Nanni Balestrini. Artista, poeta, scrittore intellettuale. Evviva! Fece tutto, ci lascia tantissimo e ci ricorda che la Storia siamo noi

immagine per Nanni Balestrini

Nell’ottobre 2006 curai la sua mostra alla galleria Mascherino di RomaCon gli occhi del linguaggio (1961 – 2006) | opere visive – che fu una tra le ricognizioni storiche di quegli anni sul suo lavoro artistico sperimentale e attivista che Nanni Balestrini non ha mai alleggerito e ha proseguito nel tempo, fino alla fine, giunta dopo una lunga malattia, mentre era ricoverato all’ospedale San Giovanni Addolorata di Roma.

Balestrini è stato tra i principali animatori della stagione della neoavanguardia: artista visivo, poeta, scrittore, uomo e intellettuale impegnato politicamente in una militanza verbovisiva, del pensiero e dell’etica. Garbato, acuto nel giudizio mai omologato, a suo modo era un ottimista: chiudeva le conversazioni e gli incontri con un allegro “Evviva!” che consegnava a ognuno un particolare senso di speranza…

Nanni Balestrini era nato il 2 luglio 1935 a Milano dove visse alternando soggiorni a Parigi – e qui anche un riparo, da esule politico – e risiedendo poi nella Capitale.

Aveva iniziato a scrivere poesie da ragazzino, e, come mi ricordò in una delle nostre lunghe conversazioni per la preparazione della mostra romana al Mascherino, fu grazie al suo professore di Liceo, Luciano Anceschi – filosofo, critico letterario, accademico e padre dell’artista, designer e accademico Giovanni – che questa passione e inclinazione si fece più concreta. Infatti, proprio tramite Luciano Anceschi il giovane Balestrini pubblica alcune prime poesie sull’innovativa rivista “MAC Espace” di Gillo Dorfles, poi seguendo Anceschi sul suo prestigioso “Il Verri”: in quella redazione, dove  – mi raccontò – faceva “un po’ di tutto” frequenta il mondo della cultura che a Milano si riuniva al bar Giamaica, dove Balestrini incontra da Ugo Mulas, a sua sorella Maria, entrambi fotografi, a Enrico Baj, Arnaldo Pomodoro, Piero Manzoni, Enrico Castellani, Vincenzo Agnetti, Roberto Crippa, Gianni Dova…, artisti che “divennero amici”, e le cui relazioni reticolari produssero interessanti “scambi e contaminazioni intellettuali”.

Da quest’humus creativo e del sapere, da cui nascono o si alimentano riviste – “Il Gesto”, “Azimuth” – dove Nanni pubblicherà sempre più spesso poesie e testi per artisti adottando versi accumulati secondo ritmi e forme non lineari, ha origine una formidabile sperimentazione di cui Balestrini fu uno dei protagonisti. Essa rinnoverà tutti i linguaggi, da quello dell’arte a quello della poesia, della letteratura e così via, come stava avvenendo in altre città italiane quali, ad esempio, Roma, dove i poeti e gli scrittori erano anche compagni di viaggio degli artisti e magnifiche penne critiche (si pensi a Sandro Penna, Emilio Villa, Goffredo Parise, Moravia etc.).

A Milano, e poi ovunque andasse, “Nanni era una relazione, un connettore di destini e di arte, un cortocircuito”: così ha scritto, su “Il Fatto Quotidiano” (2019/05/20) Lello Voce, suo amico e poeta che con Balestrini e sodali ha fondato il Gruppo 93; e prosegue: “per parlare di Balestrini bisognerebbe parlare anche dei Novissimi, del Gruppo 63, e dopo di quello 93, della poesia visiva e di quella sonora, della poesia concreta, della musica contemporanea e dell’arte contemporanea, di Fluxus, delle prime trasmissioni televisive dedicate alla poesia, di Linus, dei fumetti e della Signorina Richmond, di Potere Operaio e dell’operaismo, della critica letteraria tra strutturalismo e semiologia, del romanzo sperimentale, degli hooligan, dell’editoria (quella ufficiale e quella alternativa) di Feltrinelli, del ’68 e soprattutto del ’77, degli anni di piombo e delle stragi di Stato, di Pinelli, di quell’Orda d’oro di movimenti che cambiò per un momento il volto di questa nazione, di “alfabeta” e di “alfabeta2”, dei grandi festival di poesia italiani dopo Castelporziano, milanopoesia prima, romapoesia poi, dei centri sociali, di Radio Alice, di Deleuze e di Guattari, del punk, della video-arte e di tutto ciò che ha collegato arte e tecnologia, dell’antifascismo militante, della lotta alla camorra, del diritto al conflitto sociale e del diritto al conflitto artistico e letterario, del jazz, dell’opera-poesia, del poetry slam, e potrei continuare per un bel po’…”

Un vulcano, Balestrini, sempre sul pezzo quando non anticipatore: il suo Vogliamo tutto, pubblicato per la prima volta nel 1971, un “ordigno linguistico di calcolata potenza e di trattenuta passionalità”, è ancora oggi attualissimo, come uno dei rari testi che abbiano colto e restituito in maniera vitalissima l’atmosfera e la storia del Sessantotto con un linguaggio intrinseco, strutturato entro l’ottica del “suo” Gruppo 63.

Quella fase straordinaria della contestazione – anche nelle sue derive più discusse e problematiche –  è stata riassunta artisticamente da Balestrini nell’opera/azione I muri della Sorbona. Questo intervento artistico prevedeva la scrittura, anche da parte di terzi, sul muro della nota galleria romana di Plinio De Martiis, La Tartaruga (durante la kermesse Teatro delle Mostre, nell’appuntamento del maggio 1968), di frasi direttamente provenienti dal movimento universitario francese e proposte inizialmente per… telefono, poi a memoria dall’artista “a testimonianza – scrive Achille Bonito Oliva sul catalogo edito in quella occasione – della nuova tensione”.

Balestrini non ha mai cessato il suo impegno politico, intellettuale e creativo e durante gli ultimi cinquant’anni ha pubblicato numerose raccolte di poesie e romanzi, articoli, convegni, oltre ad aver partecipato a molte mostre in Italia e all’estero, a partiore da Milano, dove ebbe la sua prima mostra alla Galleria Blu, e a seguire, Gruppo N, Padova (1963), Galleria Arco d’Alibert, Roma (1964), Libreria-galleria Guida, Napoli (1965), allora attivissima nell’individuare ed esporre gli emergenti della sperimentazione italiana.

Più recentemente – siamo negli anni Novanta prende parte alle esposizioni Ubi Fluxus ibi motus (Biennale di Venezia, 1990) e Roma anni ‘60 (Palazzo delle Esposizioni, Roma). Nel 1993 è nuovamente invitato alla Biennale di Venezia, nel 2004 espone nelle personali al MACRO di Roma e alla Fondazione Morra di Napoli e nel 2006 alla Fondazione Mudima di Milano oltre che nell’antologica romana che ho avuto l’onore di curare e dove propose opere – quasi tutte pubblicate nel volume Con gli occhi del linguaggio edito dalla Fondazione Mudima e distribuito dalla casa editrice DeriveApprodi, che ha proceduto all’edizione completa della produzione letteraria dell’autore – che ne resero lampante la ricerca.

Nel  2012 Balestrini ha anche realizzato Tristanoil. E’, questo,  “il film più lungo del mondo” – presentato a Documenta, Kassel, quella diretta da Carolyn Christov-Bakargiev) –  reso con immagini connesse al tema del petrolio (“oil”) mescolato al testo di Tristano, pubblicato   nel 1966 da Feltrinelli, ma ideato nel 1961 per essere reso tramite calcolatore elettronico, con una prima esibizione nel dicembre del ’61 nei sotterranei della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde a Milano a cui assistettero anche Umberto Eco e Luciano Berio.

Tristanoil non ha intento documentativo o narrativo, al contrario: si fonda su una strutturazione da crogiolo ricombinatorio (con la collaborazione video di Giacomo Verde) grazie a un software elaborato da Vittorio Pellegrineschi per organizzare capitoli della durata di dieci minuti e che, secondo l’idea di Balestrini, renda “le stesse sequenze video continuamente rielaborate, in modo casuale” e congetturalmente mente infinito, tanto da rendere le stesse immagini inevitabilmente fruibili in modo “distorto” e necessariamente più attivo, partecipativo.

L’intento è quello di portare, a livello visivo e poetico, un ragionamento critico sulla serialità – pensiamo alla pubblicità, ai meccanismi della comunicazione, alle pratiche della penetrazione del capitalismo e della persuasione politica, ad esempio – che contraddistingue il nostro mondo, ci sovrasta ma non rappresenta davvero l’essere umano.

Mentre questo complesso progetto si compiva, Balestrini nel 2014-2015 vede il Museion dedicargli la poderosa personale  Oltre la poesia e poi il Mart di Trento e Rovereto collaborare alla mostra Intermedia. Archivio di Nuova Scrittura in cui è stata portata la sua opera. L’ultima sua mostra, Vogliamo tutto (titolata come l’omonimo romanzo del 1971), promossa da Fondazione Mudima, data 2018 e si è tenuta a Palazzo Ducale di Massa: in quel contesto è stata presentata anche la straordinaria collana di tutte le poesie di Balestrini edita da DeriveApprodi.

L’insieme dell’opera visiva di Balestrini è un lungo percorso che, partendo dall’aspetto fisico della parola e utilizzando i più diversi procedimenti e materiali (carta stampata, timbri, plastica, lastre tipografiche, carte geografiche, nuove tecnologie…), ha creato un melting pot fatto di immagini verbali del nostro tempo palesando un universo complesso dove la cronaca si mescola alla riflessione estetica e sociale.

L’artista, coerente con la sua attitudine poetica e letteraria, ha usato quindi la parola come materia viva del suo procedere artistico, condensando a mano ed evidenziando l’aspetto fisico e tangibile del linguaggio, in cui forma e lemmi creano un dispositivo sfuggente, volutamente: dove, cioè i significati delle parole di cui sono composti questi lavori restano ambigui. Tutto è, come scrive Bonito Oliva (nel libro cit.), “oggetto trovato, ma proprio per questo manipolato e manipolabile”, e a ben guardare è più “un suggerimento di opera”, certo, ma come “fondazione di un metodo evidente ma che richiede in ogni caso lo stato di grazia dell’artista capace di portare il materiale nella necessità della forma”.

Balestrini sovverte regole e linguaggi per portarci a fare una nuova esperienza attraverso questo processo di decontestualizzazione e ricontestualizzazione – come si diceva e faceva negli anni Sessanta – che stimola l’analisi, il dubbio, la presa di coscienza, dunque anche la partecipazione: scusate se è poco…

Ciò è evidente, ad esempio, in quelle del 1961 proposte alla prima esposizione dell’artista, nello stesso anno, alla storica libro-galleria romana Ferro di Cavallo, vivace luogo di ritrovo, di discussioni, riunioni, esposizioni di giovani, di studenti dell’antistante Accademia di Belle Arti, di artisti, poeti e intellettuali in quei caldi anni Sessanta, e che vide lì, tra l’altro, nascere proprio il Gruppo 63.

Lo è anche nelle serie Pagine, i collages eseguiti tra il 1965 e il 1971, e il  grande quadro Potere operaio, presentato nel 1972 alla Quadriennale di Roma, così come più recenti totem scultorei, come colonne verbali, Crash e Croniche (2006): collages su carta pensati come diari di soggiorni a Berlino, Parigi, Barcellona, Roma; per ognuna di queste città, il rispettivo giornale quotidiano scelto da Balestrini offriva, dal lunedì al sabato, materiali visivi e verbali che, montati dall’artista in forme tra il geometrico e l’accidentale, rivivono l’effimero scorrere degli eventi che ogni giorno ci assediano e attraversano.

Queste opere e tutte le altre rese con i collages di parole, erano conformate per essere guardate ma anche lette, ma in più direzioni, seguendo stimoli diversi, “fatti di assonanze, consonanze, riconoscimenti, ricordi, affioramenti, rimandi” (N. B., 2006), dove nulla può e dovrebbe essere dato per scontato, similmente come nel mondo sociale, politico, mediale, e nella vita.

La prassi del collages, tradizionale e come metodo, è una vera e propria “furia” per l’artista dalla fine degli anni Cinquanta in poi e – per usare le parole di Umberto Eco (2002) – “ha prodotto un corpus di grande coerenza e dalla cifra riconoscibilissima, segno che in questa riappropriazione non indebita dei testi altrui egli ci ha messo qualcosa del suo, che è poi lo stile – il che per un poeta è tutto, ed è fatto di molto sudore creativo”. 

Vogliamo tutto era lo slogan di Nanni – ripreso da Alfredo Jaar in una luminosa, rossa opera del 2016, Courtesy Lia Rumma Milano/Napoli – che Nanni ha concretizzato da par suo, mostrandoci come tutto sia possibile, più vicino a noi, potenzialmente realizzabile: anche solo in parte.

 

 

 

    • Dal 29 maggio al 2 settembre 2019 opere di Nanni Balestrini in mostra a Visionarea Artspace di Roma: Nanni Balestrini | Vogliamo tutto – in collaborazione con Galleria Emilio Mazzoli – Modena, a cura di Luigi De Ambrogi; in mostra undici lavori dell’artista, realizzati tra il 1965 e il 2004. Una raccolta che lo stesso artista ha selezionato per questa mostra per raccontare il proprio lavoro. Inaugurazione: 29 maggio 2019 con Achille Bonito Oliva, Emilio Mazzoli, Angelo Guglielmi in quello che è diventato un omaggio al poeta, romanziere e artista visivo da pochi giorni scomparso. Auditorium della Conciliazione – VISIONAREA ART SPACE  Via della Conciliazione 4, Roma – Ingresso gratuito (Ufficio Stampa HF4 www.hf4.it – Marta Volterra marta.volterra@hf4.it)

 

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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