Yerebatan Sarnıcı, di Istanbul. Riapre l’antica cisterna sotterranea con nuovo restyling e lighting design

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Cisterna Yerebatan ISTANBUL

Molti l’hanno potuta vedere in alcune scene di Inferno, il film diretto da Ron Howard tratto dalla saga narrata da Dan Brown; si poteva pensare a una ricostruzione digitale, fantastica, tanta era la sua incredibile vastità e bellezza. Adesso la bellezza è aumentata grazie a un interessante restyling e a un progetto della luce studiato ad hoc, che la mostra in tutto il suo splendore. Stiamo parlando dell’antichissima Cisterna Basilica di Istanbul, riaperta al pubblico con imminenti celebrazioni ufficiali (previste per questo 22 luglio), di grande importanza anche politica per il sindaco Popolare Repubbicano Ekrem İmamoğlu.

Yerebatan Sarnıcı, questo il nome in lingua turca, significa cisterna sommersa, o Saray, palazzo, il cui ingresso si affaccia sulla piazza di Santa Sofia ed oggi è bene in vista.

La struttura originale risale all’epoca dell’Imperatore Costantino e venne poi ampliata nel 532 dall’Imperatore Giustiniano I (527-566), durante il periodo d’oro dell’Impero Romano d’Oriente. Si tratta di una straordinaria costruzione sotterranea di circa 140 metri per 70, per una superficie di quasi 10.000 mq, scandita da 336 colonne alte 9 metri disposte su dodici file e distanziate 4,80 metri l’una dall’altra.

Molte sono diverse tra loro, di spoglio (recuperate da altri luoghi e monumenti e riusate, com’era d’uopo a quei tempi), come lo sono anche parecchi capitelli: una varietà che regala alla costruzione un fascino tutto particolare. Tra questi riusi virtuosi, anche quelli di due grandi teste di Medusa, messe capovolte a guisa di basamenti; spicca una particolare colonna – forse proveniente dall’arco trionfale di Teodosio a Beyazit – che, per i suoi motivi scolpiti a forma di gocce, è detta “con gli occhi”.

I muri perimetrali, spessi più di 4 metri, sono di mattoni con una malta impermeabile.

La poderosa opera idraulica, che può contenere più di 80.000 m³ d’acqua limpida, era alimentata dal Bozdoğan Kemeri, completato durante il regno dell’imperatore Augusto Valente e tra gli acquedotti più lunghi della romanità, che portava acqua dalla foresta di Belgrado a circa 21 km da Istanbul.

La cisterna riforniva il palazzo imperiale e i luoghi limitrofi, e gli abitanti delle case costruite sopra questo imponente serbatoio lo usavano come riserva idrica personale, avendo scavato direttamente nelle loro abitazioni dei pozzi e passaggi che usavano per entrare a pescarci e persino calandoci delle piccole barche.

Dimenticata per tutto il Medioevo, è stata poi riscoperta per caso nel XVI secolo.

Ripulita, consolidata e aperta al pubblico nel 1987, ha raggiunto nel corso degli anni numeri di visitatori paragonabili a quelli del Louvre e del Colosseo, diventando uno dei monumenti più iconici da vedere anche durante una breve permanenza nella capitale culturale della Turchia; è stata poi chiusa recentemente per permettere i necessari lavori di restauro e manutenzione. Che parlano anche italiano.

Il Dipartimento dei Beni Culturali della Grande Municipalità di Istanbul (IBB) ha intrapreso nel 2018 un’opera di ripristino e irrobustimento della cisterna. Per l’occasione, lo studio Atelye 70 di Istanbul, e i due studi Insula architettura e ingegneria e Studioillumina di Roma sono intervenuti con un disegno minimale e con il nuovo progetto di illuminazione che esaltano la magnificenza del palazzo sommerso.

È stata demolita la vecchia passerella in calcestruzzo, che versava in pessime condizioni, e riprogettato l’itinerario di visita che si sviluppa ora su circa 1400 mq con una larghezza variabile da 130 a 300 cm. Il nuovo percorso si snoda su leggere passatoie metalliche che sostituiscono le pesanti strutture antecedenti e che sono molto più prossime alla base del monumento. Il visitatore si trova così a camminare quasi sul pelo dell’acqua e ad ammirare la bellezza e la piena altezza delle volte sovrastanti.

Aspetto fondamentale dell’intervento è l’introduzione di un nuovo concetto di illuminazione, sviluppato da StudioIllumina e realizzato su sua indicazione dalla azienda turca TEPTA Lighting. Un intervento sofisticato e imponente dove sono stati utilizzati oltre 750 differenti corpi illuminanti.

Dal punto di vista concettuale, la narrazione della luce, come in ogni buon progetto di lighting design degno e colto, prevede differenti scenari percettivi in funzione del significato della struttura da raccontare e della luce da portare.

Il percorso di andata richiama l’inoltrarsi in una foresta – di colonne – rivelata solo dal controluce. Come ci dice l’architetto e lighting designer Adriano Caputo, titolare di Studioillumina:

“ci siamo ispirati al mondo antico delle miniature e, più globalmente, tutto omaggia il mondo orientale, in cui la prospettiva non ha un’importanza centrale, ma tende invece a scomparire per lasciare spazio al disegno e alle forme. In quest’ottica l’ingresso nella selva è affiancato da un elemento bidimensionale, o di silhouette, che accompagna il visitatore alla scoperta di in un luogo senza tempo e a lui sconosciuto, come nell’esperienza dei primi esploratori: ovvero un solo proiettore a fascio ellittico, posizionato dalla parte opposta rispetto alla direzione di percorrenza, che illumina dal basso ogni singola colonna. L’uso di una diminuzione graduale dei livelli di luminosità a mano a mano che ci si addentra nello spazio sotterraneo, porta l’esperienza del visitatore verso una perlustrazione archeologica e più personale della cisterna.”

Alle colonne con le teste di Gorgone si giunge a un ideale fine del viaggio di andata e si inizia il viaggio di ritorno: il visitatore tornerà indietro, arricchito di emozioni, percezioni, immaginazione, e anche di arte e storia. Insomma, ora, qui, il progetto accompagna in un dialogo virtuoso:

“da questo punto avviene la transizione fra il mondo orientale (stadio sottile) e il mondo occidentale (stato di luce materica). Da questo momento in poi il mondo bidimensionale si interrompe per lasciare spazio a quello tridimensionale, che svelerà la Cisterna nel suo lato strutturale e più architettonico.”

Ma a metà del percorso, in maniera inattesa, suggestiva e spettacolare quanto basta, l’interno del monumento assume ulteriori valori

“la cisterna si tinge delle atmosfere caratteristiche della Turchia, trascolorando da acquamarina ad ambra: le cromie sono quelle della Zultanitela gemma anatolica che cambia il suo colore, passando da vibrazioni turchesi acquamarina, se sottoposta alla luce naturale, fino al color ambra, se esposta alla tremula luce di una fiaccola.”

Il nostro viaggiatore è trasformato e può portare con sé l’essenza della percezione cromatica dell’esperienza fatta che coinciderà con quella poetica e con quella architettonico-archeologica. La consapevolezza del passato e della storia si spera poi faccia, fuori da quella Cisterna Basilica, tutto il resto…

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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