e arti visive che giunge a noi nei secoli e che vide mecenati straordinari commissionare capolavori di cui ci fregiamo e che hanno formato intere collettività. E’ forse pleonastico rammentare che i contributi, anche più controversi di Michelangelo, Raffaello, Bellini, dei Carracci, di Caravaggio, Bernini, Borromini, solo per citarne alcuni, hanno visto la luce su input e danari vaticani e la pur invalsa mano della Chiesa più convenzionale, o la più rara sua visione evoluta ha contribuito a darci una Storia dell’Arte di cui ci fregiamo e che ci ha fatti grandi. Ciò detto, se accanto a ciò si potesse avere anche una riconsiderazione delle agevolazioni che lo Stato italiano fa a quello Vaticano – detassazioni e Imu, per esempio – e del suo peso a livello economico – IOR in testa – e politico, questo “dialogo” di cui Ravasi parla sarebbe ancor più facilitato.

In ogni caso, il Padiglione sarà un successo, puntando su nomi sicuri, dai quali ci si aspettano letture extra-ordinarie sul vero soggetto di opere e iniziativa, a detta di Ravasi stesso:

“l’umanità, la vera protagonista di questo padiglione”.

Un Padiglione di cui si parlerà, in attesa di nuove esperienze vaticane – assai probabili – all’Expo universale di Milano.

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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