Open House, un buon caso di resilienza e rigenerazione a partire dai luoghi. Con intervista a Davide Paterna

Open House 2015 - Mdaa Architetti Associati

Si deve ad un piccolo, resistente gruppo di persone, riunite in Associazione Open City Roma l’iniziativa italiana, nella versione romana, di Open House alla sua quarta edizione. Ne abbiamo già dato conto in un precedente articolo, “a caldo”: http://www.artapartofculture.net/2015/05/11/open-house-prime-impressioni-a-caldo/

La manifestazione nasce all’estero ma è stata portata nel nostro Paese: fa parte di un circuito di 28 città nel mondo, da New York a Londra, da Barcellona a Chicago; nella Capitale dal 2012, il team che lo ha voluto, capitanato dal Direttore Davide Paterna (con Direttore esecutivo Alessia Vitali; Coordinatore del programma Laura Calderoni; Coordinatore dei volontari Elisa Janani; Relazioni istituzionali e responsabile comunicazione Giovanna Mirabella; Ufficio stampa e social Laura Vecchio; Progetti speciali Paola Frontoni; Strategie media Raffaele Boiano, Diego Pierini; Team Gaia Lombardo, Lucia Orecchini Giorgio Pasqualini), fa un lavoro enorme, reso ancora più complicato dalla caratteristica reticolare della città, spesso disorganizzata, e tanto piena di studi di architettura e design, case private, gallerie, palazzi, musei, edifici di rilevanza estetica e costruttiva, moderni e contemporanei, e persino cantieri di importanza architettonico e storico-artistico, alcuni dei quali solitamente inaccessibili. O accessibili a singhiozzo. Ad ogni nuova edizione, Open House li apre alla collettività, ad orari prestabiliti, senza brutte sorprese; li anima o rianima, organizza visite guidate, appuntamenti speciali in quella che può essere considerata una grande festa della cultura visiva e del progetto impostata come una Rete. Efficiente, vivace, funzionale. Qualcosa che dovrebbe forse essere la normalità se si vuole fronteggiare una crisi economica e delle opportunità ma non delle idee. Proprio queste, le idee, e i luoghi in cui si esprimono e prendono corpo, avrebbero bisogno di tanti palcoscenici del genere, di collaborazioni e interazioni; e di visibilità. Se tali realtà riuscissero ad essere e fare davvero Rete, appunto, avrebbero una forza maggiore anche per imporsi come presenza credibile e autorevole sul piano della presenza e produzione industriale, creative, culturale.

Facciamo un esempio: Palazzo Barberini è un Museo di una magnificenza italiana tale da essere studiata e amata in tutto il mondo, che lo va a visitare trovando, il più delle volte, sale chiuse per mancanza di personale, e luci – studiate e pagate ad hoc qualche anno fa, con grande successo di pubblico e addetti ai lavori – arbitrariamente, rozzamente manomesse (puntate a vanvera dopo spostamenti imposti da esigenze che nulla hanno a che fare con le opere da illuminare: per feste? Party cinesi??), per tacer del giardino, tristemente dimenticato… preda d’incuria. O indichiamo il caso di tanti giovani designer misconosciuti in patria solo perché è difficile che il grande pubblico riesca a fruire dei loro lavori, mai prodotti, che, se invece palesati al meglio, potrebbero interessare qualche azienda nostrana o internazionale. Oppure diciamo di siti fondamentali per la comprensione della Storia dell’Architettura e, quindi, per la cultura, di cui pochi conoscono l’esistenza e meno ancora hanno mai visitato perché sempre serrati, mai promossi o adeguatamente valorizzati (e Roma ne è piena: dal Palazzo della Marina a quello dell’Aeronautica, passando per Palazzina Girasole  e giungendo, per ipotesi, all’edificio dell’Istituto di Cultura giapponese o dell’Accademia di Spagna).

Quest’anno Open House (http://www.openhouseroma.org/2015/) ha proposto un nuovo ricchissimo programma compreso di tantissimi eventi collaterali all’insegna dell’open-free. Anche ciò è grandioso, perché la cultura dovrebbe essere alla portata di tutti, sempre – non solo la prima o l’ultima domenica del mese, o in un fine settimana – e diventare parte degli obblighi istituzionali che se ne dovrebbero fare carico assumendone i costi, come per la Scuola dell’obbligo e la Sanità; infatti, la cura, la rigenerazione passano anche per la cultura, in paesi evoluti! Parere personale, naturalmente, ma condiviso da una stragrande parte delle persone evolute, stufe di essere considerate numeri e consumatori… (si rimanda qui a: Roberto Gramiccia, Arte e Potere. Il mondo salverà la bellezza?, Ediesse edit., novembre 2014 – http://www.ediesseonline.it/catalogo/saggi/arte-e-potere).

Dell’iniziativa, che quest’anno ha visto “art a part of cult(ure)” tra i MediaPartner, e di Roma, dell’Architettura, del difficle rapporto tra Antico e Contemporaneo e di tanto altro abbiamo conversato con Davide Paterna.

Ormai già testata positivamente, l’iniziativa romana Open House è un’immane fatica per voi ideatori e propulsori ma premiata dalla risposta del pubblico e degli addetti ai lavori. Pensate di poter migliorare qualcosa della vostra proposta?

Ogni anno l’obiettivo è di migliorare l’offerta, sia sul programma in termini quantitativi e qualitativi, sia nella comunicazione e nei servizi che accompagnano il visitatore alla scoperta dei siti. Dobbiamo ovviamente fare i conti con le risorse a disposizione che sono quelle di una piccola associazione che lavora quasi a titolo volontaristico, ma questo non costituisce un limite invalicabile per un gruppo che partendo a zero si è imbarcato in un simile progetto!

Siete uno straordinario esempio culturale connesso all’architettura, al design e alla messa in Rete di attività e realtà che la crisi ha fortemente penalizzato. Credete che eventi come questo possano in qualche misura dare spinte positive per una rigenerazione del settore?

In maniera assoluta e lo possono confermare i tanti architetti che tramite questa occasione conoscono possibili nuovi committenti o partner professionali. Ma al di là dell’aspetto economico, pur molto importante, sono i nessi e le ibridazioni che Open House stimola a generare un processo virtuoso di ricerca e produzione innovativa. E’ su questo terreno infatti che gli architetti e i designer romani possono compiere un passo in avanti, decisivo per ampliare gli orizzonti professionali verso un quadro più nord-europeo.

Quest’anno avete aperto alle periferie con San Basilio. E’ una nuova offerta a cui molti romani hanno risposto partecipando numerosi. Molti i giovani, tra l’altro… Ma aldilà della novità, quanto pensate che operazioni come queste, anche di Arte pubblica, o Street, o di strada che dir si voglia, possano davvero riqualificare territori più svantaggiati?

In generale ritengo improponibile mettere sullo stesso piano processi di riqualificazione urbana ed edilizia con interventi in ambito artistico o più in generale culturale, i quali, certamente sono importanti per incoraggiare le comunità a far emergere un’identità positiva e propositiva, ma incidono ben poco sulla scarsa qualità ambientale diffusa nelle periferie. Non è tanto l’assenza di servizi che dequalifica questi territori, quanto l’obsolescenza e la mancanza di decoro di quelli che dovrebbero essere gli avamposti della qualità urbana: scuole, mercati, piazze e parchi. Da qui, puntando sulla qualità dei progetti, dovrebbe partire la rigenerazione delle periferie.

Ogni anno i siti da visitare sono in aumento ma le giornate sono sempre di 24h e gli spostamenti all’interno della città richiedono tempo. Ci sarà in un futuro una edizione in cui si estenderà Open House in 2 week end?

In molti ci fanno la stessa domanda. Chiedere agli stessi siti di tenere aperto e gratuitamente un altro week end non è pensabile mentre distribuire il programma su più giorni significherebbe diluire quella densità di eventi, luoghi, situazioni che rende Open House un detonatore di energie. L’architetto Rem Koolhaas, ragionando sul successo di New York come città moderna, individua nella “congestione” uno dei suoi fondamenti. L’effetto che mi aspetto da Open House è quello di uno shock positivo, causato dall’insieme di stimoli che solo un programma così ricco e concentrato può dare.

Avete la percezione che la città cambi o possa cambiare in maniera virtuosa grazie a Open House?

Sarebbe meraviglioso se dopo aver visitato la Bibliotheca Hertziana dell’Istituto Max Plank, quindi di proprietà del governo tedesco, uno, dieci, mille cittadini cominciassero a sentire il bisogno della stessa qualità architettonica per una biblioteca italiana, o se dopo avere ascoltato il racconto del cantiere della “nuvola” all’EUR gli abitanti del quartiere potessero meglio distinguere le intenzioni progettuali dalle capacità gestionali. La consapevolezza è la prima leva verso il cambiamento.

Come è finanziato Open House?

Quest’anno Open House Roma ha raccolto la metà del budget necessario. Di questo il 52% con sponsorizzazioni private, l’8% dalla campagna di donazioni e il 40% con partnership tecniche tra cui la più importante con il Comune di Roma. Open House è un evento sotto finanziato che si tiene in piedi grazie alla passione di un gruppo che vuole legare il proprio futuro a quello di questa città: più riusciremo ad incidere positivamente sulla sensibilità dei cittadini, delle istituzioni, delle imprese romane, più potremo lavorare contando su un maggiore supporto che, a sua volta, ci aiuterebbe a migliorare la qualità del servizio. In questo senso intendiamo il lavoro nella cultura come l’attivazione di un circolo virtuoso, per noi e per tutta la comunità.

Come rispondono le istituzioni?

Ogni Istituzione da noi contattata, dal Senato delle Repubblica, al Mibact, alla Regione Lazio al Comune di Roma risente delle criticità del momento storico. Rispetto a un quadro di partenza difficile ci sono comunque delle collaborazioni più virtuose di altre come quella con il Senato della Repubblica che ogni anno risponde con grande professionalità e capacità organizzativa alle nostre richieste di apertura di Palazzo Madama e Palazzo Giustiniani. Con il Comune di Roma, con l’Assessorato alla Cultura e Turismo in particolare, condividiamo pienamente le finalità del progetto. La nostra aspettativa, dopo la positiva collaborazione di quest’anno, è di migliorare sinergie e di rendere più solido l’evento, ormai di fatto strutturale nella programmazione culturale della città.

Valutazione su come è andata, sul numero di partecipanti, su differenze con gli anni precedenti?

Per un evento così ramificato e diffuso, e senza biglietto d’ingresso, non è immediato fare bilanci. Stiamo raccogliendo i dati da tutti i circa 200 siti coinvolti, ma ad un primo sguardomi sentirei di confermare il numero di presenze dello scorso anno (50.000)…

Abbiamo notato anche noi una presenza massiva ed entusiasta. Considerando che eravate quasi in concorrenza con la Biennale d’Arte di Venezia, la risposta della collettività è stata doppiamente importante… anche considerando qualche novità funzionale…

…un miglioramento sostanziale è stato nella gestione delle visite guidate; una risposta molto positiva è stata anche quella in termini sia di offerta che di pubblico, nelle periferie coinvolte.

Progetti in divenire?

La realizzazione di un’applicazione per il miglioramento della fruizione nei siti culturali, come esito del Bando Cultura Futura della Regione Lazio. E poi un progetto su nessi immaginari tra cibo e architettura, che verrà presentato il 16 luglio alla Cascina Triulza in EXPO. Infine, stiamo sostenendo la nascita di altri Open House, di cui il prossimo a Milano, i prossimi 3 e 4 ottobre!

Sul Futuro dell’Italia?

Il nostro Paese attraversa una delicata fase di cambiamento, in bilico tra una crisi stagnante e il desiderio di voltare pagina. Sta a noi interpretarla correttamente facendola diventare un’opportunità. Da quanto una nuova fase culturale diventi strutturale a questo cambiamento dipende la profondità della prospettiva che ci aspetta.

Ci indicate una citazione che più di tutte sentite vi corrisponda e vi rappresenti?

“Se di tanto in tanto non hai degli insuccessi, è segno che non stai facendo nulla di davvero innovativo”
Woody Allen

 

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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